Alla fine dell'articolo 39 foto del fotografo Ezio Cardinali
della Chiesa di san Pietro del Castagno
per far conoscere una chiesa a portata di mano,
ma sconosciuta ai più
 
Mauro Galeotti e Ezio Cardinali
 
A Viterbo, come anche in altre città, le chiese specialmente quelle dedicate alla Madonna sono accompagnate nel titolo "santa Maria" da un'altra parola che ne specifica meglio la chiesa stessa. A Viterbo e dintorni vi erano circa quaranta chiese dedicate alla Madonna tutte seguite da una parola che le distinguesse dalle altre.
 
Santa Maria Nuova, santa Maria della Carbonara, santa Maria della Quercia, santa Maria in Poggio, santa Maria dell'ellera, santa Maria della Ginestra eccetera. Ma anche chiese dedicate a altri santi potevano avere in aggiunta un nome che li specificasse, ad esempio a Viterbo di chiese dedicate a san Pietro ve ne era più di una: san Pietro alla Palanzana, san Pietro dell'Olmo, san Pietro di Castel sant'Angelo o alla Rocca [Albornoz] e san Pietro del Castagno e proprio di quest'ultima ecco la storia accompagnata dalle foto dell'amico fotografo Ezio Cardinali.
 

Chiesa di san Pietro del Castagno
Mauro Galeotti
dal libro "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002

Giuseppe Signorelli colloca una Chiesa di san Pietro nel Vico Antoniano, nel luogo dove poi fu eretta la Chiesa di san Pietro del Castagno. Il Vico Antoniano era a monte di Piazza Fontana Grande. Si trova nominata nell’821, nell’850 ed infine nel 1118 si identifica una Chiesa di S. Petri in casale Antoniano.

Oggi dinanzi a Porta san Pietro è la Chiesa di san Pietro del Castagno. Il cronista Giacinto Nobili, al secolo Raffaele Nobili, domenicano in santa Maria in Gradi, entrato in quell’ordine nel 1595, senza citare la fonte, narra che il complesso conventuale di san Pietro fu costruito per espresso desiderio del cardinale Raniero Capocci e che fu concesso ai Cistercensi intorno al 1220. 

Un documento del 1268 testimonia che in quell’anno nella chiesa era la residenza di frati saccati, così detti per il rozzo saio da loro indossato, chiamati anche Fratelli della penitenza di Gesù. Quest’ultimi, sotto ferree regole, si prodigavano alla cura delle «infermità più ripugnanti». In quell’anno il convento ha già il titolo de castanea, era infatti detto del Castagno.

I Fratelli della penitenza di Gesù, già nel 1283, avevano lasciato Viterbo e papa Martino IV concesse il convento ai Benedettini, governati dalla regola di Cluny, che lo ressero fino al 1470. Nel 1348 si ha notizia della riparazione del refettorio.

Lo Statuto di Viterbo del 1469 stabilisce ed ordina al podestà e ai priori di racchiudere la chiesa con mura perché sia così protetta dentro la città. Non se ne fece nulla.

Il convento, alla fine del Quattrocento, fu tenuto da commissari secolari, sono da ricordare Battista Capocci e Troilo Gatti, del quale si ammira nel giardino dei Padri Giuseppini la bellissima fonte, fatta da lui costruire. Troilo resse in commenda san Pietro del Castagno dal 1464 al 1470. Della fontana è rimasta la vasca che reca scolpito il nome dello stesso Troilo, TRO, e in bassorilievo sono gli stemmi dei Brettoni, col gatto, e dei Gatti, manca la statua di san Sebastiano, ricordata nel 1821 da Pio Semeria «Vi è anche una statua di peperino rappresentante S. Sebastiano legato alla colonna».

La fontana era posta all’ingresso del convento verso Porta san Pietro, poi, intorno al 1955, è stata spostata e rimontata nel giardino della nuova ala del convento con ingresso su Viale Armando Diaz.

Con Bolla del 30 Giugno 1498, papa Alessandro VI concesse il convento ai frati Girolamini, ossia ai poveri eremiti di san Girolamo da Pisa, prodigandosi pure a sensibilizzare il Comune ed i fedeli, perché contribuissero alle spese per restaurare i malandati locali, ricostruire il tetto, rifare la scala d’ingresso, tanto che è del 1505 il cottimo per la costruzione della scalinata.

Nel 1511 è nominata una fonte nel chiostro ed una sovvenzione per la riparazione del tetto è del 1516.

Nel 1526 è nominato un altare del Corpo di Cristo. La chiesa già in stile romanico, venne integralmente rifatta a cavallo dei secoli XVI e XVII, forse con il contributo economico del cardinale Raffaele Riario. 

L’8 Febbraio 1573 venne richiesto un contributo al Comune, che lo concesse in dodici scudi, «Havendo i padri di san Pietro del Castagno dato principio a una nova chiesetta vicina anzi ne la lor propria chiesa» per meglio celebrare le messe. Un altro sussidio di quindici scudi fu concesso il 5 Ottobre 1587 per «accomodare la campana» e il tetto del convento.

