Carlo Bordini, Fabrizio Dal Passo, Pamela Ferri

LA VIA CASSIA-FRANCIGENA E L’ALTO LAZIO NELLA SECONDA META’ DEL XVIII SECOLO (1)
LA VIA CASSIA-FRANCIGENA E L’ALTO LAZIO NELLA SECONDA META’ DEL XVIII SECOLO (2)

4. La Via Trionfale e la Giustiniana.

Giunti al bivio della Cassia con la Via Trionfale 14 si trovavano le tenute della Giustiniana15 e quella del Castelluccio. La prima aveva il nome di Borghetto e prese il nome attuale da una prelatura della famiglia principesca dei Giustiniani.

Fu centro abitato nel Medioevo ed anche qui si ha memoria di un ospedale Giustiniani16.

Vi si fermavano i pellegrini per regolare le loro carte, ed essendo il punto ove le carovane si dividevano per andare o direttamente a S. Pietro per la Via Trionfale, o a Roma per il Ponte Milvio, i romei trovavano un piccolo albergo che prese il nome di Alberghetto dei Muti dalla famiglia di questo nome che nel XIV secolo possedeva quella tenuta. Vi era anche una torre di guardia ed un fontanile nel casale formato con una cassa marmorea ivi portata dai Giustiniani nella seconda metà del secolo XVIII, su cui si legge:

Hic sita est Amymone Marci optima et pulcherrima —lanifica pia pudica frugi casta domiseda 17 Pio VII si fermò in questo casale a riposarsi dalle fatiche del viaggio nel 1841.

5. Torre Spizzichino e La Storta

La torre che si vede a mezzo chilometro dal casale a sinistra sopra un poggio è detta Torre Spizzichino; è alta circa 20 metri ed ha 7 metri di lato; è di costruzione detta alla saracena con ricorsi regolari di selce, marmo e mattoni. Serviva come luogo di guardia per la sicurezza della strada (sec. XIII)18.

Lo sbocco della via Trionfale in questo luogo rendeva necessaria una torre di guardia, tanto più che gli innumerevoli pellegrini, che da questa via salivano al monte Mario, dovevano avere alcuni privilegi di passaggio e di esenzione dai dazi, in armonia dei diritti della città Leonina del Vaticano. Al settimo miglio la Via Cassia traversa l’acquedotto della Paola che proviene dal lago di Bracciano19.

Al decimo miglio da Roma si trova il primo centro abitato, parrocchia, detto La Storta forse perché la via fa una grande curva o secondo alcuni, perché poco appresso la Clodia deviava dalla Cassia. Questa località ha la sua importanza per le varie vicende che la storia registra come quivi accadute. La chiesetta parrocchiale porta una iscrizione che ricorda il passaggio di Sant’Ignazio di Loyola nel 1537, ed il miracolo dell’apparizione del Padre Eterno20.

La Storta era l’ultima stazione di posta per chi veniva a Roma dalla Toscana21 e quando il popolo ammoniva che “San Giusto era morto alla Storta” esprimeva la sua convinzione che la giustizia non oltrepassava quel punto e vi si fermava definitivamente prima di giungere alla città di Roma.

6. La Via Clodia, Isola Farnese, Veio e l’Osteria del Fosso.

Poco oltre dirama dalla Cassia a sinistra la Via Braccianese Claudia22, la vera antica Clodia che si ricongiunge con la Via Aurelia dopo un lungo percorso attraverso la Tuscia marittima. Altro diverticolo a destra conduce, dopo tre chilometri di via carrozzabile, all’Isola Farnese ed alle rovine di Veio23.

Tra l’undicesimo ed il dodicesimo miglio da Roma s’incontra l’Osteria del Fosso (m. 91) con relativo casale, così detta dal fosso Piordo e da quello della Olgiata che, riuniti, si gettano nel fosso della Mola il quale passa per il territorio veiense. Questo fondo apparteneva a Giovanni il grammatico che nel 964, divenne papa per pochi giorni e che fu detronizzato da Ottone I.

A destra si distacca la via comunale per Formello (Km. 7, 4) ed altra per Isola Farnese (Km. 3, 5). Dall’Osteria del Fosso la Via Cassia, percorrendo sempre l’antico tracciato in direzione Nord, attraversa una pianura solcata da profondi burroni e da correnti di lava basaltina proveniente dal vicino lago Sabatino.

