Mauro Galeotti

 A sinistra è la Torre detta della Bella Galiana segue Torre-Porta di Valle con l'abside della Chiesa di santa Maria della Palomba (Fine'800)
(Archivio Mauro Galeotti)

La Bella Galiana di qua, la Bella Galiana di là, e ognuno racconta all'amico la sua storia come meglio crede, poi va davanti al sarcofago in Piazza del Plebiscito, per me meglio Piazza del Comune, e giù ari la Bella Galiana di qua, la Bella Galiana di là.

Tutto qui, poi nessuno si degna di dedicarle un vicoletto, una via, una piazza. Anzi una torre che porta il suo nome, quella a fianco di Porta Faul, non ha nulla a che vedere con la bella fanciulla viterbese, vissuta prima che fosse costruita la torre stessa.

Eppure i Viterbesi d'una volta, avevano maggiore considerazione e rispetto di Galiana che aveva contribuito a definire Viterbo: la "Città belle donne". Leggi qui appresso e lo scoprirai.

 

Chiesa di sant'Angelo in Spatha in Piazza del Comune

Tomba detta della Bella Galiana

In basso a destra era appoggiato alla facciata un sarcofago romano in marmo, raffigurante la caccia al cinghiale caledonio, la caccia al leone Nemeo e la caccia d’Alessandro. In esso si vuole fosse conservato il corpo della Bella Galiana, fanciulla viterbese di rara bellezza, detta la terza meraviglia di Viterbo. Giovanni Nanni scrive sull’Epitome, la traduzione è di Giovanni Baffioni:
«Sesto [pretore d’Etruria] riteniamo che sia stato Valerio Agricola Urbano, il cui sepolcro fu quello che ora è davanti alla chiesa di S. Angelo, che era solito dare la caccia ai cinghiali con un leone da lui addomesticato, come possiamo vedere nelle immagini di detto sepolcro di marmo: sul marmo si legge questa iscrizione: Alla memoria di Valerio Agricola C.V.Q.D. [uomo illustre, questore designato]».

Le lapidi latine murate ricordano che nel 1138 la giovanetta Galiana vi fu tumulata essendo stata uccisa da Giovanni di Vico, che l’aveva chiesta in sposa e più volte era stato respinto.
La prima epigrafe, eseguita nella seconda metà del XVI secolo, riferisce:
Galianae patritiae viterbensi / cuius incomparabilem pulchritudinem / insigni pudicitiae iunctam / sat fuit vidisse mortales / consules maiestatis tantae foeminae / admiratione hoc honoris ac pietatis / monumentum hieroglyphicum ex S(enatus) C(onsultu) ppp (posuerunt) / MCXXXVIII.

Tradotta: A Galiana, patrizia viterbese, la cui incomparabile bellezza si unì a straordinaria pudicizia. Averla vista fu grande premio ai mortali. I consoli, in ammirazione della nobiltà di così magnifica donna, per decreto del Consiglio, posero questo ricordo di onore e di pietà, scolpito nella pietra - 1138.

La seconda epigrafe della seconda metà del XVI secolo, è un rifacimento della più antica tramandata dal cronista Lanzillotto:
Flos et honor patriae, species pulcherrima rerum / clauditur hic tumulo Galeana ornata venusto / foemina si qua polos conscendere pulchra meretur / angelicis manibus diva hic Galiana tenetur. / Si Veneri non posse mori natura dedisset / nec fragili Galiana mori mundo potuisset. / Roma dolet nimium, tristatur Thuscia tota. / Gloria nostra perit, sunt gaudia cuncta remota. / Miles et arma silent, nimio perculsa dolore. / Organa iam fidibus pereunt caritura canoris / anno milleno centeno terque deceno / octonoque diem clausit dilecta tonanti.

Tradotta: Fiore e onore della patria, bellissima sembianza del creato, Galiana con gli ornamenti è chiusa in questo sarcofago. Se una bella donna merita di salire verso il cielo, Galiana è sorretta dalle mani degli angeli. Se la natura avesse concesso a Venere di non poter morire, neanche Galiana sarebbe potuta morire per il mondo caduco.
Roma si duole molto, la Tuscia tutta è triste, la gloria nostra è morta, sono finite tutte le gioie. Il soldato e le armi tacciono colpite da un dolore troppo grande. Organi e cetre vanno in rovina e mai più daranno suono. Nell'anno 1138 chiuse la vita, cara al Signore dei Cieli.

Il 19 Marzo 1549, la caduta del campanile della Chiesa di sant’Angelo, distrusse la facciata e con essa rovinò anche l’antica epigrafe che fu rifatta dai priori i quali aggiunsero ex novo quella superiore.
Probabilmente il sarcofago fu ricollocato a dimora in via provvisoria, come ritiene Attilio Carosi, tanto che solo nel 1589 si provvide a sistemarlo definitivamente. Ad eseguire i lavori di preparazione, della mostra, dei pilastri e delle epigrafi in peperino, fu lo scalpellino Paolo Cenni, inoltre ricevettero compensi, per altre prestazioni, d’opera Bernardino di Calandrino, Tarquinio Ligustri, pittore, ed i mastri muratori Antonio Polini e Martino. Furono tutti pagati tra il 31 Gennaio ed il 28 Giugno 1589.