Una elemosina, come si diceva a quei tempi, fu chiesta al Comune nel 1603, ma questa volta non fu concessa, a causa delle notevoli spese sostenute dal Comune in quell’anno, e fu rinviata al 22 Aprile del 1604, quando fu utilizzata per coprire il tetto e terminare la chiesa. Era prevista una spesa complessiva di mille scudi ed il Comune in quell’occasione contribuì con cento scudi l’anno da versare per tre anni. Però, nel 1606, il lavoro di copertura non era ancora terminato, infatti, si fece richiesta di travi a Soriano e, il 5 Luglio 1610, furono elargiti altri cento scudi di contributo per portare finalmente a termine la costruzione. Nel 1620 Virginia Musacchi, diseredando due figli malvagi, a mezzo testamento del 24 Marzo, fece alcuni lasciti al convento e all’Ospizio di san Carlo.

Poi, tra il 1621 e il 1622, il cardinale viterbese Scipione Cobelluzzi assunse l’onere della costruzione della facciata e della nuova scalinata eseguita dallo scalpellino Antonio Covati.

Nel 1622 è nominata la Cappella di san Filippo costruita da Filippo e Orazio Mancini, dotata poi di un quadro del viterbese Bartolomeo Cavarozzi (1590 c. - Roma 1625), raffigurante san Filippo apostolo, ancora esistente nel 1873. Più esattamente il cognome del pittore è della Cavarozza, come mi suggerisce lo studioso Noris Angeli.

L’Arte dei Fornaciari, nel 1643 si obbligò ad officiare la Cappella di san Nicola posta a sinistra dell’ingresso, subito dopo quella di san Filippo del Mancini, col patto però che vi fosse stato ordinato un dipinto raffigurante san Niccola e sant’Onofrio. Un restauro del tetto fu eseguito nel 1705.

Nel 1798 venne soppresso il convento ed il 6 Giugno di quell’anno, a mezzo pubblico manifesto, fu posta in vendita tutta la mobilia e nel 1818 la chiesa fu ridotta a cimitero per accogliere i morti per l’epidemia scoppiata l’anno avanti. Poi, nel 1825, vi si insediarono i Frati della Penitenza, ordine monastico che nel 1933 fu soppresso da papa Pio XI. Questi vennero dalla Chiesa di san Silvestro dove risiedevano dal 1766.

Nel 1827 fu concesso un sussidio per i restauri della chiesa e del convento. Si trattò di duecento scudi da versare trenta l’anno, per sei anni e il settimo solo venti. In quell’anno fu concessa ai Padri Scalzetti di Gesù Nazareno, come ricorda padre Pio Semeria, e fu riaperta al culto il 29 Giugno 1877, mentre la scalinata fu restaurata nel 1899.

Dal padre benedettino Luca Linke, tedesco, furono eseguiti, nel 1905 - 1906, altri restauri alla chiesa. Nella sua particolare maniera, Francesco Cristofori scrive sul suo giornale Viterbo il 20 Settembre 1905:

«Continua il restauro, a uso e a stil d’arte, della chiesa monumental di san Pier del Castagno. A cura ed a spese del benedettino teutonico munifico laico oblato Luca Lynch. Il capo mastro murario è l’amico Ricci. Or gli agnellini de’ muratori scorazzan per la chiesa a lor libito. Occorron centomila lire almanco, per restaurar la chiesa, il convento, la meravigliosa fonte ogival gattesca e la vigna».

Ancora un restauro è eseguito nel 1983, senza modificarne la struttura.

La chiesa e il convento sono tenuti sin dal 1936 dai Padri Giuseppini del Murialdo che nel ricostruito convento hanno impiantato la sede dello Studentato Internazionale Teologico.

La chiesa ha avanti a sé un’ampia scalinata in peperino, protetta da parapetti, che presentano scolpiti gli stemmi del cardinale Cobelluzzi, sovrastati da grosse sfere, sempre in peperino.

La facciata si presenta a due ordini, con alla sommità fiamme in pietra che si innalzano nel cielo, l’intonaco è spezzato da lesene in peperino, con in alto figure di angeli. Al centro si apre un finestrone e sul timpano è lo stemma del cardinale Cobelluzzi, un cane collarinato e fascia capriolata.

Sulla grande mensola centrale è l’iscrizione commemorativa della dedica della chiesa, datata 1622: Ad honorem b. principis apostolorum a. D. MDCXXII.

Sul portale, sotto allo stemma pontificio, è ricordata in un cartiglio, tra decorazioni floreali, l’unione alla Basilica di san Giovanni in Laterano di Roma, avvenuta con diploma del 1618.

Sui pilastri, posti ai lati, sono ancora due stemmi del Cobelluzzi e nella lunetta è una testa d’angelo tra le ali.

