Viterbo CRONACA Sapere che qualcuno legge ciò che scrivo soddisfa quel pizzico di vanità che c’è in me

 

Gustavo Le Gray (1820-1884), Giuseppe Garibaldi (1860)

Ad un esame di storia, l’esaminando sapeva che il luogotenente di Giuseppe Garibaldi si chiamava ‘Nino Bixio’, e lo disse, ma pronunciò ‘Nino  Bi per io’.

R   come  :  Richiesta (una curiosa richiesta)

Il signor Luigi Torquati è un mio lettore, anzi un attento lettore. Infatti, ha notato che non ho utilizzato tutte le lettere dell’alfabeto e mi ha chiesto: “Quando potrò leggere qualche cosa per  ‘X’  e ‘Y’, che mancano nel  vocabolario impertinente?”

Sapere che qualcuno legge ciò che scrivo soddisfa quel pizzico di vanità che c’è in me, come c’è inevitabilmente in tutti gli scrittori, anche in quelli occasionali-modesti-dilettanti, come appunto sono io. Infatti, se scrivo, spero di avere qualche lettore.

Son sicuro di averne almeno due, perché c’è anche una certa ‘Zampa’, che, qualche tempo fa, ha commentato molto gentilmente una mia opinione. E c’è pure il direttore Galeotti che mi legge, doverosamente, per controllare che la mia impertinenza resti nei limiti della decenza e del buon gusto.

Ma ora, chiusa questa premessa, eccomi a soddisfare la richiesta del signor Torquati.

 

X   come  :  X  (per / lettera / incognita)

     La lettera ‘x’ ha contrassegnato per me la parabola della vita. E’ un segno, un significato che di volta in volta mi ha sorpreso, spaventato e dato il senso dell’ignoto e dell’infinito. Mi ha accompagnato, con significato mutevole, da quando ero un bambino fino ad oggi, e… oggi, di anni ne ho parecchi.

     La ‘x’ la conobbi per la prima volta alla scuola elementare e mi accompagnò nel magico mondo dell’aritmetica. Era il ‘per’, il segno della moltiplicazione. Come segno aritmetico non era il primo. Era stato preceduto da ‘più’ e ‘meno’ e fu seguito da ‘diviso’.

Come i quattro cavalieri dell’apocalisse, gli operatori aritmetici portavano guai, cioè problemi.  Il ‘per’ mi fu però simpatico perché era come se avesse le ali, e mi faceva volare rapido nella serie dei numeri. Sottrazione e divisione riducevano. L’addizione aumentava, si, ma con una lentezza esasperante. La ‘x’, segno della moltiplicazione, mi faceva saltare in avanti, a balzi sempre più smisurati, nell’eterea via dei numeri.

“Dove si può arrivare?” chiesi alla maestra.

“All’infinito!” mi rispose.

     Sempre alla scuola elementare, qualche tempo dopo, incontrai per la seconda volta la ‘x’ e imparai che nelle lingue straniere è una lettera dell’alfabeto e si pronuncia ‘ics’.

“Perché non si scrive semplicemente ‘ics’?” chiesi alla maestra. Alzò le spalle e non mi rispose. Forse non lo sapeva, oppure non mi riteneva abbastanza intelligente da meritare una risposta.

     Alla scuola media incontrai nuovamente la “x” che qui significava ‘incognita’, il valore misterioso da trovare con calcoli algebrici che parevano di magia. Già la parola ‘algebra’ mi faceva una certa impressione, sapeva di esoterico. Quando, dopo diversi tentativi, risolvevo una semplice equazione e la ‘x’ assumeva il valore di un numero reale (2 … 3 … 25 …), mi sembrava di aver compiuto non un calcolo, ma un esercizio di magia. E mi meravigliavo se riusciva bene.

     Ero ormai adulto quando arrivò l’informatica e la “x” perse il significato di moltiplicazione, sostituita dall’asterisco. Perse pure il significato di “incognita”. In informatica si parla di ‘variabile’, ma non è proprio la stessa cosa, e variabile può essere qualsiasi lettera o combinazione di lettere o addirittura combinazione di lettere e numeri.

     Però attualmente osservo, con una certa sorpresa, che la ‘x’ ha una nuova vita nel linguaggio dei giovani  come indicazione di ‘per’, non come segno matematico, ma come preposizione: ‘xte’ significa ‘per te’, ‘xme’ significa ‘per me’; in questo linguaggio ‘smsiano’ (si può dire ‘smsiano’?) la ‘x’ può inoltre sostituire ‘per’ come parte di una parola;  ad esempio: ‘xké’ significa ‘perché’.

     Conoscete l’aneddoto raccontato da Umberto Eco? Se non lo conoscete o non lo ricordate, eccolo!

     Ad un esame di storia, l’esaminando sapeva che il luogotenente di Giuseppe Garibaldi si chiamava ‘Nino Bixio’, e lo disse, ma pronunciò ‘Nino  Bi per io’.

 

Y   come :  ?

     Al momento non trovo un argomento che abbia un nome iniziante con Y, e che stimoli la mia impertinenza.