Il sarcofago nel 1988, per iniziativa dell’assessore Corrado Buzzi, è stato trasferito al Museo civico ed è stato restaurato da Bruno Marocchini e dal collaboratore Barbasan dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma.

La copia che si trova dinanzi alla chiesa, al posto dell’originale, è stata collocata il 22 Dicembre 1998, alle 16,30, è in marmo di Carrara, ed è stata scolpita magistralmente da Luciano Funari.

Il sarcofago, aperto, delusione... era vuoto!


Cosa dicono le cronache sulla mitica Bella Galiana?

Era nata, questa bella figliola, da povera gente ed era tanto avvenente che i giovani venivano anche da paesi lontani per poterla ammirare e, perché no, chiederla in sposa. Fidanzata con un certo Marco, contadino, Galiana respingeva ogni proposta anche se avanzata da nobili.

La Bella Galiana in una cartolina del 1910 c.
(Archivio Mauro Galeotti)

La stessa cosa accadde a Giovanni di Vico, della famiglia dei prefetteschi di Roma. Narra la leggenda che il nobile vide la fanciulla uscire con una amica dalla Chiesa di san Silvestro e avvicinatosi le fece riverenza, ma Galiana neppure lo degnò d’uno sguardo.

Giovanni parve rinunciare al suo desiderio, ma troppo spesso la sognava ricordando la candida pelle, tanto che quando beveva il vino rosso lo si vedeva scendere dalla gola.

Allora Giovanni decise di rapirla, ma il tentativo andò a vuoto per la sorveglianza del fidanzato, unitamente ai suoi amici viterbesi. Passò del tempo e Giovanni, radunato il suo esercito, venne alle porte di Viterbo per porre d’assedio la città, se Galiana non fosse stata sua sposa. La risposta fu un netto e chiaro rifiuto, allora il nobile romano fece sapere ai Viterbesi che avrebbe preso in assedio la città e che se ne sarebbe andato solo se la fanciulla si fosse affacciata da una torre presso l'attuale Porta di Valle, porta-torre attualmente in restauro.

Il popolo ed i priori acconsentirono, ma non appena Galiana si affacciò dalla torre, una freccia scoccata da un soldato prefettesco la colpì alla gola. Grande fu il fuggi fuggi dell’esercito dei di Vico, poiché enorme fu la reazione da parte dei Viterbesi, che furono guidati, scrive Ignazio Ciampi, da Guerriante amante non riamato dalla giovinetta.

Il corpo inerte di Galiana fu tumulato nel sarcofago già descritto.
E’ senz’altro commovente questa triste storia - leggenda tramandata a noi da vari cronisti e storici, che spesso generalizzano il pretendente di Galiana indicandolo come un barone romano.


Carnevale a Viterbo

Il carro di Carnevale Torre della Bella Galiana in Via Roma già detta Via della Calzoleria e poi Via dell'Indipendenza, e in Piazza Fontana Grande nel 1924
(Archivio Mauro Galeotti)

Nel 1924 l’Unione per il risorgimento del Carnevale realizzò due bei carri, il primo aveva per titolo Maschere italiane; il secondo Torre della Bella Galiana, che vinse un doppio premio di milleduecento lire.

Galiana è sulla torre mentre lancia coriandoli.


Via della Discesa


Presso l’imbocco di Via della Discesa è la Cappella della Madonna del Soccorso, all’interno è un altare con un affresco raffigurante la Vergine con Bambino, opera ritoccata del secolo XVII.

La Madonna del Soccorso

Andrea Scriattoli vi individua l’immagine della Madonna della Troia o Madonna della Scrofa, e narra la leggenda locale che vuole che i Viterbesi crescessero nei dintorni una scrofa, alla quale ogni anno davano in pasto una bella fanciulla viterbese, estratta a sorte.

Un anno la sorte volle che fosse scelta la Bella Galiana, ma quando fu portata avanti all’animale perché fosse divorata, d’un tratto un grosso leone balzò fuori dalla boscaglia e afferrata la scrofa, l’uccise.

I Viterbesi felici della liberazione di Galiana decisero di scegliere quale stemma della città il leone. La leggenda è stata costruita dal popolo, grazie anche alla rappresentazione della caccia al cinghiale, divenuto per l’occasione una scrofa, raffigurata sul sarcofago della tomba della Bella Galiana.

La cappella è stata restaurata nel 1991 da Armando Celestini e da Francesco Dominioni.


