VIDEO Progettazione definitiva degli interventi relativi al riuso della Torre Civica di Viterbo,.
Leggi la storia della Torre dei Priori scritta da Mauro Galeotti.

L'interno della Torre dei Priori con la scala in legno

La storia della Torre dei Priori a Viterbo e dell'orologio

La Torre dei Priori nel 1933 (Archivio Mauro Galeotti)

Viterbo
Mauro Galeotti

Finalmente qualcuno si accorge che in Piazza del Plebiscito, io amo chiamarla col nome d'un tempo, Piazza del Comune, è una torre, e ad accorgersi è l'infaticabile Laura Allegrini la quale ha in progetto la possibilità di poter far salire Viterbesi e turisti alla sommità della snella e splendida torre.

Ma conosci la sua meravigliosa animata storia?
Eccola qui sotto tratta dal mio libro L'illustrissima Città di Viterbo del 2002.

Torre dei priori

Lanciata nel cielo è la snella Torre dei Priori, detta anche dei Monaldeschi perché «Il palazzo della famiglia Monaldeschi stava nella piazza del Comune, ove stava la scuola», così ricorda padre Pio Semeria verso il 1825.

E’ alta quarantaquattro metri e con l’armatura in ferro raggiunge i cinquanta. Fu costruita nel 1489. Secondo alcuni storici, fu eretta sulla base di una precedente torre. Ma per altri studiosi non è così, infatti la torre crollata nel Dicembre 1487, doveva essere secondo quest’ultimi, più verso il centro del Palazzo del podestà, o secondo Maria Luisa Madonna, poteva trovarsi, addirittura, ove oggi è l’ingresso del Palazzo dei priori in Via Ascenzi n° 1. Comunque che fosse nel mezzo del palazzo lo testimonia la cronaca del Sacchi che appresso riferisco.

 

L’ipotesi è contestata da Fabiano Tiziano Fagliari Zeni Buchicchio. Infatti, quest’ultimo apprezzato studioso scrive:

«tale ipotesi è però contraddetta dal cottimo del 26 marzo 1449 con il quale il muratore Rempiccia trasformò in postribolo una parte della stalla che era al piano terra del palazzo del Podestà dalla parte opposta della piazza. Infatti su quel muro di testata furono allargate le finestre e tolte le ferrate e fu aperto l’ingresso del postribolo […] in modo che si poteva raggiungere la piazza tramite una piccola via parallela al muro di testata […] non vi è però alcuna menzione ad una torre».

Di questa torre si sa che il 25 Febbraio 1404 fu incaricato dai priori quale torriero, torrierus, tale Valente essendo vacante quell’incarico, e nel Maggio successivo fu ordinato che la torre fosse sorvegliata anche di notte.

Questa torre, ornata di pitture e stucchi, era dunque di notevole considerazione tanto che su di essa nel 1424 fu posto, da mastro Giacomo Del Vecchio di Niccola originario di Benevento, uno dei primi orologi pubblici che battesse le ore, infatti sembra che solo Roma ne ebbe uno simile nel 1412.

Il Comune stipulò un contratto con il magister aurilogiorum et faber famosus in data 26 Marzo 1424, questi si impegnava, per centoventinove ducati d’oro, a fare la consegna dell’orologio, regolarmente funzionante, nel seguente mese di Settembre, dotato di una ruota con il sole e la luna, migliore di quello in funzione ad Orvieto. 

Nel 1434 l’orologio batteva sicuramente, perché fu incaricato un tal Bernardino ad temperandum aurilogium, al quale era concesso un salario di un fiorino il mese, col patto che Bernardino doveva sopperire a qualsiasi mancanza dell’orologio, riparandolo a sue spese, escluse le rotture delle funi e delle campane. Su di essa era una campana, sembra fusa a Nola, acquistata nell’Ottobre del 1459 dall’arciprete di san Sisto. Pesava duecentoquaranta libbre e fu necessario riparare la corona prima di issarla a dimora.