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14 La Via Trionfale partiva dai colli Vaticani scavalcava il dorso di Monte Mario e passando per il villaggio di S. Onofrio raggiungeva la Cassia alla Giustiniana (km. 11). Serviva spesso come strada sussidiaria, allorquando per gli straripamenti del Tevere, rimaneva intercettato il passaggio del ponte Milvio. Nel pontificato di Gregorio XVI la classica via era quasi resa inaccessibile, ed il papa incaricò l’ingegnere Nicola Cavalieri San Bertolo di restaurarla e di migliorarne il tracciato. Ciò fu eseguito con grande perizia, ed in modo di darle l’aspetto di una passeggiata, specialmente nel primo tratto di ascesa al monte.

15 “Noi eravamo meravigliosamente sistemati quando, avendo attraversato le bellissime ville della nobiltà romana, che sono palazzi tanto eleganti, circondati da vigne, sculture e giardini, che appaiono da tutte le parti nei dintorni di Roma. Il nome del proprietario è sulla porta di ciascuna, a larghi caratteri, come "Villa Pinciana", "Giustiniana" ecc..

I Giustiniani pretendono di discendere dall'imperatore Giustiniano, come altre grandi famiglie dagli antichi Fabii. In un luogo vicino Viterbo dove abbiamo attraversato il fiume Cremera, che affluisce nel Tevere cinque miglia prima di Roma, l'intera progenie dei Fabii, 400 uomini, tranne uno, fu uccisa in un unico combattimento contro i Veii, un popolo che viveva vicino Roma verso Viterbo”. Da Travels through France & Italy, and Part of Austrian, French, & Dutch Netherlands, during the years 1745 and 1746, by the Late Rev. Alban Butler author of the Lives of Saints, John Moir, Edinburgh 1803.

16 Nel medioevo quivi esisteva l’Ospedale di S. Angelo, fondato da Francesco dei Tartari, come risulta dal suo testamento (archivio S. Spirito, 1334).

17 Nel 1741 questa iscrizione fu copiata dal KEISSLER (Reisen. , II, 137), nella villa Giustiniani al Laterano; proveniva dal convento di S. Lorenzo in Lucina. I Giustiniani la portarono ove ora si trova tra il 1750 ed il 1800 (TOMASSETTI).

18 Il casale, detto della Spizzichina, che si trova tra il dodicesimo ed il tredicesimo chilometro, a destra della via Cassia, si è formato intorno ad una torre di guardia, detta delle Cornacchie, che risale al XI sec. E faceva parte di un burgus fortificato presso l’imbocco della via Trionfale.

19 L’acquedotto della Paola, fatto costruire dall’imperatore Traiano, prese il nome da Paolo V che lo fece restaurare nel 1620 e che, sul Gianicolo, fece innalzare una mostra monumentale, opera degli architetti Fontana e Maderno. L’acqua continuò a fluire all’anno 537 d. C. , Vitige all’assedio di Roma, troncò l’acquedotto e Belisario lo restaurò.

Di nuovo rotto dal longobardo Astolfo nel 750, così rimase fino al 772, quando Adriano I lo fece ristabilire. Avvennero altre interruzioni nell’827 e nell’846, seguite da restauri sotto Gregorio IV e Niccolò I. Al tempo di Pio IV continuava a portare l’acqua nel vaticano (1561), ma trovandosi in pieno deperimento, fu, come abbiamo detto, ripristinato da Paolo V tra il 1607 ed il 1620. Vi furono spesi 400. 000 scudi; la portata era di 100 oncie (MORONI, Dizionario di erudizione ecclesiastica, XXV, p. 163.)

Attesa la deficienza delle antiche sorgenti fu necessario, al principio del sec. XVIII, immettere nell’acquedotto le acque dei laghi di Stracciacappe, Martignano, e di quello di Bracciano, che, essendo cariche di materie organiche, resero quell’acqua poco potabile e solo adatta ad uso delle grandi mostre ed anche per fornire forza motrice ad alcune fabbriche e mole di Trastevere. Troviamo menzione di quest’acqua nella vita di Onorio (VIGNOLI): “Et ibi (presso porta S. Pancrazio) constituit molam in loco Traiani, iuxta murum civitatis et formam quae ducit aquam a lacu Sabatino, et sub se formam quae consucit aquam ad Tyberim”. Nei documenti è detta anche acqua Sabatina, ovvero acquedotto di S. Pietro.