Via Saffi, già detta Via del Melangolo

Via Saffi, il Palazzetto Poscia detto della Bella Galiana
(Archivio Mauro Galeotti)

Per alcuni Casa Poscia appartenne ai di Vico, per altri ai Colonna, altri ancora al capitano di ventura Paolo Braga, viterbese. Luca Ceccotti, nella Pianta di Viterbo in seta a colori, pone nei pressi Casa dei Colonna di Roma.

La leggenda invece vuole che in questo balcone si affacciasse la Bella Galiana, giovanetta viterbese di rara bellezza, per ricevere i saluti e le riverenze dei cavalieri e nobili, che in lei avrebbero veduto l’ideale consorte. Però nulla vi è di fondato essendo Galiana vissuta nel XII secolo.


Al Museo Civico di Viterbo

Imponente è il sarcofago scolpito su tre lati con scene di caccia al leone da riferire al 270 - 280 dopo Cristo.

La cassa marmorea, riutilizzata nel Medioevo, fu oggetto di venerazione da parte dei Viterbesi, infatti, fin dalla seconda metà del Cinquecento, si volle fosse qui sepolto il corpo della Bella Galiana.

Il sarcofago era murato sulla facciata della Chiesa di sant’Angelo in Spatha ed è stato rimosso nel 1988, essendo stato sostituito da una copia nel 1998.
Il sarcofago era inesorabilmente... vuoto.

Torre del Branca o, impropriamente, della Bella Galiana

A destra di chi guarda Porta Faul è la Torre del Branca.

Torre detta della Bella Galiana nel 1910 c.
(Archivio Mauro Galeotti)

La torre fu eretta nel 1296 ed è più popolarmente nota come Torre della Bella Galiana, pur non avendo nessuna relazione con la storia della fanciulla viterbese, vissuta in tempi anteriori alla sua costruzione. 
Sulla sommità è una pietra rettangolare con a sinistra un martello, al centro due bande ondate e a destra le chiavi papali decussate con l’ingegno verso l’alto. Subito sotto sono murati due stemmi, simili e affiancati, con scolpite le branche di leone, stemma di Corrado del Branca da Gubbio, nominato podestà nel 1295, in carica fino al 1296.

Fu costruita con gli incassi dei diritti doganali provenienti dal porto di Montalto allora tributario di Viterbo.
Nel mezzo della facciata, in una cornice quadrata, è una apertura rotonda, che forse conteneva una iscrizione o un bassorilievo.

Più sotto invece è una bella epigrafe, un po’ erosa, ma che comunque conserva ancora le parole scolpite in carattere gotico antico, essa ricorda:
† I(n) n(om)i(n)e D(omi)ni am(en) a(n)no D(omi)ni MCC / nonag(esimo) VI nobil(is) vir do(mi)n(u)s Co(n) / rad(us) d(e) Bra(n)ca civis Eug(ubinus) pot(estas) / Civitat(is) Viterbii felici suo regi(min)e / decorat(us) honore ha(n)c turrim fec(it) / hedificari de redditu CL libr(arum) / p(a)p(a)r(inorum) que castr(um) Mo(n)tis Alti p(ro) / tertia parte port(us) p(er)tine(n)tis / ad co(mun)e Vit(er)bii tenetur eidem / co(mmun)i solvere a(n)nuatim Deo gr(atias).

Tradotta: Nel nome del Signore, amen. Nell'anno del Signore 1296 il nobile uomo Corrado del Branca, cittadino di Gubbio, podestà della città di Viterbo, onorato per il suo felice governo, fece edificare questa torre con il provento di 150 libbre paparine, che il castello di Montalto / la terza parte del porto spetta al Comune di Viterbo / è tenuto a pagare annualmente al medesimo Comune. Rendiamo grazie a Dio.

E’ del 1186 la prima cessione ai Viterbesi del terzo del porto di Montalto.

Il della Tuccia fa risalire all’anno 1174, la visione della Bella Galiana da questo tratto di mura, infatti «l’esercito de’ Romani venne in assedio a Viterbo per volerla a forza [la Bella Galiana] a petizione d’un lor signore, e stettero gran tempo. 
In fine non possendola avere domandorono grazia li fosse mostrata, e così li fu mostrata sopra il muro de Sancto Chimenti [san Clemente], ove furno scarcati tre merli e di questo contenti tornorno a Roma».

Nell’Ottobre del 1979 è stata restaura la Torre della Bella Galiana, dove era crollato l’arco a causa del terremoto del 1976. I lavori sono stati terminati nel Marzo del 1980.

In questi restauri, nel Novembre del 1979, dalla Ditta Alberto Ciorba, è stata ritrovata, sul lato sinistro di chi guarda l’iscrizione murata sulla facciata, una punta di freccia infilata tra i sassi della torre, forse scagliata da una balestra.

Le notizie storiche le ho tratte dal mio libro "L'illustrissima Città di Viterbo", 2002, Viterbo

 

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