Pochi anni dopo, il 3 Aprile 1475, i priori chiesero al governatore Ludovico degli Agnelli che gli introiti, derivati dalle pene stabilite per i malefici, fossero impegnati per l’acquisto di un’altra campana per uso del consiglio, delle celebrazioni e delle processioni.

Non va comunque dimenticato che una o più torri erano dove oggi è il Palazzo della Prefettura, ove era il vecchio Palazzo dei priori, e quindi una di queste potrebbe essere stata quella a cui riferire l’ubicazione dell’orologio di cui sopra.

Nell’Aprile del 1487 i priori uscenti così ricordano ai loro successori lo stato fatiscente dell’orologio e della torre, che poi crollò:

«Ricordiamo ad V.S. chome per conseglio è tempo che l’oriolo e la torre s’accomodi chè sono guasti prima la volta de sopra tucta piove et guasta l’oriolo et li stucchi tutti et le scale son guaste et fracide che ancora presto si dubita per maestri [che] se ne intendono, non caschi perchè il ceppo [della campana] è macero». Parole sante perché alla fine dell’anno la torre crollò.

In merito al crollo ecco una nota tratta da I Ricordi di Casa Sacchi, infatti, leggo:

«1487. Ricordo la sera che fu di sabato ad un’hora di notte, cascò la grande et bella torre del Comune da li fondamenti in spatio d’un’Ave Maria con gran ruina. 

Et ruinò il mezzo del Palazzo del Potestà et la loggia tutta di fora insino alle scale, et ruppe et gittò a terra una grossa campana, che soleva sonare a giustizia et stava sopra le mura di detto palazzo verso la torre predetta».

D’altronde se la torre crollata fosse quella attuale su Via Roma non si spiegherebbe come nel crollo stesso si sia salvata la sottostante ducentesca finestra apparsa sulla parte destra della facciata del Palazzo del podestà e, poi, il Sacchi la colloca chiaramente, «Et ruinò il mezzo del Palazzo del Potestà».

La campana nel crollo si spezzò e, scrive Giuseppe Signorelli sul giornale L’Azione del 24 Luglio 1921, fu fatta rifondere al francese Niccolò Ferrand, italianizzato in Ferrandi, con l’iscrizione:

Mentem sanctam spontaneam / honorem Deo et patriae liberationem / magister Nicholaus Ferrandi de Francia / me fecit pro Comuni Viterbiensi / fiat g. †.

Vi rimase per oltre tre secoli fino al 1798.

Ho scritto poc’anzi che fu ricostruita nel 1489, infatti in quell’anno i priori avevano incaricato Matteo di mastro Paulo «per coprire la torre del nostro palazzo e per tirar su la campana».

Per rendere la torre più bella fu deciso anche di far eseguire, sulla facciata che guarda la piazza, una pittura a graffito:

«Havemo dato a Giovambattista Fiorentino pentore a dipingere la Torre come appare per mani del Cancelliere del quale vi degnerete vedere lo modello che ve lassamo».

Ed ancora una notizia del 1488 nei Ricordi dei priori riferisce:

«Havemo dato per cottimo a Giovan Battista Fiorentino, pentore, a dipignere la torre».

Nel 1490 ancora i Ricordi dei priori, «e a Domenico di Velardo [abbiamo ordinato] di fare la spera [sfera] dell’oriolo nella torre, come potete vedere per li ponti che ci sono per 35 carlini».

Scrive Cesare Pinzi che del pittore Giovan Battista Fiorentino si conoscono solo le pitture dello stemma nel Palazzo del governatore e un san Cristoforo e un sant’Antonio «nel secondo ripiano della scala grande del palazzo comunale».

Nel 1562 e nel 1565 furono eseguiti alcuni restauri all’orologio, intanto mastro Giovan Maria realizzò un castello di tavole al fine di proteggere i congegni del macchinario e fu eseguito il quadrante rivolto sul lato della torre verso Piazza delle Erbe.

Mastro Vincenzo di Serafino di Vitorchiano inventò un congegno, lo ricorda Giovanni Mazzaroni che trae la notizia dalle Riforme, per il quale «a due ore di notte potevano risuonare 60 colpi di seguito “in segno che non si poteva andar più attorno senza lume”».

