Viterbo LIBRI
La Chiesa bramantesca e cenobio di santa Maria delle Fortezze in Viterbo è il libro di Antonio Cignini presto nelle librerie.
La monografia, arricchita da un nutrito apparato iconografico – prevalentemente a colori o in storico bianco e nero proveniente per lo più dall’archivio di Mauro Galeotti, integrazione indispensabile del testo – si prefigge di far conoscere, a qualsiasi persona di media cultura, ma senza escludere l’attenzione e l’interesse di studiosi di alto livello, un rudere da molti sconosciuto e guardato di sfuggita come un oggetto misterioso, in realtà un gioiello perduto, proveniente dalla bottega dell’ultimo Bramante che stava sperimentando in piccolo i suoi studi per la contemporanea basilica di S. Pietro.
Il saggio ripercorre, con ambiziosi obiettivi di completezza, la storia della chiesa di S. Maria delle Fortezze e quella del convento annesso. Quest’ultimo, nel titolo, viene denominato “cenobio” – luogo di vita comunitaria – con allusione alla Comunità paolana, cioè i frati minimi di S. Francesco di Paola, qui insediati dal 1577 fino alle soglie del 1800; si poteva anche chiamare “monastero” o meglio magnum monasterium, in considerazione dell’affidamento del tempio, ancora non terminato, nel 1531, ai benedettini di Montecassino, ai quali fu dato l’incarico di edificare appunto un grande monastero.
L’approccio è rigoroso e “scientifico” non solo nelle pagine certificate da abbondante assidua documentazione, ma anche nei divertissement. Questo termine è da intendersi nel doppio senso di “felicità del comporre” (Leopardi) e di “uscita di strada” (Pascal) e allude ai passaggi in cui l’estro dell’autore si è lasciato sedurre e si è abbandonato a
a) divertite, e forse divertenti, letture estetico-ideologiche dei resti di affreschi e stucchi pervenuti, sopravvissuti alle devastazioni e al degrado e non – ancora – scomparsi oppure a
b) digressioni sui contesti storici o a
c) fantastiche narrazioni di eventi non realmente accaduti, ma ipoteticamente veri. Come ad esempio La vita di fra’ Ventura o il micro-romanzo storico-artistico-spirituale viterbese di Vittoria Colonna e Michelangelo, “che l’amava”.
Il lavoro ha l’umile presunzione di essere “scientifico” anche per via di svariate ipotesi, proposte e argomentate, che non perdono mai di vista i fatti accertati e tentano di spiegarli con congetture, più o meno plausibili, ma sempre – scientificamente, appunto – falsificabili.
Le informazioni di base sono state quelle, estremamente essenziali, fornite dal manoscritto del Signorelli “Chiese, Conventi e Confraternite”. Quest’ultimo è stato confermato, chiarito, precisato, ampliato dalla consultazione diretta delle fonti d’archivio, spesso manoscritte come le Riforme del Comune di Viterbo, a cui il Signorelli rimanda continuamente, consentendo un’ampia e circostanziata ricostruzione della storia di questa chiesa.
Fondamentali per la conoscenza dell’impianto bramantesco del tempio di S. Maria delle Fortezze sono state le pagine dedicate al medesimo da Enzo Bentivoglio e, si presume, sulla scia di questo e di Arnaldo Bruschi, da Otello Colonna.
A entrambi va la gratitudine dell’autore per aver messo a disposizione di questo studio divulgativo le loro originali letture grafiche del reale e del potenziale architettonico di questa chiesa, poco conosciuta e meno ancora valorizzata sia nel corso della sua vita sia - post mortem (bombardamenti del 1944) - nelle vicende della sua non ricostruzione, che è stata in realtà prevalentemente una demolizione e una assai discutibile sistemazione.
La cronistoria di quest’ultima problematica ha beneficiato della consultazione dell’Archivio di Stato di Viterbo, sezioni Catasto e soprattutto Genio Civile.
Tratto dalle note dell’autore, introduttive al libro.