Viterbo STORIA Tanto di cappello a santi come Rosa, Matteo, Giacinta, Bernardino, Antonio, Bonaventura, Andrea, Filippo
di Vincenzo Ceniti

San Bonaventura di Bagnoregio.
Foto dell'Archivio Centro Studi Santa Rosa, foto di Finzi-González

Santi senza l'osso. Sono quelli mai esistiti, e dunque senza reliquie, creati dalla fantasia popolare per indicare le vie dell’umiltà e della redenzione.

I casi di Procolo, Barbara e Giuliano.

Tanto di cappello a santi come Rosa, Matteo, Giacinta, Bernardino, Antonio, Bonaventura, Andrea, Filippo  …... leader del parco patroni della Tuscia che si affida a loro da secoli, ne conosce vita, morte e miracoli e nel dies natalis mette insieme processioni, luminarie, cene all’aperto ed altro per ottenere favori e complicità.

Ieri per la pioggia nei momenti giusti, la fine di una  pestilenza o la sconfitta del tiranno. Oggi, più concretamente, per un posto di lavoro, qualche anno di vita in più o la combinazione giusta nelle slot machine. 

Beati questi santi in carne ed ossa che hanno una storia da raccontare, tra peccati ed espiazioni. Giacinta Marescotti (venerata a Vignanello e Viterbo) prima della “chiamata” conduceva una vita dissipata e disinvolta.

Agnese, patrona di Proceno, se ne andava di sovente in trans davanti alle frequenti apparizioni della Madonna tra gli sguardi sbigottiti e invidiosi delle consorelle. Bonaventura lo vediamo rintanato a pane e acqua in uno speco dirimpetto alla rupe di Civita di Bagnoregio a pregare e meditare. Rosa vagava con la croce in pugno tra le vie di Viterbo a rinfocolare gli animi contro l’imperatore svevo. 

Ma accanto a questi giganti del cielo si muove, anche qui nel Viterbese, una schiera di santi per acclamazione, mai vissuti in realtà, senza arte né parte, usciti dalla fantasia popolare con narrazioni raccontate per suscitare condivisione e imitazione.

Queste figure immaginarie ci intrigano di più, le sentiamo più vicine, forse perché modellate ad uso e consumo di noi peccatori. Pensiamo a Procolo, un pastorello analfabeta e solitario, tutto il giorno a pascolare le sue pecore tra i calanchi e i silenzi di Lubriano dove è venerato dal Trecento, periodo cui si fa risalire la valle di San Procolo con alcune grotte scavate nel tufo che portano il suo nome.

Si dice che la fiducia dei fedeli se la sia guadagnata col suo carattere mite e umile. Nelle interminabili giornate del pascolo, se ne stava per ore a contemplare le meraviglie del creato e a lodare Dio.

La  stessa Barbara, tanto acclamata e osannata (specialmente dagli abitanti di Barbarano Romano e dai Vigili del Fuoco), è più mito che ossa. La fede sostiene comunque che i resti mortali sono a Venezia, Roma, Costantinopoli, Piacenza, Rieti, e non solo. Il suo seno pietrificato sarebbe addirittura custodito a Novgorod in Russia.

Barbara era bella, seducente e cristiana e per questo il padre pagano la teneva sempre rinchiusa in una torre. Un giorno, in assenza del severo genitore partito per un viaggio, approfittò per battezzarsi da sola. Quando il vecchio lo seppe l’avviò al supplizio: le vennero tolte le vesti e fu esposta nuda agli sguardi lascivi della folla, prima della sua decapitazione. 

Più scalognati Giuliano ed Orsio -  venerati rispettivamente a Faleria e Veiano -  uniti da un comune, tragico destino, quello di aver ucciso per sbaglio i genitori. In compenso però si sono guadagnati la redenzione con una vita di sofferenze e privazioni.

La fantasia popolare racconta che Giuliano (ma un destino smile è anche quello di Orsio) durante una battuta di caccia trafisse per sua disgrazia un cervo fatato che prima di morire gli fece una premonizione agghiacciante: “Ucciderai i tuoi genitori”.

Sconvolto da questo anatema, scappò di casa, il più lontano possibile dal padre e dalla madre. Conobbe in terra sconosciuta una nobile castellana e la sposò. I genitori, che da tempo stavano alla ricerca del figlio, giunsero un giorno al castello di Giuliano dove, in sua assenza, vennero accolti dalla moglie.

La premurosa nuora li fece rifocillare offrendo loro il proprio letto perché potessero meglio riposare dal lungo viaggio. Giuliano, insidiato dal diavolo, ritornò improvvisamente di notte e trovando il talamo nuziale occupato, ebbe l’impressione di vedere, nella penombra, sua moglie giacere con un amante.

Accecato dall’ira sfoderò la spada e uccise, secondo la profezia, i malcapitati genitori. Per redimere l’anima dall’infame delitto, giurò penitenza affrontando una vita di carità per malati e bisognosi. Da qui anche l’onorificenza di “ospitaliere” .

In conclusione.

Le ossa di questi santi immaginari, come reliquie da venerare,  non ci sono, ma per i fedeli non è stato mai un problema.

Vincenzo Ceniti
Console Touring Viterbo