Francesco Mattioli, sociologo

Vabbè, caro D’Arpini: ciascuno tira acqua al proprio mulino, ovvero – in termini scientifici - è coinvolto in un processo di confirmation bias che rafforza la proprie convinzioni, le proprie certezze e quindi le proprie scelte.

Tutti lo facciamo, nessuno escluso. Poi però ci sono i saperi, che ci aiutano a discernere se non il vero dal falso (in tempi di fisica quantistica è meglio essere meno manichei…) almeno il più verosimile dal meno verosimile. Le scienze ad esempio – sia quelle naturali che quelle sociostoriche – ci aiutano a diminuire gli abbagli in cui cadiamo quando si è troppo presi dal confirmation bias, offrendoci nozioni largamente condivise e verificate, quelle che si chiamano sapere scientifico.

E qui, mi permetterà, nel suo ultimo articolo qualcosa zoppica dal punto di vista delle nozioni a disposizione.

Tre punti, che tratterò in breve.

Il primo: la continuità delle feste religiose pagane in quelle cristiane. Quattro generazioni di antropologi da Tylor a Frazer, da Malinowski a Eliade, hanno notato che nelle credenze  e nei riti che sono alla base delle culture c’è sempre una continuità, legata da valori, consuetudini, pratiche fortemente innestate nelle società umane.

D’altronde Dio è stato chiamato in cento lingue diverse, ma sempre a un  Dio si è pensato e sempre ad un culto, ad una liturgia ci si è affidati. Una  continuità che peraltro funziona a due vie: tant’è che se è vero che in certi luoghi il cristianesimo si è innestato su precedenti religioni, in altri – e più recenti – ci sono nuove tradizioni e nuove tendenze che si stanno innestando sul cristianesimo. Qualcuna? Il razionalismo della scienza, o il socialismo del pensiero inclusivo.  Senza contare che i teologi più evoluti ritengono che ci si salva con la fede e con le opere, non con il rispetto preciso dell’etichetta rituale.

Il secondo: i vangeli ritradotti e rimaneggiati dai preti per dominare. Una vecchia fola che spinse taluni, qualche anno fa in un clima un po’ hippie, a ritenere che certi scritti apocrifi gnostici del II-III secolo fossero più genuini dei vangeli. In realtà, il vangelo più tardo, quello di Giovanni, è stato scritto prima del 100; i sinottici tra il 50 e il 70 (per la critica anglosassone, che vuol negare la primazia di Pietro, il Matteo che ne parla esplicitamente all’80-90). Tuttavia in quel I secolo di preti ce ne erano pochi e le comunità cristiane, molto coese, si stavano costruendo, ma non esercitavano alcun potere politico.  Inoltre, la maggior parte della critica biblica, anche atea, non  coglie particolari “innesti” tardi nel testo dei vangeli.

Il terzo: la primazia delle religioni/filosofie orientali.  Il pensiero sociologico, da Durkheim a Parsons ad Habermas, in  sintonia con  quello antropologico, ha sempre colto il forte nesso tra fenomeno religioso/ spirituale e società.  Come dire, le religioni e i sistemi etico-filosofici hanno i regimi politico-sociali che si meritano, e viceversa.  Ora, mi chiedo: come mai “la profonda etica  del buddismo e del jainismo e del taoismo, che vantano un'antichità di migliaia di anni ed avrebbero molto da insegnare a giudei,  cristiani e musulmani in quanto a "tolleranza" e sacralità” (cito alla lettera D’Arpini), non  hanno prodotto società pacifiche, giuste, democratiche, liberali, in oriente, ma solo imperi, tirannie, aristocrazie, anche sotto le mentite spoglie di un comunismo liberatore? 

Non  si pensi che la democrazia in occidente sia nata in contrapposizione al Cristianesimo: queste sono argomentazioni da bar che ignorano l’evoluzione storica; un certo Benedetto Croce - non  proprio un fedele di Santa Romana Chiesa - asserì che la cultura democratica europea, senza la tradizione del pensiero giudaico-cristiano fondata sul principio di responsabilità individuale e sull’impegno sociale (l’apostolato è anche questo), non sarebbe esistita.

 

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