Incisore anche cartografico, disegnatore e mercante di stampe, è con molta esattezza definito in un gruppo di documenti citati dallo Ehrle (p. 12) come "intagliator seu incisor".

Poiché, oltreché "Cartarus" e "Cartarius" si firmò anche "Kartarus" e "Kartarius" e usò indifferentemente la sigla "MC" e "MK", ancora dal Bartsch e dal Le Blanc fu ritenuto di origine nordica, anche se la firma "Marius Kartarius Viterbensis" apposta alla Pianta di Roma del 1579 (Celeberrimae urbis antiquae fidelissima topographia con dedica a Giovanni Giorgio Cesarini) avrebbe già dovuto essere illuminante sulla sua origine. L'origine viterbese fu ampiamente documentata dal Federici (p. 537), che rilevò anche che in due documenti autografi del gennaio 1581 con i processi verbali e gli inventari dell'eredità del Lafréry (Arch. di Stato di Roma) l'incisore si firmò con la "C.".

Origine orvietana gli attribuì, invece, senza documentarla, A. Baudi di Vesme (Schede Vesme, I, Torino 1963, p. 278) scrivendo di Gregorio Cartaro e presumendone una parentela. Così come il Federici ritenne che il C. non fosse imparentato con Carlo Cartari di Orvieto, né con Giulivo, Muzio e Flaminio Cartari (p. 539), altrettanto non è verosimile che egli sia stato in rapporti di parentela con il "Cartaro padovano" pittore di tarocchi e di carte da gioco di cui scrisse l'Aretino. (Lettere sull'arte, a cura di E. Camesasca, III, 2, Milano 1960, p. 315).

Il C. risulta già operante nel 1560 a Roma dove una fiorente produzione cartografica si accentrava ormai nelle mani di Antoine Lafréry, a Roma dal 1544. Anche il C., pur mantenendo sempre una notevole indipendenza, entrò nell'orbita del Lafréry che incluse sue incisioni in due delle sue più note raccolte, lo Speculum Romanae Magnificentiae e le Tavole moderne di geografia, più note come "Atlante Lafréry", serie fittizie di cui ogni esemplare differisce dall'altro per composizione e numero di tavole.

 

La prima incisione datata del C., del 1560, è una copia in controparte dell'Adorazione dei pastori di Heinrich Aldegrever: è questa una delle ventotto incisioni datate fra il 1560 e il 1579 descritte dal Bartsch (e riprese senza varianti dal Le Blanc), alle quali il Passavant ne aggiunge altre ventisette. I soggetti religiosi sono preminenti, seguiti dai temi archeologici e da qualcuno allegorico.

Il C. diede una interpretazione manieristica, venata di intellettualismo, allo stile di Marcantonio Raimondi che ancora godeva di credito nell'ambiente calcografico romano, italiani o forestieri fossero i modelli a cui si rifaceva in genere attraverso le incisioni di altri incisori, archeologici o devoti fossero i soggetti ai quali - quando copiò - apportò spesso varianti: si veda, per Michelangelo, l'ambizioso Giudiziouniversale del 1569 e la traduzione della Pietà, ambientata in un paesaggio, e per Mantegna la Discesa al Limbo del 1566.

Il C. incise quasi sempre a bulino, raramente all'acquaforte che meno si adattava al suo grafismo ferrigno, così vicino a certi nordismi degli incisori forestieri calati a Roma (sono all'acquaforte Gesù Cristo nel pretorio, il significativo Ricco e povero in preghiera dinanzi al Crocifisso e la Facciata della chiesa dei gesuiti di Roma, del 1573, da disegno del Vignola, poi non costruita in quanto sostituita dal progetto di Giacomo Della Porta).