 - Ci sarebbe ‘Yara’, ma il caso della sventurata giovinetta non merita di essere maltrattato da me. I poeti Mario Olimpieri e Giuseppe Bellucci le hanno dedicato su questo giornale due belle e commoventi poesie. La poesia è il linguaggio giusto per Yara.

     Invece quel nome è stato maltrattato dalla prosa di troppi sciacalli umani. Io che sono impertinente, ma non sciacallo, non ne ho mai scritto per il rispetto che porto a tutti quelli che soffrono, come i familiari di Yara.

- Ci sarebbe la ‘y’ come incognita dell’algebra, ma dovrei ripetere  quello che ho appena detto per la ‘x’.

- E la ‘y’ che indica l’asse delle ‘ordinate’?  No! è un argomento troppo tecnico che non mi stimola.

- E ‘Yesmen’? Neppure! Perché devo usare un termine straniero per parlare della spregevole categoria dei “lecca cu..”?  Il termine italiano è molto più espressivo, tanto espressivo che la decenza mi impedisce di scriverlo per intero.

Il cugino Angelo viene in mio aiuto e mi suggerisce di esprimere qualche pensiero su ‘Yahweh’ e si dice disposto a discuterne con me. L’argomento mi stimola e insieme mi preoccupa perché tocca la parte più delicata dell’anima : la Fede. Perciò, con ogni possibile delicatezza e cercando di contenere l’impertinenza (ma so che sarà dura),  apro su:

 

Y   come:  Yahweh

Angelo : “In passato mi hai detto che Yahweh non ti è simpatico…

Aggì : “Non è proprio così. Io ti ho detto che la figura di Dio, Yahweh del Vecchio Testamento, mi lascia perplesso. ‘Perplesso’ è la parola giusta e ti spiego perché. La dottrina cattolica, nella quale siamo stati battezzati e nella quale viviamo, mi ha insegnato che Dio è ‘Padre’, è ‘Amore’, è ‘Provvidenza’…”.

Angelo : “Certo. Mi permetti di citare i miei amatissimi ‘Promessi sposi’? In quel romanzo c’è una presenza discreta della Provvidenza, è il ‘fil rouge’ che lega gli avvenimenti. E nota che non si tratta di un romanzo buonista, né lirico, né ottimista, anzi è realistico e psicologicamente sottile…”.

Aggì : “Scusa! Ma stiamo parlando di Yahweh? O facciamo critica letteraria? Va ‘bbè che tu stravedi per Alessandro Manzoni, ma… torniamo a Yahweh.

Dunque Yahweh compare nel Vecchio Testamento come un Dio severo, arcigno, con pretese , oserei dire, assurde e talvolta quasi immorali. E’ un Dio di parte, esigente e dispotico; è anche bellicoso tant’è che è detto ‘Signore degli eserciti’ (testuale! leggere il libro di Isaia), anzi  di un esercito, quello di Israele.

Non esita a distruggere Sodoma e Gomorra per i peccati degli abitanti e trasforma in statua di sale la moglie di Lot perché si era girata a guardare, per curiosità, quella distruzione. Figurati se tutte le donne, soltanto perché curiose, venissero trasformate in statue di sale! La Terra sarebbe solo una grande salina. E Yahweh non esita a distruggere tutta l’umanità, o quasi, col diluvio universale. Se Dio fosse così, che cosa dovrebbe fare oggi con l’attuale umanità che, magari è più tecnologica, più politica, ma moralmente non mi sembra migliore di quella antica?”.

Angelo : “E’ vero. Ma quello era un Dio di giustizia e rigore. Poneva delle regole e ne pretendeva il rispetto. Mica come oggi che si fanno leggi sapendo che nessuno le rispetterà… se non pochi ingenui, onesti per vocazione, che sarebbero onesti e corretti anche senza quelle leggi.

Però poi è venuto Gesù a cambiare il rapporto, sostituendo l’amore al rigore. Dio Padre ha mandato Gesù perché si era impietosito, oppure era stanco di giudicare e punire questi suoi figli ribelli, oppure si era rassegnato, come fanno i padri di oggi, all’impossibilità di educarli…”.

Aggì : “Secondo te, dunque, Yahweh è diverso dal Dio del Nuovo testamento. Così’, per fare un esempio, il ‘porgere l’altra guancia’ avrebbe due significati. Nel Vecchio Testamento Yahweh direbbe : “Ti do uno schiaffo, porgi l’altra guancia perché te ne devo dare un altro.”  Nel Nuovo Testamento Dio direbbe : “Se uno ti da uno schiaffo porgi l’altra guancia, prenditi un altro schiaffo, perdona lo schiaffeggiatore e amalo”. E infatti Gesù ha detto più o meno così (Matteo 5,39)”.

Angelo : “Lo vuoi un consiglio? Questo: chiudiamola qui. Abbiamo già detto troppo e qualche lettore, magari sacerdote, ci sta sicuramente mandando all’Inferno. E non in senso figurato!”.

Aggì : “Hai ragione. Una volta tanto mi auguro di non avere lettori, oppure “Che Dio ce li mandi buoni!”.

Aggì

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