20 A La Storta, oltre ai passaggi e alle soste fattevi da sovrani ed illustri personaggi, sono da registrate i fatti seguenti. Nel 1522, il giorno 29 giugno, Sigismondo da Varano duca di Camerino, nipote di Francesco Maria duca di Urbino, mentre da Viterbo si recava a Roma per reclutare genti per vertenza che aveva con lo zio, fu dai sicari di questo assalito presso La Storta e pugnalato a soli anni 21. Morì quasi subito nel vicino castello di Isola Farnese ove fu portato moribondo e in seguito il cadavere fu tumulato in Santa Maria del Popolo a Roma.

L’anno 1536, proveniente da Siena, S. Ignazio di Loyola passò per La Storta e si fermò a pregare in una cappella semidistrutta. Quivi gli apparve il padre Eterno il quale, mostrandogli Gesù Cristo sulla Croce, lo incoraggiò a presentare al pontefice Paolo III le regole della Compagnia di Gesù da lui istituita e gli disse “Ego vobis Romae propitius ero”. Al due di ottobre dello stesso anno Paolo III si recò alla Storta e vi pernottò. Nel 1802 vi si fermò il triste convoglio che portava le ceneri di Pio VI a Roma ed in quella parrocchia fu celebrato un ufficio funebre. Vi fecero sosta nei loro viaggi Pio VII e Gregorio XVI. Pio VI concesse l’uso della Posta Della Storta alla casa Borghese, dalla quale passò agli Aldobrandini che, nel 1850, la cedettero al Governo. Si calcolava dalla Storta a Roma una posta e mezzo; da Firenze era la 23a.

21 Si devono a Pio VI le poste di Nepi, di Monterosi, di Baccano e de La Storta, fatte quando aprì la strada Flaminia superiore o Viterbese e nel 1788 soppresse il corso postale per la Via Flaminia da Civita Castellana a Roma. Le prime due poste furono concesse all’abate commendatario dell’Abbazia delle Tre Fontane; quella di Baccano a casa Chigi e l’ultima della Storta a casa Borghese, come abbiamo detto sopra.

Dalla Descrizione di Roma e dell'Agro romano fatta già ad uso della carta topografica del Cingolani dal Padre Francesco Eschinardi della Compagnia di Gesù. In questa nuova edizione accresciuta notabilmente, con figure in Rame, e corretta dall'Abate Ridolfino Venuti, Presidente dell'Antichità di Roma, con un Discorso sopra la Coltivazione dell'Agro Romano, e un Catalogo delle Tenute, con i nomi de moderni Possessori, e quantità di terreno delle medesime. Ded. all'Emo, e Rmo Principe, il Sig. Card. Antonio Saverio Gentili. Prefetto della Sac. Congreg. del Concilio..In Roma, MDCCL, per Generoso Salamini: “Passato un altro miglio si arriva alla Storta, ove sono alcune Osterie, e una Cappella dedicata a S. Ignazio Lojola, per essere egli qui stato favorito di quella visione, in cui Gesù Cristo gli disse: Ego vobis Romae, propitius ero; e vi si dice messa per servizio di quegl'abitanti. Poco doppo si vede a destra di poco più lontano di un miglio il Castello dell'Isola, già de Duchi di Parma, e perciò detto Farnese, fortezza a mio credere dell'antico Vejo, circondata da un gran fosso. Non molto lungi passa sotto un ponte il Fiume Varca, olim Cremera, il quale ha origine dal Lago di Bracciano; e va ad unirsi con esso poco sotto l'Isola, il fosso, che viene dall'Olgiata tenuta del Principe Chigi di Rub. 171, e si passa opra un ponte, avanti d'arrivare alla Cremera.