Il C. copiò da incisioni di Agostino Veneziano la cui lezione era sempre operante sugli incisori contemporanei (Madonna con Bimbo e sei santi, 1560), da Giorgio Ghisi (Ercole, anche con il suo excudit), da Etienne Delaune (Conversione di s. Paolo, 1567, da invenzione di Jean Cousin), da Cornelis Cort (copia in controparte di Pan con Bacco), dal Beatrizet, dal Dürer e da Michelangelo Rota (per questi tre incisori vedi Passavant), da Marcantonio Raimondi (Ultima cena "con la tavoletta", da Raffaello, per cui vedi Bianchi, p. 467), da Giulio Clovio (Federici, p. 545), da disegni di Tiziano e di Francesco Zuccari, da opere di Marco Pino da Siena, Francesco Salviati, Giulio Romano, Filippo Bellini (vedi la bella Vergine incoronata fra s. Sebastiano e s. Rocco, 1577, erroneamente citata dal Passavant, n. 43, come da invenzione di un Filippo Bottini). Nella calcografia di Bartolomeo Faleti fu invece tirato, nel 1567, il Ritratto di Pio V, inserito in una cornice allegorico-architettonica.

Alle incisioni segnalate dai repertori si possono aggiungere anche una serie di ventisei stampe senza frontespizio con vedute, rovine, ponti di Roma, con una vignetta con lo stemma del cardinale Guido Ascanio Sforza al quale la serie è dedicata, databile non più tardi del 1564, anno in cui lo Sforza morì (già coll. Olschki; vedi F. Borroni, IlCicognara, II, 4, 3, Firenze 1962, n. 7.949), una veduta del Palazzo e giardini di Tivoli e due vedute del Giardino di Belvedere in Vaticano, inserite anche in alcuni esemplari dello Speculum Romanae Magnificentiae (sciolte, alla Bibl. Marucelliana di Firenze), la Corografia delle Terme di Diocleziano (Federici, p. 549, esemplare alla Bibl. Angelica di Roma), le Prospettive diverse del 1578, anche con il suo excudit, delle quali fino al 1970 era noto soltanto il frontespizio (North American Libraries, 1970: forse una di queste era la "sciena overo prospettiva", ultima tavola della Scuolaperfetta per imparare a disegnare… di Annibale Carracci, s. l. né d.), e diciassette tavole per le Icones operum misericordiae di Giulio Roscio Ortino, Romae 1585-1586, tirate a spese del "bibliopola" Bartolomeo Grassi, per lo più specializzato in edizioni di soggetto romano (nelle Icones, il cui frontespizio della prima parte è però inciso dal figlio Cristofano Cartaro, il nome del C. è evidenziato quanto quello dell'Ortino).

Contemporaneamente il C. si dedicò all'incisione cartografica che a Roma, come a Venezia e nelle Fiandre, era diventata un redditizio mestiere.

Le sue carte geografiche sono in genere di fattura mediocre anche perché talune sono incise in fretta, per pubblicarle durante particolari periodi, come il Vero ritratto della città di Famagosta tirato durante l'assedio del 1571. Le carte abbracciano un periodo di almeno ventidue anni, dal 1562 al 1588. L'Almagià (1913) ne descrive quindici (di cui tre già elencate dal Passavant, nn. 53-55) a cominciare da quelle di Cipro e Candia del 1562 che, come la Palestina del 1563, hanno l'excudit del veneziano Ferrando Bertelli: sono pertanto sia una delle tante testimomanze degli acquisti di rami romani fatti dall'editore veneziano sia la prova che il C. in un primo tempo non osò aggredire da solo il mercato delle carte geografiche e preferì cedere i rami allo sperimentato Bertelli al quale diede anche altri suoi rami come la Samaritana al pozzo, copiata dall'incisione del Beatricetto, da invenzione di Michelangelo. Undici numeri aggiunge la Luchetti (1955), comprendendo sia carte nuove sia carte non direttamente esaminate dall'Almagià, come Tunisi del 1574 (Luchetti, n. 6; esemplare anche nella Bibl. naz. di Firenze) e dilatando, almeno fino al 1611, l'operosità cartografica del Cartaro.

Queste ed altre carte, le due piante di Roma moderna (la piccola UrbisRomae descriptio, del 1575, e la grande del 1576, Novissimae urbis Romae accuratissima descriptio, dedicata al re di Francia Enrico III) che fecero concorrenza a quella di Etienne Dupérac del 1577, la grande pianta archeologica di Roma del 1579 (due esemplari, uno al British Museum ed uno alla Bibl. dell'Istituto di archeologia e di storia dell'arte di Roma), la rarissima Descrittione del territorio di Perugia, opera del cartografo Egnazio Danti, 1580, con dedica a Giacomo Boncompagni e con il doppio privilegio, del pontefice e del granduca di Toscana, entrano spesso nella composizione dei primi atlanti, sia di quelli messi in vendita dal Lafréry ed eredi e già citati, sia di quelli di origine veneziana che vanno sempre sotto la impropria denominazione di "Atlanti Lafréry" ormai entrata nell'uso.

