Il Palazzo Farnese nel 1910 (Archivio Mauro Galeotti)

La storia di Viterbo per Pietro Egidi - prima parte
La storia di Viterbo per Pietro Egidi - seconda parte

La storia di Viterbo per Pietro Egidi - terza parte
La storia di Viterbo per Pietro Egidi - quarta parte

 
Col palazzo papale si chiude la serie delle grandi 8 costruzioni dugentesche. Il sogno ambizioso di Raniero Gatti e dei suoi coetanei era svanito.
 
Viterbo vide arrestato d'improvviso il rapidissimo afflusso della ta ricchezza e della popolazione: da capitale del mondo cattolico tornò per sempre modesto centro di piccola provincia.
 
Del sogno non rimasero altri testimoni che le eleganze del palazzo papale e forse il torrione di S. Biele, bell'esempio di architettura militare, eretto nel a 1270 da Raniero Gatti sulla strada che veniva da Roma, a li mezzo chilometro dal perimetro delle mura.
 
Secondo la comune opinione non solo esso era destinato ad albergare le vedette che di lassù sorvegliassero la via e la campagna circostante, ma doveva divenire porta urbica: nel prognosticato e desiderato incremento della città.
 
Diminuite le ricchezze, si rimpiccioliscono gli edifici: ma non si perde l’originalità del loro carattere, Si veda per esempio la casina Poscia, probabilmente nel secolo decimoquarto. È una costruzione piccina; ma quanta armonia nelle sue linee, quanto ardimento nell'arco rampante che sorregge le scale, quanta eleganza nelle cornici del suo davanzale e nelle testate dei gradini, quanto attraente semplicità nella forma della porta e delle finestre, quanta corretta fantasia nell’asimmetria dell'insieme! È un vero gioiello di architettura modesta, un esempio eccellente di piccole costruzioni civili. Il popolo viterbese predilesse questo minuscolo edificio e ne intese la singolare bellezza.
 
Lo conservò quasi intatto (manca solo qualche gradino e solo poche pietre fu necessario rinnovare), vi rannodò una delle leggende a lui più care. Anche oggi il popolo lo chiama «la casa della bella Galiana» e racconta che là vide la luce la più bella delle belle, l'onore del sesso femminile; quella novella Elena per custodir la quale Viterbo sostenne guerra ed assedio; e che, quando morì, ritenne degna d’esser tumulata sulla pubblica piazza entro un magnifico sarcofago romano, perchè rimanesse in eterno la memoria di lei, flos et honor Patrie, species pulcherrima rerum!

Il geniale partito che gli architetti del dugento avevano saputo trarre dalla esterna posizione delle scale e che di questo edificio forma l'elemento più bello, fu imitato in copia abbondante per tutta la città e in tutti i tempi. A decine si potrebbero indicare i proferli (così chiamavano codesti balconi i nostri antichi), quale sorretto da un arco rampante, quale gravante su di un arco spezzato, quale piccolo, e modesto senza altra bellezza che la linea costruttiva, quale ampio solenne e ricco di ornati.
 
Si guardi per esempio quello per cui si saliva alla casa di Nardo Mazzatosta. Nel quattrocento era considerato «il più bello et orrevole della città» poi, forse nel seicento, era stato completamente deformato. Murato il portichetto, abbattuta la scala, chiuse nell’intonaco e nel muro le parti scolpite, l'insieme era ridotto a una volgare insignificante terrazza. È merito della cittadina Società per la Conservazione dei monumenti, se le singolari sue bellezze furono restituite al gaudio degli intelligenti, con un restauro che per scrupolo e perfezione è da additare come esempio.

Ugual sorte noi ci auguriamo possa toccare al palazzo all'ingresso del ponte del Duomo che i Farnesi adattarono nel quattrocento.
Desta un senso di pietà vedere ancora oggi le belle bifore massacrate barbaramente, e tutto l’edificio in così grande abbandono. Se esso non è di grande importanza per noi, dipartendosi all’esterno dall’arte viterbese, per seguire più direttamente il gotico che aveva preso cittadinanza in Toscana, pure la singolarità del suo cortiletto, circondato dal balcone pensile sulle ardite mensole di
peperino, e i ricordi storici che gli sono collegati, se, come pare, là dentro nacque e visse il magnifico Alessandro Farnese, cardinale pei meriti di «Julia bella» e papa per la fortuna del figlio e dei nipoti, dovrebbero assicurargli una più amorevole cura. Delle costruzioni del quattro e del cinquecento che, abbandonata l’arte ormai tradizionale, s’ispirarono al nuovo spirito del rinascimento, non parleremo.
 
Non mancano nella città, ma se si eccettui il palazzo comunale, cui già accennammo, sono di piccola mole e sebbene vaghe ed eleganti, non hanno peculiari bellezze. Quelle che richiederebbero studio ed osservazione speciali, S. Maria della Quercia e la villa Lante a Bagnaia, sono fuori della città ed escono quindi dai limiti che ci siamo imposti.
 
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