Nel 1633 lo scalpellino Antonio Pieruzzi fu l’autore della realizzazione del cornicione che corona la sommità della torre con le relative mensole di sostegno.

La campana del 1488, come ho scritto, suonò per l’ultima volta nel 1798, quando i Viterbesi si opposero alle truppe francesi che attaccarono la città e la costrinsero alla resa. Infatti, tra le condizioni imposte ci fu quella di calare la campana dalla torre, che fu conservata in un magazzino. Questa campana nel 1816 fu venduta al Convento di santa Maria in Gradi, oggi è al Museo civico.

L’armatura ferrea che sorregge le campane è del 1816, opera del mastro ferraio viterbese Vincenzo Celestini porta la scritta: Vincentius Celestini ferrajus Viterbiens. Delineavit et fecit an. D. 1816.

Vi fu collocata, al posto della campana del 1488, la campana proveniente dalla Chiesa di santa Maria della Verità, dopo che il Governo provvisorio pontificio nel 1815 ne dette l’approvazione. Questa era stata fusa nel 1452 da mastro Sante delle Campane, viterbese, che più propriamente si chiamava Sante di Angelo della Valle. Fu trasportata dalla suddetta chiesa il 26 Dicembre 1815, ad opera del predetto Vincenzo Celestini. 

Intorno alla campana si leggeva:

«† Virginis intactae dum [l’ingegnere Valerio Caposavi legge «cum»] veneris ante fig(u)ram / pretereundo cave ne sileatur ave / MCCCCLII mensis junii hoc opus fecit Sanctes de Viterbio / t(em)p(o)re prioratus fr(atr)is Pauli de S(anc)to Angelo in Vado». 

Ossia: Quando ti troverai davanti all’immagine della Madonna non passare senza salutarla - mese di Giugno 1452 - Questo lavoro fece Sante di Viterbo quando era priore fra’ Paolo di sant’Angelo in Vado.

Padre Pio Semeria (1821), ricorda:

«Nell’anno 1817 risedendo in Viterbo come Delegato Apostolico Mons. Benedetto Capelletti, la campana grossa, che stava sul campanile di questa chiesa [si riferisce alla Chiesa di santa Maria della Verità], fu trasportata, prima che fosse ripristinato il Convento, sulla torre della piazza del Comune, e serve per suonare le ore, per convocare il pubblico Consiglio, e per dare il segno dell’apertura della pubblica Scuola. 

Una tal campana fu fatta in Viterbo nell’anno 1452, come si vede nella iscrizione».

Giuseppe Signorelli detta iscrizione la riferisce così:

«Hoc opus fecit Sanctes de Viterbio / tempore prioratus pratris Pauli de Sancto Angelo de Vado MCCCCLII mensis iunii».

La campana piccola porta la scritta, riferita da un foglio manoscritto dell’ingegnere Valerio Caposavi, che trovo nello schedario per la storia di Viterbo di Cesare Pinzi, dal titolo Torre del Comune conservato nella Biblioteca comunale:

«† D.O.M. Deiparae liberatrici et angelorum principi diavit S.P.Q.V. / Illustrata culmile [Caposavi qui mette «sic» tra parentesi per la parola inusuale] registro aucto a novum hoc et aptius substituendum fudit Aloysius Belli [Luigi Belli] viterbien. a. D. MDCCCXVI».

Continua il Pinzi, che vede sulla campana «a levante evvi l’arme del Comune, a Tramontana quella del Papa [Pio VII], a ponente l’arme d’un prelato, che alza un bue accovacciato, a mezzogiorno la Madonna col bambino».

Leggo sulla Gazzetta di Viterbo dell’8 Dicembre 1877:

«Nell’aprile del 1816 fu determinato di rimodernare l’orologio della torre comunale.

Alla vecchia campana, che fu venduta al convento di Gradi, venne sostituita l’attuale più grossa, tolta dal convento della Verità: fu fatta l’attuale armatura in ferro per le campane, che corona elegantemente la svelta torre; fu fatta la mostra delle ore in quadri di terra cotta a smalto; e il prospetto della torre sulla piazza fu intonacato e decorato di pitture, di cui ora sono appena visibili le traccie. 