Oltreché incidere stampe e carte geografiche il C. si buttò sul commercio e sulla tiratura delle stampe, acquistando rami di altri incisori, come l'Ercole Farnese (Bartsch, n. 24) e la carta di Milano, 1581 (racc. Bertarelli), che hanno il suo excudit: talora poi non si peritò di raschiare dai rami il nome dell'incisore per apporvi il suo, senza tener conto della diversa tecnica incisoria (come nel Sontuosissimo palazzo e giardini di Tivoli di Etienne Dupérac, ristampato nel 1575).

Nel frattempo Antoine Lafréry era morto a Roma il 20 luglio 1577. Per la competenza e per l'autorevolezza goduta nell'ambiente, il C. fu incaricato di stimare la cospicua eredità del Lafréry e di dividerla fra gli eredi di cui i principali erano Claude ed Etienne Duchet: le operazioni di inventario e le assegnazioni andarono per le lunghe, fino al 26 genn. 1581 (Federici, p. 537) e solo più avanti il C. fu pagato per le sue prestazioni e per la complessa perizia (Ehrle, p. 18).

Se si tengono presenti le date apposte sulle stampe, appare chiaro che il C. in questo periodo ridusse sempre più l'incisione di stampe per specializzarsi nella produzione cartografica: infatti mise in commercio un globo terrestre di sua fattura (Almagià, 1913, pp. 109-111), al quale fece seguire nel 1588 due carte, una di Ischia, dedicata a Isabella da Feltre, e incisa per i Rimedi naturali che sono nell'Isola di Phitecusa di Giulio Jasolini, stampati a Napoli per Giuseppe Cacchi, e la carta prospettica dell'AgroPuteolano (1584, dedicata al viceré) che Philippus van Winghe, alla caccia di rarità nelle botteghe antiquarie e nelle calcografie romane, scrivendo da Roma il 24 dic. 1589 ad Abramo Ortelius, segnalava fra le carte acquistate.

Il C. finì la vita a Napoli dove, dal 1586 (Palagiano, p. 44), fu incaricato dalla Regia Camera di delineare carte e piante dei luoghi del Reame di Napoli quale aiuto del matematico Niccolò Antonio Stelliola.

Strazzullo (1969) pubblica documenti dai quali, nel 1597, risulta "Ingegnere municipale": con l'architetto G. B. Cavagna sistemò la fontana Medina, forse nel 1607 lavorò alla cantoria del convento di Monteoliveto, nel 1612 era ingegnere del monastero di S. Patrizia insieme con il figlio Bartolomeo.

Per diverse vicende, documentate dalla Luchetti (p. 44), la Carta del Reame di Napoli, stampata con dedica al duca di Lemos l'11 genn. 1611, fu ritirata dalla circolazione e finora non è stata rintracciata.

Non è accettabile, secondo l'Almagià (1913, n. 15), che possa essere considerato autografo un atlantino manoscritto di tredici carte (una pianta generale e dodici piantine di province di terraferma) conservato alla Biblioteca nazionale di Napoli (coll. XI. D. 100), firmato e datato "Mario Cartaro F. 1613", in quanto ciò presupporrebbe che a settantatré-settantotto anni circa, il C. fosse agilmente operante. Comunque a questo atlantino se ne ricollega uno della Biblioteca nazionale di Bari (16.T.17), studiato ampiamente dal Palagiano anche in relazione ad uno della Biblioteca Vaticana, con le carte siglate "P. C." e datate 1625, e ad uno della Biblioteca nazionale di Parigi, con le carte firmate "Paulus K(a)rtarus Nap." e datate 1634 (Mss. It. 52), tutti con carte del Regno di Napoli, e anche - per gli ultimi due di Paolo Cartaro - approfonditi circa l'influsso del Magini sullo stesso Paolo che non sappiamo se avesse rapporti di parentela con il C. (era ingegnere attivo a Napoli nel 1622 e 1646: Strazzullo, pp. 178 s., 199).