È meraviglia, come si sia tanto disputato dall'Angeloni, dal Nardini e da altri particolarmente dal Mazzocchi del sito di Vejo, e dal P. Kirchner, che lo mette in due luoghi per stare più sicuro, essendo per altro lontano dalle antiche mura 100. stadi, quando da i suoi siti ove lo colloca appena è sessanta; onde non può dubitarsi, se questa veramente sia la Cremera, e il vicino Castello fosse l'antico Vejo, poiché sono troppo chiare le ragioni per questo Castello; e basta leggere attentamente T. Livio ne i passi a Vejo appartenenti per restarne persuasi: Non ha molto, che si sono trovati segni tanto manifesti, che non può più dubitarsene; tra questi sono varie lapidi, delle quali una molto chiara era appresso Mons. Ciampini. In Vejo era l'antico famoso Tempio di Giunone Lucina, sopraintendente a i parti; di questo Tempio vi sono molte vestigie, alcune delle quali sono state trasportate in Roma.

Poco doppo la Storta si spicca dalla Via Cassia la Via Claudia, additata da un bassorilievo in marmo con la figura di S. Ignazio, e per questa via si va a Galera, tenute de i Sped. di S. Giacomo e di S. Rocco di Rub. 375. e a Bracciano, e si passa sotto il Lago di Bolsena. Si è qui tralasciato dal P. Eschinardi di parlare della Via Cimina; onde ne aggiungerò qualche cosa io. È certo che la Via Cimina; antichissima fino dal tempo degli Etruschi, non ebbe principio da Roma, ma passata la città di Sutri, separandosi dalla Cassia a man destra, s'inoltrava per la Selva Cimina, da cui ne trasse il nome. Due miglia poscia prima di giungere a Bolsena, o la stessa, o un suo ramo, con la Cassia riunivasi, e seguendo il littorale del Lago, ove molti antichi sepolcri si veggono, ambedue in Bolsena, che è l'antico Vulsinium, entravano: d'onde l'una dall'altra separate, prendendo la Cimina la man destra, sopra de Monti del suo nome saliva. Di tutto ciò un chiaro argomento ce ne porgono molti vestigi [...]

Egli è tempo ormai di ripigliare il discorso della Via Cassia, e dire, come ella a man sinistra costeggiava la Selva Cimina, e passava per Vetralla, che Foro di Cassio s'appella, e lasciando a destra il Lago di Vico, e la Montagna ora detta di Viterbo, come ce ne avvisa Cicerone nella XII. Filippica Etruriam discriminat. Lasciando pertanto a sinistra la Toscana marittima, saliva ancor essa su i Monti e passando il Ponte Cassio, che al di d'oggi chiaman di Giulio, giungeva a Chiusi, indi a Firenze. Il Chiarissimo Sig. Proposto Gori riporta un'Iscrizione di Traiano, il quale:

VIAM . CASSIAM
A . CLUSINORUM . FINIBUS
FLORENTIAM . PERDUXIT

Che la Cassia, e la Cimina fossero due strade altra Iscrizione di C. Oppio, che nella Città d'Osimo si conserva, chiaramente cel dimostra, leggendovisi le due vie distinte. Il Dempstero nella sua Etruria Regale dice, che dove termina la Cassia, ivi ebbe il suo principio la Cimina, il che è contrario al fatto.”

22 “La Via Claudia, che ancora essa viene confusa con la via Cassia, ebbe il suo nome dal Foro di Clodio, così detto da Plinio, o pure come altri leggono di Claudio, perché fabbricato da uno di questa famiglia, essendo una delle 24 strade che da Roma escivano. Il Foro suddetto fu costruito in quel sito, ove ora si vede la Terra dell'Oriolo, presentemente feudo della Casa Altieri.

Questa Via dunque di cui gl'Autori con molta riserva ne parlano, fu il terzo Ramo della Flaminia, la quale prima, che Augusto assumesse l'Impero, aperta fu da un Censore della famiglia Claudia; ma perché l'Itinerario d'Antonino, e il Bergero la descrivono in tutto uniforme alla Cassia, pare che in questa parte siano mancanti; mentre un illustre prosopia qual fu la Claudia, non meno fastosa, e nobile della Cassia, sofferto non avrebbe di dare il proprio nome ad una strada da altri aperta, e spianata. Il Pancirolo nel trattato delle Regioni di Roma così parla di questa strada: Claudia a Porta Flaminia incipiens, Flaminiae jingebatur; Servendosi del passo d'Ovidio ne i Fasti.

