Viterbo IL RACCONTO Fabrizio spegne dunque la radio e si sistema meglio sul sedile come per trovare una posizione più comoda
Un racconto di Agostino G. Pasquali

 

    Fabrizio sente montargli dentro agitazione e preoccupazione.

Si sta rendendo conto del pericolo in cui si trova. Ha sentito notizie gravi in occasione di sequestri da parte di rapinatori: percosse, sevizie, maltrattamenti, talvolta seguiti dalla morte. Gli resta ancora un filo di speranza: che Giovanni non si accorga che lui ora ‘sa’, e che si accontenti del passaggio in auto per arrivare a Firenze.

Infatti che interesse avrebbe a fargli del male? Lui, Fabrizio, non è un ricco da rapinare, anzi è un estraneo che sta facendo inconsapevolmente un favore al delinquente. L’importante ora è comportarsi normalmente nonostante l’agitazione, non lasciar capire in alcun modo la consapevolezza e la paura. Che altro? Ah, la radio! La deve spegnere per evitare di ascoltare notizie che gli rendano impossibile fingere ancora l’ignoranza.

     Fabrizio spegne dunque la radio e si sistema meglio sul sedile come per trovare una posizione più comoda. Che stia scomodo è vero, perché mai gli è sembrato così duro e fastidioso stare lì, al posto di guida, rigido, teso e apparentemente preoccupato solo della strada.

     Molti pensieri gli girano disordinatamente in testa:  prima di tutto la paura di quello che gli può succedere, addirittura di essere ucciso, e quindi le conseguenze per la sua famiglia se dovesse mancare lui che è l’unica fonte di reddito, e poi i conseguenti problemi: il mutuo di casa da pagare, le spese per il mantenimento e lo studio dei figli che diventano ogni anno più costosi; l’equilibrio familiare che ha costruito con cura e  potrebbe esserne sconvolto… Ma un’altra preoccupazione gli si presenta e fa passare in secondo piano la famiglia: come si dovrà comportare fra poco?

     Esamina rapidamente alcune ipotesi:

     - potrebbe esserci un controllo al casello d’uscita perché è probabile che la polizia abbia istituito dei posti di blocco. In questo caso gli conviene restare inerte e seguire gli aventi? o esporsi e dire quello che sa? Ma poi è proprio sicuro che Giovanni sia un rapinatore ricercato? No, non è sicuro al 100%, ma quasi…

     - potrebbe fermarsi alla prossima area di servizio con la scusa della necessita di andare al bagno e lì avvisare qualcuno? Ma certamente Giovanni, se è un rapinatore (ma sì, che lo è, ci sono pochi dubbi), non gli permetterebbe di assentarsi con tanta disinvoltura…

     - e se Giovanni avesse già qualche sospetto che lui abbia capito chi è veramente questo suo strano passeggero?

     Fabrizio ha spento la radio, ma poco dopo Giovanni la riaccende senza neppure chiedere l’autorizzazione, come vorrebbe una forma di normale cortesia. Com’è cambiato! – pensa Fabrizio – dov’è finita la gentilezza toscana?

     Dopo il solito mix di chiacchiere insulse e musiche altrettanto insulse, c’è un notiziario sulla viabilità seguito da un aggiornamento di notizie. Lo speaker questa volta si diffonde sui particolari della rapina e precisa che la somma rapinata ammonta a diversi milioni di euro, che una parte del bottino è già stata recuperata perché due rapinatori sono stati catturati, ma un terzo è latitante e ne dà la descrizione: uomo, di mezz’età, bruno, senza segni particolari ma vestito in modo elegante, ha un borsone di pelle dove, si ritiene, dovrebbe avere una grossa parte del bottino, almeno un milione di euro.

     Giovanni guarda Fabrizio che ricambia lo sguardo per un attimo. In quell’attimo e con quel semplice sguardo i due si scambiano un messaggio:

     Fabrizio: “Avevo un sospetto. Ora so chi sei tu. Altro che un gentile toscano, sei un delinquente romano che ha recitato, e bene, per ingannarmi.”

     Giovanni: “Lo pensavo che sospettavi. Ora so che tu sai!”

     L’auto continua tranquillamente a divorare chilometri di autostrada, meccanicamente indifferente al dramma che si sta preparando nel suo abitacolo, dove due intelligenze, opposte per mentalità e interessi, cercano di preparare un piano per raggiungere fini non solo diversi, ma contrastanti.