Senza più tornar a dire di questa torre, notiamo che la mostra in marmo nella parte posteriore fu fatta nel 1873 in sostituzione dell’antica dipinta sopra semplice intonaco di calce e quasi cancellata dal tempo». 

Ma questo lavoro non sembra fosse riuscito a regola d’arte, infatti, leggo dalla Gazzetta di Viterbo del 16 Agosto 1873:

«L’esecuzione della nuova mostra nella parte posteriore della torre dell’orologio comunale è riuscita assai infelice: i numeri son poco visibili; si dice però che siano di giuste proporzioni, e che ciò dipenda dall’essere fatti ad incavo anzichè in rilievo. 

Alcune delle lastre di marmo sono di un colore diverso da quello delle altre, e stonano orribilmente. La mostra è stata collocata fuori del centro della torre».

In occasione delle feste, per la donazione da parte del papa Gregorio XVI, del corpo di san Crescenziano martire, nell’Ottobre 1833, tra le varie manifestazioni, fu montata una pagoda cinese sulla sommità della torre.

Possiedo una fotografia, scattata non oltre il 1860, dove si vede la torre comunale con la decorazione di cui sopra. 

 

Il Palazzo del Podestà e la Torre dei Priori con lo stemma di Viterbo nel 1860 (Archivio Mauro Galeotti)

Su un rettangolo di intonaco con una cornice pitturata all’intorno, posto al di sotto dell’orologio, sono raffigurati, a sinistra di chi guarda, il leone che con la zampa tiene la bandiera pontificia e il globo quadripartito con la sigla FAVL, sulla destra invece mi sembra di vedere una palma.

Vi era, poi, una meridiana disegnata sull’intonaco in questione, ne resta a testimonianza, ancora oggi, lo gnomone posto vicino alla seconda fascia in ferro che stringe la torre stessa. Al di sopra della mostra dell’orologio mi sembra di intravedere sull’intonaco la sagoma di uno stemma pitturato.

Nel 1887 Pinzi scrive che fino al 1870 «La campana del Comune suonava alla seconda ora della notte nell’estate, alla terza nell’inverno; e, a quel suono, tutti gli spacci di vino e di commestibili, nonchè ogni altra rivendita aperta al pubblico, doveano chiudersi rigorosamente».

La campana grande rimase in loco fino al 1921, quando, durante una chiamata a raccolta di popolo per una incursione fascista, per la eccessiva energia nel suonarla, si spaccò.

Fu perciò rifusa nel 1927 dalla Ditta Giuseppe Pasqualini di Fermo e ricollocata a dimora nel 1928. La campana venne benedetta il 12 Dicembre 1927 «con soddisfazione della cittadinanza, che intuisce la bellezza e la grandezza del simbolo. 

Sotto l’antica iscrizione del 1456 apposta da Pio Monaco invitante il passeggero a salutare il suono con l’Ave Maria, è stato scolpito per i secoli il Fascio Littorio. Così riconsacrata, celebrerà con i suoi rintocchi maestosi gli eventi ascensionali, augurali, gloriosi della Città e della Patria».

Così leggo sulle Attività cittadine del 1927.

Nel 1921 fu emessa una cartolina quale Omaggio del comitato degli Oblatori al fine di rifondere la campana che venne riprodotta fotograficamente con ritoccata la fessura procurata.

In un articolo sul giornale L’Azione del 24 Luglio 1921, redatto da Giuseppe Signorelli, lo storico tra l’altro scrive, in merito alla rifusione dell’antica campana, del 1452, spaccata:

«Si va parlando di tagli, di tasselli, di rifondimenti dell’attuale campanone. 

Ritengo invece, e con me credo siano consenzienti quanti cittadini amano le tradizioni e il decoro di Viterbo, che debba il logoro campanone porsi in disparte e che sulla torre del Comune debba con tutta la solennità possibile, ricollocarsi la campana, la quale giacque finora obliata ma che, a mio mezzo, rivendica il diritto di far riudire la sua voce al popolo rifuso e rinnovato, dell’età presente».

