Viterbo CRONACA I sogni tuttavia muoiuono all’alba, come ebbe a scrivere Indro Montanelli

 

Porta di Brandeburgo a Berlino

Quante tragedie si sono consumate dietro quella cortina di ferro, spesso e volentieri nell’indifferenza generale e finanche nei silenzi complici di una Chiesa, che col Concilio Vaticano II aveva deciso un’Ostpolitik, un clima di distensione, in barba ai Gulag ed alle persecuzioni alle quali la religione ed i cattolici in particolare erano sottoposti e condannati e le cui nefaste conseguenze ancora oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Ma, come disse Alexander Dubcek, uno degli eroi della Primavera di Praga, insieme a Jan Palach, giovane 23enne che si diede fuoco volontariamente in piazza S.Venceslao, per protestare contro l’oppressione comunista,“ciò che non è morale non può durare in eterno: può temporaneamente vincere, ma non dura”.

Ignazio Silone, lo scrittore abruzzese che affidò a molte sue opere la delusione verso i sistemi comunisti dell’Est europeo ed in particolare dell’URSS, per poi abbandonare il comunismo e addossarsi da quel momento in poi l’ostracismo dei suoi ex compagni e l’isolamento culturale e morale, Silone, dicevo, faceva dire a Pietro Spina nei dialoghi con Cristina in Vino e Pane: “Che cosa siete voi? Una burocrazia nascente. In nome di idee diverse, il che vuol dire semplicemente in nome di diverse parole, e per conto di altri interessi anche voi aspirate al potere totalitario.

Se voi vincerete, e probabilmente vi accadrà questa disgrazia, noi sudditi passeremo da una tirannia all’altra”. Ancora Silone in una delle suo opere più discusse, Uscita di sicurezza, scrisse: “Che avverrà quando milioni di reduci dai campi di lavoro forzato in Siberia potranno parlare? (…) La futura rivoluzione russa (che in Russia vi siano le premesse di una nuova rivoluzione è fuor di dubbio, anche se nessuno può prevedere se scoppierà tra dieci anni o tra un secolo) avrà probabilmente tra le sue parole d’ordine: il marxismo è l’oppio del popolo”. Quale profeta!!

Nel marzo 1953, durante una notte circondata di misteri e leggende, muore a Mosca il dittatore Stalin. All’interno del PCUS, da quel momento si aprirà la guerra di successione, che vedrà perire, fra gli altri Lurentji Berja potente capo della polizia politica, l’uomo che aveva sostituito Jagoda nell’opera criminale voluta e condotta da Stalin contro il suo popolo, supposti nemici interni ed esterni al Partito, fossero essi dissidenti oppure no.

Tra i possibili successori, c’è anche Kruscev, anche lui peraltro fedele cagnolino di Stalin, tanto da meritarsi l’appellativo di macellaio dell’Ucraina. Ma dopo la morte di Stalin occorreva pulirsi le coscienze dai troppi crimini del dittatore georgiano e dei suoi complici, uno dei quali, per l’appunto Kruscev, che ne prenderà il posto come nuovo Segretario generale del PCUS. Intanto però, una prima scossa all’Impero rosso arriva da Berlino Est.

Una sollevazione operaia minaccia il potere comunista. Migliaia di lavoratori scendono in piazza chiedendo salari dignitosi e migliori condizioni di lavoro. Cosa possono chiedere ed ottenere di meglio o di più i lavoratori nella patria del socialismo? Per tutta risposta, i carri armati dell’armata rossa soffocheranno la rivolta.

Nel 1956, Kruscev denuncia al XX Congresso del PCUS il culto della personalità ed i crimini di Stalin. Fu uno choc per molti convinti sostenitori del marxismo leninismo. In Italia molte coscienze cominceranno a vacillare pur sotto il vigile sguardo del custode dell’ortodossia comunista: Palmiro Togliatti.

Come aveva predetto Silone, le porte dei Gulag si spalancarono e tanti fecero ritorno a casa con la promessa però di non divulgare quanto avevano visto e vissuto. Uno di loro, Alexander Solzenicyn darà alle stampe Una giornata di Ivan Denisovic, opera autobiografia sull’universo concentrazionario in URSS. Intanto in Polonia, a Danzica, scopia una seconda rivolta operaia contro la dirigenza stalinista di cui vengono chieste le dimissioni. La milizia spara sulla folla, è un bagno di sangue: 53 morti ed oltre 1200 feriti. Di li a breve, la scintilla scoccherà anche in Ungheria.

