Viterbo STORIA

Disegno di Busiri Vici del 1898

Un Convento dimenticato è quello dei santi Simone e Giuda che si raggiunge da Largo Vittoria Colonna o da Via Capocci dove è la sede del 118. Eppure è carico di storia. Un altro bene che se ne va.
Propongo qui appresso la storia scritta da Padre Adolfo Porfido (m.g.)

Ingresso del Convento dei santi Simone e Giuda

Chiostro del Convento dei santi Simone e Giuda

Padre Adolfo Porfido


Devo all’amico Bruno Blasi di Tarquinia la stesura di questo articolo sul monastero in parola.

Egli mi ha fatto conoscere un manoscritto esistente nell’archivio storico della Società Tarquiniense d’Arte e Storia, dal titolo CRONACA DEL V. MONASTERO DEI SS. SIMONE E GIUDA IN VITERBO E TRASFERIMENTO DEL MONASTERO IN VITORCHIANO.

            Questi appunti di cronaca furono raccolti dal P. Giustino Fedeli dei Minori di Montecelio, già confessore del monastero, e consegnatone copia al Monastero di Vitorchiano. Nel rimettere tale manoscritto alle suore di Vitorchiano, l’autore dice che vi ha aggiunte diverse annotazioni per dare un’idea delle religioni dei frati che l’hanno abitato.

            Allora bisogna concludere che il manoscritto di Tarquinia nell’inviarlo è stato completato ed è appunto quello che si trova nell’archivio del Monastero di Vitorchiano.

            Il sottoscritto, però, quest’ultimo l’ha conosciuto dopo quello di Tarquinia. Per questo ho detto di ringraziare che me lo ha fatto conoscere per prima: la conoscenza di questo mi ha portato all’altro dell’archivio di Vitorchiano più completo.

            Nel 1242 l’Imperatore Federico II (1194-1250) assediò Viterbo che, circondata da ogni parte, fu costretta ad arrendersi. Questo tiranno poi per sua abitazione fece erigere un sontuoso palazzo vicino al monastero di S. Rosa e alla porta detta della “Verità”.1

            Detto palazzo abbandonato, con l’andar del tempo andò in completa rovina onde il Card. Rainiero Capocci viterbese e Vescovo di Viterbo2 ne ordinò la completa demolizione.

            Il suolo fu dato ai Monaci Rumeni di S. Basilio perché vi costruissero un ospedale e una chiesa per i pellegrini della loro nazione. Tale chiesa e tale ospedale presero il nome dei Santi Simone e Giuda3.

            Questo complesso però fu abbandonato dopo appena 10 anni. Era stato lasciato per le continue guerriglie cittadine e per i continui disturbi che turbavano la quiete degli abitatori.

            Dopo i monaci basiliani, il 1° marzo 1445 vennero i Frati detti Gesuati, fondati dal B. Giovanni Colombini (1304-1367): costoro oltre ad attendere alla loro santificazione, pensavano anche alla cura dei malati negli ospedali4; ma anche questi, dopo 22 anni circa, passarono nel santuario della Madonna della Quercia5, perché il Priore del Comune aveva creduto più conveniente affidare a questi l’ufficiatura del miracoloso santuario.

            Dopo i Gesuiti venne il Terz’Ordine Francescano, perché?

            La predicazione in Viterbo del grande predicatore francescano S. Bernardino da Siena (1384-1444), nella quaresima del 1426, portò copiosi frutti: molte donne per riparare il “lusso muliebre, piaga sociale, causa di tanti disordini e rovine delle famiglie” abbracciavano la regola del Terz’Ordine Francescano o della Penitenza, come mezzo efficace per riparare e rifarne i costumi.

            Menavano vita comune ma senza voti, almeno per allora, sotto la direzione di una di loro che veniva chiamata Ministro; nacque così nel 1428 la prima congregazione di Terziarie. All’inizio si trovavano a far vita comune in una casa della contrada S. Tommaso, sotto il titolo di S. Agnese. Di questa prima congregazione se ne parlerà a parte.

            Un’altra simile congregazione dimorava nel palazzo degli Anfanelli  ed era composta di n. 6 elementi che avevano come ministra una certa Caledonia, donna di specchiate virtù e una tale Angela da Vetralla (Vt) come Priora.

            Queste, vedendo l’abbandono totale del monastero e della chiesa dei santi Simone e Giuda, si rivolsero al Papa Sisto IV, anch’esso francescano, perché desse loro tali locali. La richiesta fu accolta il 26 aprile 1479.