L’eccellente storico viterbese, non fu ascoltato.

Mi piace riportare cosa scrive in merito Augusto Gargana su Il Giornale d’Italia del Novembre 1934, quando usava, in alcuni suoi scritti, lo pseudonimo Viator: «Il “campanone” - così venne chiamata quando fu collocata su la torre del Comune - fu rotto nel 1921, durante un episodio di pazzia collettiva che aveva trovato una mandria di istrioncelli sturziani pronta ad inscenare la più ridicola delle riesumazioni medievali. 

Io penso che la bella opera di mastro Sante avvezza a chiamare gente di vera fede, non volle prestarsi a nascondere, con la sua canora potenza, la coraggiosa paura di pochi e poveri untorelli.

E sdegnata rantolò il suo ultimo rintocco, quasi a lugubre segnale d’agonia per le larve di un Regime fradicio. Erano i momenti della dura vigilia fascista.

Per celebrare i fasti del Littorio - così conclude il collega Giovanni Mazzaroni il suo brillante e documentato articolo apparso nel fascicolo di settembre del “Bollettino Municipale” - Viterbo aveva bisogno di una nuova e pura voce. E la ebbe».

La campana grande della Torre dei Priori "rotta" nel 1921, il segno della rottura è stato evidenziato sul negativo della foto - La cartolina fu emessa per affrontare le spese per l'acquisto della nuova campana e donata in omaggio agli oblatori dal Comitato
(Archivio Mauro Galeotti)

L’armatura precedente fu ideata dal pittore viterbese Giacomo Cordelli, figlio di Carlo, come mi riferisce Noris Angeli, era nato nel 1591 e morì nel 1663. Questi ricollocò una campana sulla torre firmando l’opera sua su uno dei ferri che sostengono la campana stessa: Jacobus Cordellius pictor Viterbiensis inventor An. 1633.

L’iscrizione di cui sopra è conservata ancora oggi sull’armatura, lo rammenta l’ingegnere Valerio Caposavi in una nota, ceduta a Cesare Pinzi nel Giugno 1893, della quale ho già fatto cenno.

Leggo su Il Tempo del 29 Gennaio 1950:

«Sono giunte da Napoli a Viterbo quattro colossali campane per sostituire quelle della Torre del Palazzo comunale, dell’orologio vecchio e del Castello di Bagnaia, le quali con ammirevole slancio della popolazione, furono donate alla Patria durante il periodo bellico [1941 c.]», il costo delle campane fu, in parte, spontaneamente sostenuto dalla cittadinanza. I lavori di collocamento a dimora furono eseguiti dalla Ditta edile Mancinelli.

In seguito fu deciso di restaurare e consolidare la Torre dei Priori con inizio lavori nell’Agosto del 1981. 

Questi continuarono ancora nel 1982 e venne sostituita la mostra ai due orologi, il lavoro è proseguito fino al 1983 ed è stato eseguito dalla Ditta Alberto Ciorba.

Sul nuovo orologio della Torre dei Priori è scritto il nome dell’artista che lo ha dipinto e l’anno: Bernardi Carlo 1982, di Civita Castellana. L’inizio dei lavori di installazione del grande quadrante che guarda la piazza, è avvenuto il 22 Settembre 1982, è stato posto in opera da Fulvio Pasquini e Domenico Signorelli.

Si nota sul quadrante un cerchio di numeri arabi che vanno dall’1 al 31, questi sono stati ripresi dal quadrante precedente. Un tempo indicavano, grazie ad una apposita sfera, il giorno del mese.

Le mostre dei due orologi sulla piazza e su Via Roma sono identiche, ma in realtà la mostra che era su Via Roma si differenziava, perché non aveva l’indicazione del giorno dall’1 al 31.

Da anni l’orologio tace, alcuni dicono che fu un prefetto che, anni fa, dispose tale ordine perché non riusciva a dormire per il continuo battere delle campane. L’8 Giugno 1983 l’orologio di Piazza del Plebiscito ha ripreso a suonare. Purtroppo per poco. Oggi tace.