     Fabrizio è consapevole che le ipotesi che aveva elaborato sono ormai impraticabili perché si basavano sulla possibilità di tenere nascosto a Giovanni che lui aveva capito tutto. Deve perciò decidere se sia meglio restare inerte e adattarsi agli eventi, oppure tentare di neutralizzare il delinquente.

     Ma come fare? Come aggredirlo? Si chiede se sia armato e si risponde che certo è armato: è un rapinatore! Avrà sicuramente una pistola in tasca e un Kalashnikov nel borsone. Inoltre Fabrizio non si sente affatto un eroe superman come si vede nei film d’azione. Anzi non ha proprio l’inclinazione a fare l’eroe e tanto meno il kamikaze, e per questo scarta anche l’idea di far schiantare l’auto contro un ostacolo, per esempio contro uno dei tanti camion lenti che supera di tanto in tanto… morirebbe il delinquente, ma morirebbe anche lui e potrebbe causare una catena di collisioni coinvolgendo persone innocenti. La decisione migliore potrebbe essere raggiungere un’auto della polizia, sorpassarla e  poi suonare il clacson e rallentare per far capire che c’è qualcosa che non va. Ma come reagirebbe il delinquente? Certo, appena fermi, sparerebbe prima a lui e subito dopo agli agenti… E poi un’auto della polizia l’ha sorpassata da poco ed è improbabile che ce ne sia un’altra nelle vicinanze…

     Anche Giovanni, il rapinatore, sta pensando che deve modificare il suo piano di fuga e deve impedire a Fabrizio di creargli problemi. La cosa più semplice sarebbe eliminarlo, ma non lo può certo fare lì subito, mentre lui sta guidando. Poi sorride fra sé e sé perché ha trovato la soluzione e sorridendo dice a Fabrizio di uscire dall’autostrada al prossimo casello, di non fare scherzi e di non cercare di tradirlo. Quel sorriso ha l’aspetto di una smorfia minacciosa anche perché adesso il delinquente estrae una pistola.

     La visione dell’arma puntata toglie completamente a Fabrizio ogni voglia di agire, ammesso che ne avesse veramente avuta un po’, al di là di quelle timide ipotesi che sappiamo.

     Poco dopo arrivano all’uscita di Arezzo. Con il telepass non fanno nessuna fila ed escono senza problemi. C’è una pattuglia della polizia che sta controllando due auto e nemmeno li guarda.  Fabrizio non fa nulla per attirare l’attenzione dei poliziotti. Pure sarebbe facile: basterebbe suonare il clacson, far spegnere il motore, saltar fuori e correre verso l’auto della polizia, oppure partire sgommando e farsi inseguire… ma ora che è venuto il momento di rischiare non ne ha il coraggio perché la pistola puntata contro di lui è una minaccia nient’affatto trascurabile. Ha una sensazione strana, come se la volontà fosse paralizzata e il corpo operasse autonomamente: i piedi  agiscono sui pedali e le mani su cambio e volante in completa autonomia secondo una procedura pavloviana perfettamente appresa. La sua mente ha ben altre preoccupazioni.

     Sta guidando ora su una strada secondaria, senza avere un’idea precisa di dove stia andando, forse verso la città di Arezzo. È la prima volta che percorre quella strada e non ha avuto neppure la presenza di spirito di leggere gli indicatori stradali all’inizio, appena uscito dal casello che era per l’appunto quello di Arezzo. Dopo qualche chilometro Giovanni gli ordina di svoltare a destra e di entrare in una stradina sterrata, poco più larga di un sentiero, che dopo qualche centinaio di metri si inoltra in un bosco. Nel fitto del bosco gli ordina ancora di uscire dalla strada e fermare l’auto in un piccolo spiazzo, in mezzo ad alberi e cespugli.

     Ora a Fabrizio non resta che prepararsi al peggio, che potrebbe essere anche la morte perché è cosciente di essere un testimone pericoloso. Prova una strana sensazione: non è paura, è rassegnazione e desiderio che questa brutta avventura finisca presto, in qualunque modo, ma soprattutto presto e senza sofferenza.