Hae quae feris positos in collibus hortes
Spectat Flaminiae Claudia juncta Viae.

Che dalla Porta Flaminia fino al Ponte Molle la Claudia con la Flaminia unite fossero, non può negarsi; ma passato il ponte da essa separavasi, e con la Cassia univasi. Quindi è che per quella accurata osservazione da me fatta intorno a quelle campagne, parmi, che circa 10. miglia distante da Roma dalla Cassia si separasse; ed a man sinistra costeggiando il Lago Sabatino, come da molti vestigj si raccoglie, passava per l'antico Baccano, oggi detto Bracciano Feudo della Casa Odescalchi, ed al Foro di Claudio conduceva; ma perché men disastrosa, e più agevole riesciva la Cassia, con essa a Sutri riunivasi, proseguendo nella forma dall'Itinerario prescritta.

Tornando adesso alla Via Cassia; passava ancora questa di sopra del Lago di Bolsena. Poco doppo si divide di nuovo la detta Via in due; la destra porta a Formello, uno de Castelli del Sig. Principe Chigi; di dove si va per strade commode per tutti i suoi stati. Qui vicino fanno alcuni Caprocoro, e le antiche Are Mutie, ma il Baudrand fa le Are Mutie vicino a Civita Castellana. È annessa a Formello la Villa Versaglia fattavi dal Card. Chigi; sotto la quale è la tenuta di S. Cornelio, con la sua antica chiesa de' Padri Agostiniani di Bracciano di Rub. 193.ma essendo stata trasportata la testa di detto Santo, come anche le Campane nella Chiesa di Formello, l'antica Chiesa è stata quasi lasciata in abbandono.

Nella suddetta Villa di Versaglies è riposta un insigne reliquia di S. Francesco di Sales, in una Cappella fabbricata dal Card. Chigi, e dedicata a detto Santo. Si comprende in questo stato dell'Eccma Casa Chigi, oltre Campagnano Terra grossa, Cesano, Magliano pecorareccio; a distinzione di Magliano di Sabbina,
Baccano, Sacrofano, nome corrotto forse da Sacrum Fanum il quale sta alla pendice di Monte Muscino, così detto dall'antica Selva Mesia, dove è una vena di Solfo.

Nuovamente tornati alla Via Cassia donde la lasciammo si passa vicino alla Torre antico moderna di Baccano, luogo infame già per il Bosco, e i ladroneggi; persiste la Torre, ma la Selva è tagliata, e distrutta da i Papi Giulio II. Leone X. e Paolo III. Si dice questo luogo Baccano, forse dalle Baccanti, che qui celebrarono i loro Orgij, e Feste. È in questo luogo un Lago di acque quasi stagnanti che lo rende di aria cattiva; onde se vi si facesse un Emissario, cioè un foro di poca larghezza, con poca spesa si otterrebbe ciò, che già ottenne il Principe Borghese al Pantano de Grifi, cioè aria men cattiva, e molti altri utili, poiché cesserebbe d'esser palude, e sarebbe vero Lago: fu pensato di seccarlo, ma questo fu un errore. Poco più su a destra si vede Campagnano, vicino al Monte detto Ranzano, così detto, se si deve dar fede alle Etimologie da i Campani, ivi relegati doppo la loro ribellione.

Poi si passa a Monte Rosi; olim Rosolum, 20. miglia lontano da Roma e altrettanto da Viterbo; e si vede a destra Carbognano, il quale giusta ciò, che ne va congetturando il Martinelli in una sua opera postuma, e il P. Casimiro da Roma nell'Istoria de i Conventi degl'Osservanti della Provincia Romana venne così detto o dalla Romana antica famiglia Carbona; o pure, che è più naturale, dall'essere stata in questo sito la Carbonara per servizio della fabbrica di S. Pietro, per l'indizio che ne da un pubblico marmo”. Dalla Descrizione di Roma e dell'Agro romano fatta già ad uso della carta topografica del Cingolani dal Padre Francesco Eschinardi della Compagnia di Gesù, cit., p. 205-207.