Nella parte bassa della torre si apre una singolare finestra ovale, ricavata dalla pancia di un’aquila scaccata, allusiva dello stemma del cardinale Michelangelo Conti, vescovo di Viterbo (1712), che divenne papa nel 1721 col nome di Innocenzo XIII. 

Nel 1935 fu acquistata una sirena per l’allarme durante le incursioni aeree. Nel 1984 la torre è stata restaurata dalla Ditta Alberto Ciorba che ha tolto sulla facciata, verso la piazza, l’intonaco ormai rovinato in cui si vedeva ancora qualche segno di un muro riprodotto a graffiti.

L'orologio sulla Torre dei Priori nel 1860, al di sopra si intravede uno stemma
(Archivio Mauro Galeotti)

Orologio della Torre dei Priori

In merito all’orologio, oltre quanto ho scritto, trovo in un documento che possiedo, una riparazione eseguita «dà mé Giuseppe Jesi ad uso di Vetraro, è Stagnaro […].

A dì d(ett)o [18 Dicembre 1799] per aver ricoperta la Sfera dell’Orologio della Torre, che risguarda verso la Piazza del Commune; con averci messo tre fogli di Latta, di valuta paoli quattro il foglio; comprata dal Sig(no)r Grispigni, ed imbollettata scudi 2:25».

Un altro intervento fu eseguito dall’orologiaro Luigi Parentati, il quale venne liquidato il 6 Febbraio 1800. Il medesimo in data 24 Marzo 1801 scrive:

«Essendo stato commissionato dall’Eccellenza Vostra per portarmi a visitare il castello dell’orologio della Comunità, dopo avere questo esattamente esaminato, ho ritrovato.

Primo esser necessario tornire la serpentina, e riappuntare li denti a taglio.

2° Ringranare due bugi dell’asta del tempo, eliminare parimente le palette del tempo.

3° Ringranare due bugi, che uno regge la serpentina sotto e sopra. 

4° Per aver dimesso la leva del suono della ritirata, e accomodata, e fattoci un pezzo nuovo mastiettato, e dovere il tutto rimettere in buon grado per servizio di questo rispettabile Pubblico. 

In tutto dovrò per il ristretto prezzo avere scudi Tre, dico scudi 3. 

Che è quanto in adempimento di tal ordine ed in fede».

A questo orologio fu fatta la mostra del quadrante ad opera del pittore viterbese Domenico Costa (1816) realizzata dal ceramista viterbese Francesco Ercole. A distanza di pochi minuti, batte la stessa ora per due volte, ciò avviene per avvertire un maggior numero di persone. Sotto il numero IX era scritto al rovescio: Francesco Ercole Viterb(e)se 1816.

L’ingegnere Valerio Caposavi riferisce nel 1893, in merito alla Torre dei Priori, nella nota che ho già citato:

«Nella partitoja della macchina dell’orologio v’è scritto “Josephus Deveze accitanus ab Alesia, Benedicto Capelletti Apostolico Delegato promovente astronomicis horis minuta quadrantes mensiumque dies adiecit anno res. MDCCCXVI”».

Nel 1823 un fulmine cadde sul Palazzo dei priori e, nella notte tra il 9 e il 10 Settembre 1824, un altro fulmine colpì la torre e rovinò l’orologio danneggiando anche i sottostanti locali dove, sin dal 1815, si teneva il deposito dei sali e dei tabacchi.

Si rese necessaria l’installazione di un parafulmine e fu dato l’incarico a Francesco Orioli, che ne aveva già collocato uno a Bologna, sulla Torre degli Asinelli. Previste tutte le spese necessarie per la realizzazione, venne l’ordine di non esecuzione dei lavori perché, secondo il prefetto del Buon Governo, quella era una spesa superflua.