La fiancata sinistra, posta su Via Vetralla, è evidenziata da alcuni caratteristici contrafforti. Vi sono, inoltre, le tracce delle mura antiche con finestroni del secolo XIII e resti di archi. Il campanile è a vela a due fornici sovrapposti con due campane e due archetti più in basso.

Superata la soglia d’ingresso ai lati sono due acquasantiere in peperino, con la vasca circolare poggiante su una esile colonnina. Su ciascun lato sono tre cappelle, con archi e mostre in peperino, unite tra di loro da passaggi ricavati nel muro.

La pianta dell’edificio è rettangolare con l’abside quadrata, il soffitto è a volta.

La cupola è a volta ribassata e sostiene un cupolino, nelle vele sono affrescati gli Evangelisti, opera del XVII secolo, e nella chiave dell’arco in peperino, sopra alla navata, è lo stemma di Viterbo che poggia su una mensola caratterizzata da un cherubino, il tutto in peperino.

Nella prima cappella di destra è una pala d’altare con la Madonna e san Giuseppe con Gesù Bambino che le salta in grembo, santa Elisabetta e san Zaccaria con san Giovanni Battista bambino del XVIII secolo, assai particolare la cornice del quadro dorata caratterizzata da decorazioni floreali e da un cherubino collocato sulla mezza luna, montata nella parte superiore.

La seconda cappella è dedicata a sant’Antonio da Padova col Bambino, raffigurato in una recente statua di non importante realizzazione. Sul pavimento avanti a questa cappella è scolpito, su una mattonella di marmo, RR. PP. de Poenitentia.

La terza cappella è dedicata a santa Maria delle Grazie nominata nel 1607, quando il Capitolo concesse, a Vincenzo Angelini del fu Cesare, di famiglia patrizia, la costruzione della cappella stessa a cornu Epistolae. Conserva ancora la fossa per accogliere i corpi dei parenti defunti e lo stemma della famiglia: il bracco sormontato da una stella e tre palle. Nel 1616 Angelini dotò l’altare di trecento scudi e, lo stesso anno, Lorenzo del fu Bernardino Ricciaboni acquistò un drappo per proteggere l’immagine della Madonna.

Presenta affreschi con raffigurati a destra la Crocifissione, sulla volta la Vergine incoronata dalla ss. Trinità, a sinistra la Decollazione di san Giovanni Battista, tutti del XVII secolo. Sopra all’altare in peperino, ornato da colonnine e fregi, sono dipinti gli angeli musicanti e no che coronano la Madonna delle Grazie, un affresco del XVI secolo che sembra provenire da altro sito. E’ pure visibile in basso a destra il ritratto del donatore che ostinatamente guarda chi l’osserva.

La quarta ed ultima cappella presenta una statua dell’Immacolata concezione. A sinistra della stessa cappella è l’Ultimo colloquio di san Benedetto con santa Scolastica rappresentato in altorilievo in un pannello di legno dipinto. Altro simile è posto a destra della quarta cappella di sinistra e raffigura san Mauro, san Benedetto e san Placido, tutti e due sono opera degli inizi del 1900.

Davanti a questa quarta cappella, sul pavimento è l’iscrizione:

Ioannis Gaggiottini / qui ob. X Kal. Apr. MDCCCLX / ossibus et cineribus reuicturis / pacem iustorum adprecamini.

In fondo al presbiterio è il dipinto, di autore ignoto, Crocifissione di san Pietro, della fine del XVI secolo.

Sulla parete seguente è la quarta cappella con la statua del Sacro Cuore, nella terza è un bell’altare in peperino ornato con vernice d’oro, con al centro la statua di san Giuseppe col Bambino, sulle basi è uno stemma fasciato di oro e di nero ripetuto per simmetria. Avanti sul pavimento è una mattonella in marmo con scolpito: Horatius De Mancinis / ann. 1621. Il Palazzo Mancini, poi Calabresi, è in Via Calabresi con lo stemma graffito sulla facciata.

Nella seconda cappella, è l’opera recente di Franco Verri, raffigurante san Leonardo Murialdo con operai e studenti; davanti, sul pavimento, è una mattonella in marmo con la scritta RR.PP. Benedectini. L’ultima cappella porta un altare sovrastato da colonne che sorreggono semicuspidi, che si può far risalire al ‘700.

L’organo posto nella cantoria, sopra l’ingresso principale, è datato 1834 sulla canna maggiore di facciata ed è opera di Angelo Morettini di Perugia. Si presenta a cassa indipendente con facciata a cuspide centrale. Sulla tavola del leggio è scritto:

Metodo di registrare il presente organo del Sig. A. Morettini Perugino. E’ stato restaurato nel 2001.

Nella sacrestia è conservata la pala d’altare con la Madonna e san Crispino vescovo del XVIII secolo.

 40 foto del fotografo Ezio Cardinali 

 

 

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