Tra le due vie, la Cassia e la Clodia, si trova la tenuta dell’Olgiata, così detta dalla famiglia Olgiati che ne venne in possesso nel 1566. Il palazzetto e la torre di bell’aspetto servirono nel Seicento come elegante dimora dei signori che vi facevano inviti alla nobiltà Romana ed erano causa spesso di gustosi incidenti come quello narrato dal TOMASSETTI, accaduto nel 1614 e rilevato da una lettera di G. B. Romano al principe Filippo Colonna (pettegolezzo della carrozza di Francia): “L’Imbasciator di Francia fece una bellissima entrata, come haverà saputo, ma ce nacque un può di briga tra il Duca Sforza et il Duca Antonio Orsino et fu che andando la matina il Duca Orsino incontro all’Imbasciatore di Francia per magnar seco, al casale de l’Olgiati, dove fu ricevuto dal sig. d. Virginio Orsino, di poi pranzo ve arrivò il Duca Sforza, il quale si fermò da mezzo miglio lontano dal Casale, ove mandò un gentiluomo dei suoi a dire all’Imbasciatore, che lui era venuto per servirlo, ma che non voleva arrivar costà, se non sapeva di havere la precedenza dal Duca Orsino.

L’Imbasciatore li mandò a dire che lui non era lì per terminare questa sua pretensione; se voleva andare senz’altro che andasse - così se risolse a rimandarli a dire che, almen potesse entrare nella carrozza del Duca Orsino, penso fusse per haver il luogo. Il Duca Orsino li mandò a dire che la carrozza era per servire alla persona del Sig. Ambasciatore, et a lui. Se ne ritornò il Duca Sforza con haver fatto il debito suo ordinario. Fu poi incontrato l’ambasciatore al Popolo da molti Prelati, li quali volevano entrare nella carrozza del sig. Ambasciatore, et il Duca Orsino li disse che s’andassero a far friggere, che ci voleva star lui nella carrozza”.

Nel 1655 a Olgiata due legati del Papa si trovarono per ricevere Cristina di Svezia nella sua prima venuta a Roma, che fu di notte. Fra il corteo dei legati vi era il Card. Giancarlo fratello del Granduca di Toscana. Il palazzo è circondato da un muro quadrangolare con quattro casaletti agli angoli. Sul portone vi è lo stemma della famiglia Chigi che acquistò la tenuta, nel 1744 all’asta, nella liquidazione del patrimonio del barone Andrea Franceschi. Al bivio della Cassia e della Clodia, ove sulla carta è scritto Madonna di Bracciano, nel fare alcuni scavi fu rinvenuta nel 1914, una catacomba o cimitero cristiano con loculi a tre ordini e gallerie, scavate forse a scopo di drenaggio.

Poche antichità si sono ricuperate, essendo stato quel fondo già rovistato ai tempi antichi. Altri cunicoli si sono ritrovati in contrada Pantanaccio a levante della Cassia a circa 200 metri dalle Catacombe. Si rinvenne anche un ripostiglio di 1170 monete di bronzo di epoca post-costantiniana da Costantino a Libio Severo (461-465). Siamo perciò al V secolo dopo Cristo. Non è difficile credere che in quel bivio esistesse nella stessa epoca un sepolcro (Not. Scavi, 1914).

23 Isola Farnese nel 1003 aveva il nome di Castrum Insulae e nell’XI secolo quello di Insula Agella. Secondo il NIBBY occupa il posto dell’ acropoli dell’antica Veio. Apparteneva al monastero dei SS. Cosma e Damiano (sec. XI) quando Enrico V vi fece custodire gli ostaggi che mandava a Pasquale II. Nel 1209 vi pernottò l’imperatore Ottone IV dopo che fu incoronato in Roma.

Appartenne in seguito (sec. XIII) agli Orsini; nel 1312 Enrico VII vi s’incontrò con i messi speditigli da Roma. Ebbe un breve periodo di autonomia sotto Eugenio IV (1423), quando fornì armati al pontefice per combattere Niccolò Stella, detto Fortebraccio. Subì rovina nelle lotte tra gli Orsini ed i Colonna e nel 1527 prese la moderna denominazione.

 

 

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