     Si è chiesto in passato come mai i condannati a morte siano quasi sempre tranquilli. Così almeno si vede di solito nei film. Sarà vero? Saranno drogati? Ora sta facendo l’esperienza diretta e sa la risposta: è pura e semplice rassegnazione di fronte all’inevitabile. È tranquillo proprio perché è certo che Giovanni si voglia sbarazzare di lui: è per questo che l’ha portato qui nel bosco, dove è più fitto, dove pare che non ci sia nessun essere umano. Stanno ancora in macchina, ma il motore è spento, è spenta anche la radio, e c’è un silenzio irreale, come la tranquillità ingannevole che precede una tempesta. Poi, finalmente, Giovanni parla e la parlata è decisamente, naturalmente romanesca; ormai non recita più la parte del toscano gentile:

     “ Allora Fabbrì, che devo fà co’ te?  Te devo ammazzà? Eccerto che te devo ammazzà. Me dispiace, perché sei ‘na brava persona, ma se te lascio libbero, tu me denunci…”

     Ecco, ora la sentenza è stata pronunciata ed è senza appello. Fabrizio ora piange, poche silenziose lacrime scendono dai suoi occhi e gli bagnano le labbra. Sanno di sale quelle lacrime… e lui si meraviglia che, in una situazione così grave, l’unico pensiero che gli viene in quel momento è che le lacrime sono molto salate.

     Giovanni fa una smorfia, punta la pistola verso il cuore di Fabrizio che chiude gli occhi in attesa dello sparo. Ma lo sparo non viene. Giovanni ordina:

     “Scenni dall’auto e spogliete.”

     Fabrizio riesce ancora a ragionare un po’ e pensa che è ovvio che lui non gli abbia sparato in auto, per non sporcarla. L’auto gli serve per proseguire da solo. Ma perché deve spogliarsi? Giovanni lo vuole sodomizzare? Resta in forse se ubbidire o rifiutarsi; è meglio rifiutarsi, tanto peggio di così non può essere, cioè: meglio morire subito…

     “Che stai a pensà? Ora te spiego tutto. Sta tranquillo e nun te succede gnente de male.”

     Il tono delle parole è tranquillizzante. Fabrizio non sa se credere, se illudersi, ma ubbidisce. Esce dall’auto e comincia a togliersi i vestiti. Sta per denudarsi, ma Giovanni lo ferma:

     “No. Che fai? te levi puro la majetta? Levate solo camicia, maglione e calzoni. Ce dovemo scambià i vestiti. Li mii sò troppo vistosi.”

     Si sono scambiati i vestiti e, su ordine di Giovanni, si sono seduti a terra, l’uno di fronte all’altro. Sembrerebbero due amici che fanno un pic-nic, ma la pistola sempre impugnata e diretta contro di lui non dà a Fabrizio sufficienti speranze di salvarsi. Ora Giovanni parla:

     “Ho penzato che te posso lassà libbero. Io nun sò un assassino. M’è capitato de sparà, ma me dispiace e finora non ho ammazzato nessuno. A me m’enteressano solo li sòrdi… Rubbo, rapino, sì, ma solo li ricchi, le banche… tanto sò tutti assicurati e magari sò puro contenti. Lo sai che si je rubbo mille essi dichiarano duemila… e ce guadagnano. Come ne l’incidenti d’auto, piji una bottarella e te rivernici tutta la macchina. L’avrai fatto pure tu… fai segno de no? Tanto è tutto un frega-frega. L’assicurazioni ce ‘o sanno, pagheno e aumentano li premi. Cossì gira ‘l monno. Nun ce credi? Sei un puro, un ingenuo? E svejete, Fabbrì!

     Però si te libbero devo da esse sicuro che nun me denunci, nun me tradisci. Allora… io me ne vado via coll’auto e, a te, te lasso qui e tu nun te movi per un’ora. Dopo vai a piedi alla stazione del treno a Arezzo, sò pochi chilometri, e te ripiji la macchina che te la faccio trovà parcheggiata lì davanti a la stazione. Le chiavi te le metto sotto, dietro a la rota posteriore destra… o sinistra, dove nun se vedeno. Nel portabagajo te ce lasso ‘l borsone co’ dentro una bella somma de euri. Sò per te. È  l’assicurazione mia che tu nun me freghi. Te ce compro ‘l silenzio. Però pé prudenza nun spenne subito sti sordi, specie le carte grosse. Aspetta che sia finito il can can della rapina. È chiaro?”