Tutto ha inizio nell’ottobre del 56, quando una riunione degli studenti presso il circolo Petofi chiederà le dimissioni di Rakosi, ottuso stalinista, e della sua dirigenza. Il suo posto verrà preso in un andirivieni di decisioni parossistiche, prima da Nagy, poi da Gero ed infine di nuovo da Nagy, il quale da buon ungherese, prima ancora che comunista, si metterà alla testa di un moto riformatore che rivendica pluralismo politico, democrazia, libere elezioni e l’uscita dell’Ungheria dal Patto di Varsavia, chiedendo l’intervento stesso dell’ONU stesso di farsene garante.

I sogni tuttavia muoiuono all’alba, come ebbe a scrivere Indro Montanelli. All’alba del 4 novembre 1956, l’armata rossa invade l’Ungheria: oltre 2000 gli eroici operai uccisi opponendo una strenua resistenza all’invasore. Nagy e la sua dirigenza vennero processati ed impiccati a Mosca, nell’indifferenza generale e con il plauso dell’Internazionale comunista, fra i quali i nostrani Togliatti, Pajetta, Napolitano.

La successiva inchiesta dell’ONU, poi, sui crimini commessi e che si stavano commettendo ancora, a rivolta sedata, in Ungheria sotto Kadar con processi farsa, si rivelò una formalità quando non addirittura anch’essa una farsa o un tentativo di fornire al KGB o alla polizia politica ungherese AVO, i nomi di coloro che aveva testimoniato davanti alla Commissione presieduta dal diplomatico danese Bag Jensen, morto (suicida?) per essersi opposto a questo criminale tentativo.

Dopo la rivolta ungherese, un periodo di relativa calma condurrà al siluramento di Kruscev in URSS, dopo la crisi dei missili a Cuba. A Bori Pasternak, autore dell’immortale opera Il Dottor Zivago, non sarà concesso di ritirare il Premio Nobel per la Letteratura a Stoccolma.

Al posto di Kruscev salirà Breznev, la cui dittatura, insieme a quella del Partito, durerà per altri lunghi anni ancora, in un clima di sclerotizzato burocratismo e di negazione di ogni libertà e creatività di quei popoli sottomessi ad un regime dispotico e violento: l’ideologia marxista leninista. Nel 1968   un’altra tragedia intanto si preparava, quella del popolo cecoslovacco. Dopo le dimissioni dal comitato centrale del PCC dello stalinista Novotny, Alexander Dubcek tentò una riforma dall’interno del Partito comunista.

A differenza di Nagy, non invocò elezioni libere, pluralismo politico o l’uscita della Cecoslovacchia dal Patto di Varsavia. Anzi Dubcek nella sua opera si ispirava proprio all’ art. 8 di quel trattato, il Patto di Varsavia, stipulato nel maggio 1955 come legal obbligation fra i suoi membri: “i contraenti ispirandosi ai valori di amicizia e cooperazione aderiscono ai principi del rispetto reciproco, dell’indipendenza e della sovranità di ogni singolo stato e al principio di non interferenza negli affari interni dei Paesi membri”.

Insomma Dubcek avrebbe voluto lavorare “meno per direttive e più per consenso”, attraverso un opera di modernizzazione del marxismo leninismo, il cosiddetto socialismo dal volto umano. Ma secondo un copione già visto, i sogni muoiono all’alba, precisamente all’alba del 21 agosto 1968, quando le truppe del Patto di Varsavia soffocheranno nel sangue la breve ed effimera Primavera di Praga.

Altri tormentosi anni passeranno ancora all’Est, poi alla Casa Bianca arriverà Ronald Regan e qualcosa comincerà a cambiare sotto il profilo della politica estera, soprattutto nei confronti dell’URSS e dei paesi satelliti. Mentre al soglio di Pietro salirà il Beato Giovanni Paolo II, il papa polacco.

E sarà proprio dalla Polonia di Solidarnosc e di Lech Walesa che partiranno le lotte per libertà e la sovranità dei popoli sottomessi al mostro comunista. Un vento nuovo comincerà a spirare e, nonostante il breve colpo di mano dell’esercito polacco al comando di Jaruzelskji, ormai il mostro ha i piedi d’argilla.

Se ne renderà conto Gorbaciov il segretario del PCUS, che a differenza dei suoi predecessori, Andropov e Cernenko, non si farà incantare dalle sirene dei protocolli e dell’ideologie, prendendo atto e notificando alla storia la fine di una dittatura che in 70 anni aveva procurato milioni e milioni di morti.

Il Muro di Berlino cadeva nel novembre 1989. Sono passati 25 anni. E da allora restano ancora vive nella memoria le parole di Alexander Solzecicyn: “Il compito della letteratura non sta nel nascondere la verità, ma nel dirla sinceramente. Compito dello scrittore è di tratta i temi più universali ed eterni, i misteri del cuore e della coscienza, lo scontro tra la vita e la morte, il superamento del dolore e le leggi nate nella profondità insondabile dei millenni”. Questo è l’imperativo categorico: “NON VIVERE SECONDO MENZOGNA”! 

Giuseppe Bracchi

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