Stampe e carte geografiche del C. ebbero una vasta diffusione sul mercato tanto che, oltre che al Lafréry ed eredi Duchet (Claude Duchet ne ristampò nel 1585 la Città di Napoli gentile), i suoi rami passarono ad altri calcografi romani come Hendrik van Schoel (vedi le due vedute dei Giardini vaticani della Bibl. Marucelliana) e poi ai più commerciali fratelli Vaccari, che non ebbero difficoltà a smerciarli ancora nel 1614 quando nel loro catalogo librario (Indice riprodotto dallo Ehrle) inserirono i Typis religionis "in doi pezzi".

Altri rami ebbero più passaggi, come la Madonna con quattro santi da Giulio Romano (Passavant, n. 42) che dal Lafréry passò a Mario Lucchese conservando i due nomi, poi a Giovanni Orlandi, ad Antonio Carenzano e a Gian Giacomo de' Rossi.

Il C. morì a Napoli il 16 apr. 1620 (Strazzullo).

Dei figli, Bartolomeo è documentato col padre a Napoli nel 1612 come ingegnere del monastero di S. Patrizia e l'anno dopo come ingegnere di corte. Dopo la morte del padre, come ingegnere cosmografo fu occupato al rilievo dei castelli e delle fortezze del Regno. Morì l'11 luglio 1627, ed ebbe a sua volta un figlio ingegnere, Michelangelo, documentato a Napoli nel 1615, 1630, 1642 e 1647 (Strazzullo).

Di Cristofano, altro figlio del C., è ignota la data di nascita. Avviato dal padre all'incisione, ne ereditò il mestiere e la bottega; nel 1581 risulta già iscritto fra gli accademici dei Virtuosi al Pantheon (Petrucci).

Allo stato attuale delle conoscenze, chi per primo gli tirò e gli mise in commercio i rami non fu il padre bensì Antonio Carenzano il cui excudit è sulla Sacra Famiglia con angeli musicanti, da invenzione di Bartolomeo Sprangers, 1584, e sulla Sacra Famiglia con s. Giovanni Battista, 1585, incisione che, per l'incertezza nella grafia, è stata spesso attribuita a Cornelis Cort. Il livello dignitoso delle incisioni di Cristofano indusse il padre a tirargli e a farsi editore dell'Adorazione dei pastori, dall'invenzione di Bartolomeo Neroni detto Riccio da Siena (che è la sola incisione nella quale il nome e il cognome di Cristofano siano scritti per intero) e a fargli incidere il frontespizio della prima parte delle Icones operum misericordiae di Giulio Roscio Ortino.

Il fatto che il C. avesse sempre più limitato la sua produzione all'ambito dell'incisione cartografica e fosse ormai in procinto di lasciare Roma, può spiegare perché Cristofano si sia avvalso di calcografi e mercanti di stampe operanti in città come Battista da Parma e gli eredi di Claude Duchet e perché pertanto certi rami come il Toro Farnese siano finiti nel Seicento nel fondo dei fratelli Vaccari. Cristofano copiò dalle stampe di Girolamo Muziano (Ascensione di Cristo), da Agostino Carracci (Cordone dell'Ordine di s. Francesco, posteriore al 1586), dal Correggio (Vergine col Bimbo, s. Maddalena e s.Girolamo, rame alla Calcografia nazionale, Roma) e spesso le sue stampe, per l'inesatta lettura della firma o per certa analogia di maniera, furono attribuite a Cornelis Cort che operava a Roma negli stessi anni (Bierens de Haan, p. 237), come il S. Nicola che getta un pomo d'oro in una povera casa e una Mater dolorosa, con l'indicazione del 1587 che è la data più tarda delle sue stampe.

Stampe di Cristofano sono conservate nelle principali collezioni italiane di stampe.

Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. della voce di P. Kristeller, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., VI, Leipzig 1912, pp. 87 s. (anche per Crist.) si v.: A. Bartsch, Le peintre-graveur, XV, Vienne 1821, pp. 520-535; F. S. Vallardi, Manuale del raccoglitore e mercante di stampe, Milano 1843, p. 55; Ch. Le Blanc, Manuel de l'amateur d'estampes, II, Paris 1856, pp. 441 s. (anche per Cristofano); G. K. Nagler, Monogrammisten, I, München 1858, nn. 1456, 1458 (nn. 2390, 2394, 2413 per Cristofano); J. D. Passavant, Le peintre-graveur, VI, Leipzig 1864, pp. 157-161; Abrahami Ortelii et virorum erudit. ad eundem et ad Iacobum Ortelium epistulae, a cura di J. H. Hessels, I, Cantabrigiae 1887, pp. 408-412; V. Federici, Di M. C. incisore viterbese del sec. XVI, in Arch. della R. Società rom. di storia patria, XXI (1898), pp. 535-552; F. Ehrle, Roma prima di Sisto V. La pianta di Roma Du Pérac-Lafréry, Roma 1908 (con gli indici delle stampe vendute dal Lafréry e dai fratelli Vaccari, pp. 17-19, 41-43, 60 n. 13, 66 n. 651; anche per Cristofano); R. Almagià, Intorno a un cartografo ital. del sec. XVI. Appunti, in Riv. geograf. ital., XX (1913), pp. 99-112; Ch. Hülsen, Saggio di bibl. ragionata delle piante iconograf. e prospettiche di Roma dal 1551 al 1748, Roma 1915, ad Indicem, nn. 60, 72, 76; Ch. Hülsen, Das Speculum Romanae Magnificentiae, in Collectanea variae doctrinae Leoni S. Olschki, Monachi 1921 pp. 164 n. 113 f, 565 n. 124 e, 166 n. 129 d; P. Arrigoni-A. Bertarelli, Piante e vedute della Lombardia conserv. nella Raccolta delle stampe e dei disegni, Milano 1931, p. 82 n. 988; Staatliche Museen zu Berlin, Katalog der Ornamentstichsammlung der Staatl. Kunstbibliothek Berlin, Berlin 1939, n. 2601; A. Anthony de Witt, R. Galleria degli Uffizi. Gabinetto dei disegni e delle stampe, La collez. delle stampe, Roma 1938, p. 54; C. Scaccia Scarafoni, Le piante di Roma possedute dalla Bibl. dell'Ist. e dalle altre biblioteche govern. della città, Roma 1939, n. 21; R. V. Tooley, Maps in Atlases of the XVIth Century…, in Imago mundi, III (1939), pp. 11-471 nn. 320, 337, 435, 461, 492; R. Almagià, Monumenta cartographica Vaticana. Carte geograf. a stampa dei secc. XVI e XVII esistenti nella Bibl. Apost. Vaticana, Città del Vaticano 1948, ad Indicem; J. C. J. Bierens de Haan, L'oeuvre gravé de Cornelis Cort, La Haye 1948, pp. 64, 67, 69, 138, 237 (per Cristofano); A. Luchetti, Nuove notizie sulle stampe geografiche del… M. C., in Riv. geogr. ital., LXII (1955), pp. 40-45; R. Almagià, Documenti cartogr. dello Stato Pontificio editi dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma 1960, p. 19, tav. XXIII; Fortuna di Michelangelo nell'incisione (catal.), Benevento 1064, p. 71; A. Petrucci, Panorama dell'incisione italiana. Il Cinquecento, Roma 1964, pp. 58, 59, 99 n. 85 (anche per Cristofano); K. Oberhuber, Renaissance in Italien. 16. Jahrhundert. Werke aus dem Besitz der Albertina, Wien 1966, pp. 29, 194, nn. 330 s.; L. Bianchi, in Raffaello. L'opera. Le fonti. La fortuna, Novara 1968, p. 467, n. 248; F. Barberi, Il frontesp. nel libro ital. del Quattrocento e Cinquecento, Milano 1969, p. 132; F. Strazzullo, Architettie ingegneri napoletani dal '500 al '700, Napoli 1969, ad Ind.; North American Libraries, Short-Title Catalogue of books printed in Italy and books in Italian printed abroad 1501-1600, Boston 1970, I, p. 362; C. Palagiano, Gliatlantini manoscritti del Regno di Napoli di M. e di Paolo C., Roma 1974; F. Borroni, Carte, piante e stampe stor. delle Raccolte lafreriane della Bibl. Naz. di Firenze, Roma 1977, ad Indicem.

 

 

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