            Per la loro capacità, la loro industria e le elemosine che affluivano, chiesa e monastero rifiorirono sotto tutti gli aspetti, non escluso quello economico.

            Venuta però a morte Suor Angela da Vetralla, forse pure per interni dissensi e forse ancora per difetto di viveri, inaspettatamente si sciolse tale congregazione e quindi fu abbandonato tutto: ciò avvenne alla fine di marzo o ai primi di aprile del 1487.

            Dopo la partenza di queste terziarie, avvenne un episodio: parte delle suore del vicino monastero di S. Rosa penetrarono furtivamente nel recinto dei locali per impossessarsene, ma il loro poco edificante esempio fallì.

            Dopo la partenza della prima congregazione terziaria, ne vennero altre, sempre terziarie, sotto la guida dei Frati Minori Osservanti di S. Maria del Paradiso6; venivano chiamate Pinzochere o Beghine francescane o di S. Bernardino: vivevano riunite in una casa vicino alla chiesa di S. Sisto.

            Col tempo poi queste suore furono consigliate a passare tra le clarisse e di professare la loro regola. Questo avvenne sotto il pontificato di Alessandro VI (1492-1503) che diede facoltà al Priore della chiesa dei Santi Faustino e Iovita7 di portarsi a S. Simone e Giuda; e, a tenore delle disposizioni del suo predecessore Innocenzo VIII (1484-1492), ammettesse tutte quelle suore alla professione della regola delle clarisse perché “venissero bene ammaestrate nello spirito della nuova regola abbracciata. Furono messe sotto la guida di sei religiose di santa vita del monastero di S. Damiano di Roma8, fra le quali primeggiava una tale Suor Antonia da Siena. Queste sante riformatrici o formatrici furono accompagnate in Viterbo dal Rev.mo Vicario Generale dei Frati Minori, P. Angelo da Chivasso (1411-1495); giunsero a Viterbo il 9 Maggio 1493 ed erano ad attenderle il Magistrato e il popolo con gioia ed entusiasmo.

            La sunnominata Suor Antonia ricevette le chiavi della clausura e fu la prima ad essere investita del titolo di Badessa. Ministro generale dell’Ordine era P. Francesco Nanni e Ministro Provinciale della Provincia Romana P. Angelo Cinti da Valmontone9.

            Queste suore furono talmente esemplari nella loro condotta che molte giovani chiedevano di abbracciare la vita claustrale di S. Chiara; vissero sempre nella piena osservanza della regola professata tanto che nel 1508 alcune di loro furono mandate ad Orvieto per fondare il monastero di S. Chiara10. Pio V poi, volendo riformare il monastero di S. Silvestro in Capite di Roma11, il 22 febbraio 1570 ordinò al P. Guardiano del convento del Paradiso, sempre di Viterbo, di accompagnare a Roma quante monache dei Santi Simone e Giuda volessero andare per lo scopo indicato. Il 10 marzo di detto anno, ne scelse n. 9 e collocatele “dentro un cesto” sopra i muli, le portò a Roma: una di quelle, suor Veronica, fu eletta badessa una certa suor Chiara, Vicaria.

            Altre suore probabilmente dei Santi Simone e Giuda andarono a Vetralla col proposito di aprire anche lì un altro monastero di clarisse, ma non ci riuscirono; si è detto probabilmente, perché essendo badessa una certa Angelica Brusciotti di Vetralla nel 1514, costei, con i dovuti permessi, pare abbia mandato in Vetralla diverse monache per arricchire la città natale di un monastero di clarisse.

            Negli anni successivi la vita claustrale dei Santi Simone e Giuda dovette svolgersi tutta regolare. Si ebbe qualche paura quando nel 1527 la città di Viterbo venne occupata dalle truppe ispano-tedesche: il monastero fu saccheggiato e derubato ma le suore non furono soppresse.

            Nel 1712 una suora, certa Felice Tiberia Marazzi, col permesso dovuto, si trasferì nel monastero di S. Bernardino sempre di Viterbo e quivi visse santamente e morì in concetto di santità il 24 marzo 172012.

            Nel 1746 sempre in S. Simone e Giuda vi morì in concetto di santità altra Suora.

            Altra paura ebbero le suore  quando fu proclamata la Repubblica Romana il 15-2-1798; si temette ancora una soppressione che non avvenne per allora ma quando nel 1810 (1 settembre) Napoleone, proclamato imperatore dei Francesi, scese in Italia. Con dolore allora le nostre suore furono costrette ad abbandonare il monastero e lasciare l’abito: il loro confessore P. Serafino da Caprarola, per non aver voluto prestare giuramento, fu confinato nella Corsica.

