Viterbo STORIA Si conosce perché, ovviamente, si frequenta, ma quali sono le sue origini, la sua storia?
di Patrizia Labellarte

Ingresso di Prato Giardino nel 1910 (Archivio Mauro Galeotti)

Rappresenta per tutti un luogo di incontro, di svago, dove la natura regna in contrasto al cemento cittadino. Un piccolo angolo di verde testimone di vita...ebbene si, perchè ci ha visto crescere, muovere i primi passi, giocare, così come è stato un rifugio o meglio un nascondino in alcune giornate o in alcuni casi ha anche assistito alla nascita di un nuovo amore: Prato Giardino.

Si conosce perché, ovviamente, si frequenta, ma quali sono le sue origini, la sua storia?

Le sue origini risalgono al XIV quando a questo appezzamento di terreno fu dato il nome Giardino.

Era un terreno con prato e apparteneva alla Dogana del Patrimonio, meta dei castellani papali e luogo di riunione per le esercitazioni militari a seguito della costruzione della Rocca ad opera del cardinale Egidio Albornoz,

Al suo centro era stata collocata una fontana sparita per incuria nel secolo XVII.

La Gazzetta di Viterbo del 9 Settembre 1876 riporta: «Sotto il prato passavano dei cunicoli, che servivano per mettere la rocca in comunicazione coll’esterno e per le sortite e le sorprese in tempo di guerra. Nel passato secolo si vedevano ancora a piè del prato le imboccature, in parte coperte dai rovi, di tre cunicoli, uno dei quali comodamente praticabile per lungo tratto».

Qui si fermavano le mandrie al loro passaggio per la città; si facevano le stime e le divisioni del bestiame; si andava a caccia di allodole; vi si tenevano le manovre e le riviste militari.

L’11 Giugno 1965 un terremoto sconvolse la nostra città e Prato Giardino divenne la dimora di molti  abitanti che qui si accamparono per vari giorni e dove, per volere del vescovo venne innalzato un altare per la solenne benedizione.

La via che tutt'oggi fiancheggia Prato Giardino, via del Pilastro, era detta Via dei Pilastri, per la presenza di tre pilastri messi a dimora all’ingresso sin dal tempo dei Chigi, il cui scopo era di non far entrare le carrozze.

Come risulta dalla Pianta della traversa postale della Città di Viterbo (1821), all’inizio della Via del Pilastro a sinistra, c'era una fontana, posta di fronte all’ingresso di Prato Giardino, la cui posizione venne discussa nel 1873 in Consiglio in quanto un giornalista della Gazzetta di Viterbo la definì "ingombrante"  in quanto intralciava «la linea del transito alla passeggiata».

Il prato si presentava diviso in due parti: il Prato Grande e il Prato Piccolo. Il primo era identificato insieme con fondo Chigi ed altri prossimi terreni, mentre il Prato Piccolo, invece,  era al di là della strada nazionale (Via della Palazzina); con la villa Bonaparte, ora Rattazzi. Era quadrato, costeggiato da una strada che  terminava dove ora termina la villa.

L’attuale Via Prato Giardino era detta sin dal 1713, Stradello del Pilastrino. Tra i proprietari di Prato Giardino nel 1451 vi era la famiglia Monaldeschi, poi nel 1459 la famiglia Gatti.

Dopo il 1551 fu ceduto ai Baglioni, i quali, nel 1626, per estinguere un debito coi Marsciano, vendettero a quest’ultimi, tra l’altro, anche il Prato Giardino. Dai Marsciano passò a Dionora Chigi Montoro nel 1638, fu poi concesso in enfiteusi nel 1734 a Ubaldino Renzoli. Tra i proprietari risulta anche il principe Gerolamo Pamphili Aldobrandini Facchinetti.

Francesco Cristofori, in una nota, riportata circa il 1890, nella rubrica delle Riforme del 1819 - 1820, la descrive:

«Fontana nel predio rustico de li signori Chigi Montoro al prato Giardino. Con la strada che va dal bivio de la Madonna addolorata a le Bussete. Nasce in una grotta da una rupe […]. E’ di uso  pubblico civico inconcusso».

Prato Giardino fu anche triste teatro di esecuzioni capitali per oltre quaranta anni, dal 1571 al 23 Agosto 1612. Vi furono impiccati venticinque uomini, l’ultimo fu Tiberio di Silvestro da Porano. Sul periodico locale Gazzetta di Viterbo, uscito nell’Agosto 1876, sono elencati vari nomi dei condannati in un racconto a carattere satirico

Nel 1821 in un appartamento al secondo piano della villa, appartenuta in quel tempo al marchese Bartolomeo Especo y Vera, prese sede l’Accademia filodrammatica viterbese che vi allestì un teatro con centoquaranta posti a sedere. Il teatro, attivo fino al 1838, fu chiamato Teatro di Prato Giardino e sul sipario era scritto il motto: Castigat ridendo mores.

Finalmente, il 9 Gennaio 1843, il Comune ravvisata la posizione strategica rispetto alla città, deliberò di acquistare Prato Giardino, per destinarlo ad utilità pubblica, ma solo nel 1845 Antonio Calandrelli fu incaricato di attivare le trattative per l’acquisto e, nel 1847, divenne di proprietà pubblica. Nel 1847, infatti, il Comune di Viterbo a seguito di una lunga causa per l’uso di Prato Giardino, prese in enfiteusi perpetua quel terreno, pagando al proprietario, marchese Filippo Patrizi Montoro, un affitto di sessanta scudi.

I lavori di assestamento del terreno ed il tracciato dei viali  ebbero inizio nel 1855, a seguito dell’elevato afflusso di forestieri alle terme.

Il progetto fu realizzato dall’architetto Crispino Bonagente. Innanzi tutto furono piantati gli alberi lungo i viali, grazie ad una sottoscrizione di trentuno cittadini, e nel 1858 fu anche preparato un progetto per l’erezione del muro di cinta, lavoro iniziato l’anno successivo dal mastro muratore Ignazio Agostini, che però si protrasse fino al 1865 a causa di discordie sulla qualità del lavoro.

Fu il Vicario vescovile a sollecitare la recinzione «onde evitare le immoralità, che vi si commettevano di notte tempo!».

Il cancello, per chiudere l’ingresso, fu progettato dall’architetto Virginio Vespignani nel 1872, furono utilizzati quattromila chili di ferro, 1666 chili di ghisa e per i due cancelli laterali cinquecento chili di ferro. Il lavoro fu pagato per la cancellata di ferro, compresa la mano d’opera, lire 1,30 al chilo, per l’ornato e la colonna di ghisa lire 1,50 al chilo.

I venti sedili in pietra da collocare lungo le passeggiate, furono disegnati dall’ingegnere Valerio Caposavi, mentre risale al 1872 la costruzione del muro di cinta lungo Via della Palazzina, il quale nel 1876 crollò in due tratti.

Patrizia Labellarte

Bibliografia: Galeotti, Mauro: L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

chi è on line

Abbiamo 1112 visitatori online

 

 I libri

di Mauro Galeotti

 

Cartonato - pag. 246 - euro 25,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it

Cartonato - pag. 808, a colori
da euro 120,00 a euro 80,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it