Così ricorda il fatto padre Pio Semeria nelle Memorie:

«Nell’anno 1825 il Sig. Giuseppe Deveze orologiaro ebbe commissione dal Sig. Gonfaloniere Lazaro Arcangeli , sotto la direzione dell’Accademia, che deputò a tal effetto i Sigg. [Bernardino] Mencarini, [Giuseppe] Carosi, [Stefano] Camilli, [Pio] Semeria, un parafulmine sulla torre della piazza del Comune. 

Questa Torre è a palmi 200, ed il parafulmine, che non è stato fatto, doveva sollevarsi sopra la torre palmi» e omette il numero.

Il 17 Agosto 1850 venne pagato l’orologiaio Prospero Devez per aver rifatto la nuova caricatura completa di ferramenti, «Per molle del ventarolo dei quarti nuove, e ripassarci il rotino mettere e dismettere le ruote e rinnovazione dei perni dei Rocchetti».

Una nota curiosa la traggo da un documento del mio archivio:

«Torre dell’Orologio. Tolte le erbe che vegetavano nella mostra rivolta verso la piazza del Comune, lavorazione convenuta con il sig(no)r Gonfaloniere per scudi 3».

Tale servizio al Comune di Viterbo fu reso, nel 1864, da mastro Ignazio Agostini.

Un intervento alla macchina dell’orologio fu necessario nel Settembre 1868 da parte di Francesco La Fontaine per sostituire alcune corde. 

La mostra fu sostituita nel 1892 e scrive ancora l’ingegnere Valerio Caposavi:

«Nella nuova mostra, fabbricata dal Ginori di Firenze, nel 1° quadro a basso sull’angolo Nord-Ovest v’è scritto in graffito - Dipinsero E. Bucherelli, G. B. Ciampi, E. Laffi 1892. 

Il nuovo orologio sulla piccola mostra interna porta scritto Camparzi 1892».

Leggo sul Corriere di Viterbo del 23 Novembre 1893:

«E’ noto che il nostro Municipio, pochi mesi fa, rinnovò l’orologio di Piazza del Plebiscito: poichè la nuova macchina, ed il nuovo quadrante, provenivano da una notissima primaria casa industriale italiana, si sperò che gli spostamenti d’ora, tanto frequenti prima, non avessero più a rinnovarsi. Senonchè oggi siamo nuovamente da capo e l’ora segnata dal suddetto orologio differisce sempre dalla vera di parecchi minuti. […].

Aggiungiamo poi che sarebbe di somma utilità pratica il provvedere all’illuminazione notturna dell’altro orologio, sito in Piazza Vittorio Emanuele, e che ora rimane acceso solamente nelle prime ore della sera per opera di un privato. Trattandosi dell’unico orologio che si trova nel centro della città, non sarebbe male davvero che esso potesse servire al pubblico nelle ore avanzate della notte».

Scrive Francesco Cristofori sul suo giornale Viterbo del 20 Gennaio 1906:

«La mostra nuova dell’orologio. Nel ‘96 fu rinnovata pazzamente, che era marmorea e nel 73 rinnovata con enorme dispendi la mostra dell’orologio della torre Monalda che guarda verso piazza Vittorio Emanuele.

Già in un decennio s’è avvanzata per le intemperie. Costandosi quà e la in mattoni di majolica che la formano a mosaico.

La Giunta provveda a farla restaurare sostituendo i soli mattoni avariati nello smalto».

Nel Regolamento pel regolare andamento dei pubblici orologi, stabilito dalla Giunta in seduta del 7 ottobre 1895 tra l’altro si dispone che il moderatore deve curare il funzionamento degli orologi che si trovano in Piazza del Plebiscito, l’Orologio vecchio, di Porta Fiorentina, di san Sisto e quello del Teatro dell’Unione.

L’orologio di Piazza del Plebiscito doveva essere quello su cui venivano regolati tutti gli altri e quest’ultimo doveva «essere controllato e messo a segno al mezzo di ciascun giorno giusta l’ora che segneranno gli Uffici delle Stazioni Ferroviarie».

L’orologio di Porta Fiorentina era illuminato di notte con la luce a gas e l’accensione e lo spegnimento veniva effettuato dalle guardie daziarie.

 

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