            Dopo la caduta di Napoleone il 12 febbraio 1815 le suore disperse ritornarono al loro monastero “con giubilo e contento”.

            Dopo tale ritorno, furono accolte altre suore di altri monasteri: una del monastero del Divino Amore di Montefiascone, una del monastero di  S. Croce di Magliano Sabino e del monastero di S. Chiara di Orvieto13. Altro pericolo grave avvenne nel 1848 durante la repubblica mazziniana: “in quei giorni della repubblica fu invaso il monastero dai rivoluzionari e le suore ebbero molto a soffrire: era giunta la minaccia di soppressione ma anche allora non successe nulla di irreparabile. Ci si mise pure il Card. Giovanni Bedini, vescovo di Viterbo che nel 186214 fece tutto per espellere le suore perché voleva fare del monastero un orfanotrofio, ma non ci riuscì perché i confratelli del conv. S. Maria del Paradiso si opposero con tutti i mezzi perché non riuscisse tale piano; neanche furono mandati via dai garibaldini nel 1867 anzi li trovarono difensori.

            Conquistata tutta l’Italia e Roma dagli unitari nel 1870, furono allora applicate, anche a queste nuove conquiste, le leggi di soppressione del 1860: il 1° novembre 1873 fu firmato il decreto d’incameramento del monastero mentre potevano restarvi solo n.6 religiose con vitalizio. Nel 1876 il P. Generale dell’Ordine P. Bernardino dal Vagno mandò in Dalmazia una delle suore di S. Simone e Giuda come maestra delle novizie. Morta questa in concetto di santità, ne fu chiesta un’altra ma non fu possibile accontentare la richiesta.

            Si arrivò così al 1881 quando alcuni maligni comunicarono al governo che altre suore erano state ricevute e accolte nel monastero. Subito il 5 gennaio fu ordinato il concentramento15 delle suore con quelle di S. Bernardino. I confratelli di S. Maria del Paradiso fecero molto perché non venisse eseguito tale passo. A ciò si aggiunge anche un particolare: essendo state espulse dal Cairo le monache egiziane, il Governo fu costretto a farle alloggiare in numero di 25 nel nostro che stava per essere chiuso, altre 4 furono accolte nel monastero di S. Rosa e 4 in quello di S. Caterina.

            Tutto quindi fu rimandato.

            Comunque tra minacce, incertezze e avverse volontà degli uomini si arrivò al 18 dic. 1908 quando il Municipio fece sapere che voleva la chiusura del monastero. Il 6  febbraio 1909 tutte le suore, riunite in capitolo, decisero all’unanimità di non riunirsi in alcun monastero ma di trovare altro locale adatto per vivere in pace e ricevere vocazioni. Fu trovato questo locale: un ex convento di Vitorchiano.

            Prima di abbandonare il loro monastero, per evitare la forte spesa per il trasporto di oggetti d’uso della nuova casa, se ne disfecero di vari altri: il coro, le campane, il vecchio e inservibile organo, i cinque altari di legno, l’acquasantiera, vari altri immobili, l’altare dell’infermeria ecc.

            Il 24 luglio 1909 fu fatto l’atto di riparazione con la seguente preghiera: “Signore Dio Onnipotente. Eccoci prostrati avanti al Trono della vostra Divina Maestà; come raminghi e pellegrini su questa misera terra, per dura e continua lotta scoraggiati e stanchi, oppressi da affanni e croci, col cuore straziati da tante amarezze e cogli occhi ripieni di lacrime per essere costretti ad abbandonare questo vostro sacro Tempio, che per i nostri peccati, avete decretato che venga tolto dal numero di quelli dedicati al Vostro Divin Culto, che ridotte queste vostre Sacre Spose a cercare asilo in altra terra. Adoriamo sì le vostre ammirabili disposizioni, riconoscendone in  noi stessi la causa. Prima però di varcare la soglia di questo santo luogo, noi unitamente vi chiediamo perdono delle tante offese e irriverenze commesse da me povero e miserabile peccatore e vostro indegno ministro, da queste vostre sacre Spose e da tutto il popolo di questa città, e con questo atto di umiliazione intendiamo di placare la vostra Divina Maestà giustamente irritata per i nostri peccati. Sì o Signore clementissimo, abbiate pietà di noi e perdonate i nostri falli, affinché possiamo sempre esaltare le vostre ineffabili misericordie = In aeternum Cantabo… Deus Meus misericordia tua…