     Fabrizio è sbalordito. Non è sicuro di aver capito bene. Giovanni se ne rende conto e gli spiega nuovamente tutto e alla fine gli raccomanda:

     “Ahó!  nun fa  ‘l fregnone. Non rinuncià, pé onestà, al denaro che trovi nel borzone. Ah, però, ricordate de sparillo, sto borzone. E aricordate puro che, si me denunci, io te rovino perché a la polizia je faccio sapè che sei stato complice, che hai fatto favoritismo… no, come se dice?... favoreggiamento pé la fuga. Dico che te sei preso la parte tua. Chiaro?”

     Giovanni si alza, perquisisce Matteo, gli prende il telefonino, toglie la batteria e se la mette in tasca e dice: “Te la lasso in machina”. Poi sale in auto e dal finestrino abbassato dà un’ultima raccomandazione:

     “Ah, Fabbrì… come avevi detto prima? ‘F’ come fortuna? C’hai raggione, che pé fà fortuna è proprio questione de una ‘effe’, ma ce devi da mette quella ggiusta: F de furbo, no de fregnone.

*     *     *

     Fabrizio non resiste ad aspettare l’ora intera, come prescritto da Giovanni, e si avvia subito a piedi verso Arezzo. Ci arriva dopo un paio d’ore di marcia. Trova l’auto, le chiavi sono sul terreno, dietro la ruota posteriore sinistra. Apre il portabagagli. Il borsone c’è, lo prende, entra nell’auto e lo apre. Dentro ci sono molti pacchetti di banconote di tutti i tagli, da 5 a 500 euro. Fa una rapida stima: sono cento mila euro, anche di più.

     Che cosa fare? Cercare un comando della polizia o dei carabinieri subito? o domani? o mai? Ma se non denuncia subito e rinvia a domani, verrà poi creduto? E se denuncia, Giovanni lo inguaierà, come ha minacciato, coinvolgendolo con il favoreggiamento?

     È un dovere morale fare l’eroe? essere eroe (o fregnone?) per un giorno solo, e rimpiangere per sempre l’occasione perduta?

     Quante cose buone può fare con quel denaro: estinguere il mutuo; e comprare, comprare tante cose: l’auto nuova per sé (sarebbe ora!), bei vestiti per la moglie (che si veste sempre e solo con i saldi e i vestitini del supermercato), la miniauto per la figlia Franca (che la desidera tanto) e il motorino per il figlio Fabio (ce l’hanno tutti gli amici e lui, che è senza, ci sfigura), e poi… e poi…

     Fabrizio non sa decidere. Ci deve pensare con calma per evitare di pentirsi domani di una decisione affrettata. Ritiene che se ieri qualcuno gli avesse chiesto:

     “Se trovi centomila euro e sai che tenendoli non danneggi nessuno. Te li tieni?”

     Ieri avrebbe sicuramente risposto:

     “No, no. Li consegno all’autorità competente.”

     Ma quella, ieri, sarebbe stata una domanda teorica; gli euro non stavano mica lì tra le sue mani, non ne vedeva mica il colore, non ne sentiva il fruscio, non ne percepiva l’odore.

     Si racconta che l’imperatore Vespasiano abbia detto che ‘pecunia non olet’, e ancora oggi tanti lo ripetono, ma non è vero. Il denaro ha un suo odore, leggero ma ben avvertibile, specialmente quando la somma è tanta. Non so dire se sia un odore buono o cattivo, ma so che è affascinante.

*     *     *

     Sarebbe comodo per me concludere questa storia nobilmente, raccontando di Fabrizio che va, orgoglioso e sicuro della sua decisione, a denunciare il delinquente e a restituire il denaro.

     Oppure sarebbe altrettanto comodo concludere prosaicamente che Fabrizio è un po’ egoista, opportunista, e che il denaro se lo tiene.

     Invece  preferisco lasciare Fabrizio nel rovello del dubbio, umanamente, e intanto faccio il provocatore chiedendo a lei, gentile lettore:

     “Che cosa consiglierebbe a Fabrizio? E, soprattutto, lei che farebbe?”

Agostino G. Pasquali

FINE (… per ora)

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