“Fegato di Piacenza”

Archeologia in pillole
Dal Museo territoriale del Lago di Bolsena

 

Pietro Tamburini Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

1ª puntata
Archeologia in pillole: Le “aiole” del Lago di Bolsena
2ª puntata
Archeologia in pillole: Una caldera, non un vulcano

Voltumna e il suo santuario

Pur essendo considerato dalle fonti classiche come la principale divinità d’Etruria, il nome di Voltumna – forma latina probabilmente derivata dall’etrusco *Velthumena - stranamente non compare nell’elenco di figure divine riportato sul cosiddetto “Fegato di Piacenza”, riproduzione in bronzo di un fegato di pecora, rinvenuto nel 1877 a Decima di Gossolengo (presso Piacenza) e databile tra la seconda metà del III secolo a.C. e la metà del secolo successivo (fig. 1); un modellino anatomico diviso in tanti settori, ciascuno contenente uno o più nomi divini, creato a scopo didattico per una scuola di aruspicina (dove si insegnava l’arte di predire il futuro attraverso l’osservazione delle viscere degli animali sacrificati, per cui gli Etruschi andavano famosi) o come promemoria per l’attività di un aruspice.

Un secondo motivo di intrigante curiosità riguarda la raffigurazione di questo dio, di cui possediamo stranamente una sola immagine sicura, che troviamo incisa sul rovescio di uno specchio bronzeo da Tuscania (fig. 2): una figura giovanile con barba e fluente capigliatura, in nudità eroica, armato di lancia e definito dalla didascalia scritta sopra di lui "Veltune".

Forse la ragione della scarsità di fonti relative a questa divinità risiede nel fatto che, secondo alcuni autori, il nome di Voltumna non designava una divinità autonoma rispetto alle altre ma era semplicemente un epiteto riferito a Tinia, la massima divinità d’Etruria, l’equivalente del Giove romano e dello Zeus greco. Ma si trattava di un Tinia di un genere del tutto particolare che, invece di essere il re dell’Olimpo, era il signore incontrastato degli Inferi, una sorta di Ade-Plutone, e come tale era particolarmente venerato nel territorio volsiniese - a Vèlsena/Volsinii (Orvieto) e, dopo la distruzione di questa operata dai Romani nel 264 a.C., a Velzna/Volsinii (Bolsena) - dove aveva sede il suo fanum, il santuario federale della Lega etrusca, presso cui, come accadeva in Grecia a Olimpia, si riunivano periodicamente (o quando se ne avvertiva la necessità) i rappresentanti delle città/stato d’Etruria per celebrare assieme giochi e riti, per discutere questioni di politica internazionale e per elaborare comuni strategie.

Distrutta la Volsinii etrusca (Orvieto) e saccheggiato il grande santuario posto ai piedi della rupe orvietana, Voltumna fu ricevuto con tutti gli onori a Roma, anche se non sappiamo se fu oggetto del rituale dell’evocatio: una procedura che i Romani adottavano frequentemente per risarcire in qualche modo (se così possiamo dire) la divinità protettrice della città conquistata, tributandole grandi onori e dandole una nuova e più sontuosa sede.

Dopo secoli di inutili ricerche e di fantasiose illazioni, il grande santuario di Voltumna, già indicato dalle fonti classiche (sia letterarie sia epigrafiche) apud Volsinios (cioè “presso Volsinii”), è stato finalmente localizzato nella vallata a meridione della rupe di Orvieto – nella località indicata dal significativo toponimo di “Campo della Fiera” - ed è già stato parzialmente riportato alla luce nel corso di campagne di scavo annuali iniziate nel 2000, condotte in un primo momento dall’Università di Macerata e successivamente dall’Università di Perugia, costantemente sotto la guida di Simonetta Stopponi.

Come il santuario di Olimpia, anche il Fanum Voltumnae sorgeva in un’ampia vallata, dove trovavano spazio sufficiente sia il settore religioso (con il tempio della divinità principale e i templi di altre divinità, i donari, i depositi votivi, le statue di culto), sia la zona destinata alle strutture ricettive e di intrattenimento (come i porticati, gli alberghi, il teatro) sia, infine, i grandi edifici per i giochi e le gare atletiche (lo stadio, l’ippodromo, le palestre). A seguito, ormai, di un ventennio di indagini a Campo della Fiera, è stata riportata alla luce una strada lastricata perfettamente rettilinea, larga ben 7 metri, una vera e propria "via sacra" che, attraversata l’area del santuario, si dirigeva verso un grande tempio (probabilmente proprio quello di Voltumna) costruito in posizione sopraelevata e collegato alla strada con un’ampia scalea.

Attorno altri edifici sacri minori, altari e donari, depositi votivi colmi di reperti databili tra la metà del VI e la prima metà del III sec. a.C., iscrizioni di dedica a divinità, una delle quali contenente anche una definizione del santuario (fig. 3), chiamato “luogo celeste” (faliathere) al termine di un'epigrafe arcaica incisa sulla base di una delle 2000 statue che, secondo Plinio il Vecchio, il console Fulvio Flacco (il distruttore della città) portò a Roma per il suo trionfo; ma poi anche strutture di epoca romana sovrapposte a quelle etrusche (un impianto termale, tratti pavimentali, strade basolate), oltre ai resti della perduta chiesa di San Pietro in Vetera, abbandonata nel corso del XIV secolo, a riprova di una successiva lunghissima frequentazione dell’area santuariale che, ormai privata per sempre della sua funzione politica e religiosa a seguito del saccheggio e della devastazione a cui fu sottoposta nel 264 a.C. in coincidenza con la conquista e distruzione di Vèlsena/Volsinii (Orvieto), dopo quella data fu piegata agli usi più diversi, financo come cimitero, almeno a giudicare dalla presenza in vari settori del santuario di alcune tombe a cassone e a fossa databili successivamente al III sec. a.C. e, in tempi recentissimi, anche come luogo di fiere (da cui il toponimo di Campo della Fiera) e perfino come campo di calcio.

I Volsiniesi sopravvissuti alla conquista romana del 264 a.C. furono deportati sulle sponde del vicino lago, dove ricostruirono la loro città e dove, verso la fine del I sec.a.C., riprese vigore il culto di Voltumna, a cui venne dedicato un nuovo santuario, nell'ambito del grande progetto augusteo teso a restituire ai popoli italici ormai del tutto romanizzati le loro antiche tradizioni. Importanti indizi della presenza di questo rinato Fanum Voltumnae, ormai privato di ogni valore politico e simbolico, sono riconoscibili nei resti di antiche strutture venute alla luce vent'anni fa nella vallata interposta tra la risorta Volsinii e il lago, una delle quali di imponenti dimensioni (forse il teatro) (fig. 4), andando così a completare il quadro archeologico ricostruibile anche sulla base del famoso rescritto costantiniano di Spello, redatto nel 337 d.C., dove agli Umbri era consentito di riunirsi annualmente presso il loro santuario etnico, senza essere costretti a raggiungere quello degli Etruschi, localizzato aput Vulsinios (ovviamente presso Bolsena, dato che Orvieto era distrutta da secoli), dove, tra le altre cose, si tenevano agoni teatrali e giochi gladiatori (ludos schenicos et munera gladiatoria).

 

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