            Versate su di noi tutti un fluvio di celesti benedizioni = Sit super populum tuum benedictio tua. Rivolgete benignamente il nostro amoroso sguardo su queste vostre elette Spose e con speciale benedizione infiammatele sempre più  nel vostro santo amore, concedendo loro una esemplarità di costumi che una serva di accitamento all’altra. Difendetelo dagli assalti dello spirito maligno, che distrugge nei cuori l’amore fraterno, ed infondete a tutte il vostro santo spirito, che è spirito di carità di amore e di concordia, operando sì   che risiedendo fra loro, si conservi inalterabile la pace e la vera unione fraterna, virtù tanto necessaria a tutti coloro che sono dedicati in special modo al vostro santo servizio: affinché un giorno tutto unite, siano fatte degne di venire a cantare in eterno le vostre Misericordie”.

            Dopo fu recitato il Miserere, fu data la Benedizione col Santissimo e fu chiusa la chiesa.

            Il 31 (sabato) al mattino fu applicata una santa messa per le religiose defunte del monastero; a sera inoltrata, accompagnate da vari cittadini e da religiosi del Conv. del Paradiso di Viterbo, partirono per la nuova casa. Giunte a questa nuova casa, trovarono la piazza gremita di popolo.

 

            BIBLIOGRAFIA

            SIGNORELLI 1963 – M. Signorelli, S. Rosa da Viterbo, Viterbo.

            Guida storica religiosa di Viterbo (a cura dei parroci di Viterbo) 1993-1994.

            ZUCCONI 1969 – G. Zucconi, La Provincia francescana romana.

            ANONIMO 1907 – S. Bernardino – S. Giacinta 1426-1807, notizie storiche, Tip. Cionfi, Viterbo.

            Atti del XX Convegno Internazionale Assisi 15-17 ottobre 1997

            Cronaca del V. Monastero dei SS. Simone e Giuda in Viterbo e trasferimento del Monastero in Vitorchiano, a cura di P. Giustino Fedeli, carte sciolte, Archivio Storico della Società Tarquiniense d’Arte e Storia, Tarquinia.

1 Sull’origine di questo monastero cfr. Mario Signorelli, S. Rosa da Viterbo, Agnesotti Viterbo 1963, pag. 213.
2 Raniero Capocci fu Vescovo di Viterbo 1226-1236.
3 Su questo monastero cfr. Signorelli op. cit. pag. 287.
4 Su questo beato cfr. la Cil’enciclopedia cattolica.
5 Su questo santuario molto venerato in Viterbo cfr. Guida storica religiosa di Viterbo (a cura dei parroci di Viterbo) 1993-94, pag. 58.
6 Su questo convento cfr.  G. Zucconi O.F.M., La Provincia francescana romana 1969, pag. 166.
7 La chiesa dei Santi Faustino e Giovita fino al 1977 era parrocchia, poi il titolo passò alla Chiesa della SS. Trinità officiata dai Padri agostiniani.
8 Sul monastero di S. Cosma e Damiano, eretto tra il 1288 e il 1241, cfr. Atti del XX Convegno Internazionale Assisi 15-17 ott. 1997, pag. 8.
9 P. Francesco Nanni fu Ministro Generale dell’Ordine dal 1575 al 1599 Angelo Cinti da Valmontone fu eletto il 16 maggio 1692 a Orte.
10 Il monastero di S. Chiara di Orvieto (l’attuale S. Lorenzo in Vineis?) venne dopo il 1228.
11 Sul monastero di Silvestro in Capite di Roma cof.o.c. alla nota 9. Facilmente fu costruito dopo il 1266 cfr. Zucconi op. cit. pag. 179.
12 Sul monastero S. Bernardino di Viterbo cfr. Zucconi, op. cit. pag. 178. Si veda anche un dattiloscritto anonimo dal titolo: S. Bernardino-S.Giacinta 1426-1807 notizie storiche, Viterbo. Tip. Cionfi 1907.
13 Sul monastero del Divino Amore di Montefiascone non trovo notizie almeno che non abbia cambiato nome. Su quello di S. Croce di Magliano cfr. nota 9, pag. 77.
14 Costui fu vescovo di Viterbo dal 1861 al 1864.
15 Sul così detto “concentramento” vi furono disposizioni governative che obbligavano i religiosi e religiose di concentrarsi, raccolti insieme, ammucchiati in una qualsiasi casa religiosa.

 

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