Viterbo STORIA Non trascurabili le simpatie riscosse da santa Rosa per i suoi trascorsi a difesa delle libertà comunali
di Vincenzo Ceniti, Console Touring di Viterbo

 

Mostra dei bozzetti della Macchina di Santa Rosa

La mostra sui bozzetti della nuova Macchina di Santa Rosa esposti agli Almadiani, la recente scomparsa di Nello Celestini patron del “Sodalizio dei Facchini” e il progetto europeo “La vie en rose” promosso dal Centro di Studi di Santa Rosa con il sostegno del Comune di Viterbo e di altre organizzazioni, ci sollecitano un ennesimo zoom sulla santa viterbese e sulla sua incredibile popolarità in molti Paesi del mondo.

Alessandro Finzi, presidente di quel Centro di Studi, che si è occupato in particolare del culto della santa nella penisola iberica e in America latina, attribuisce buona parte del merito ai francescani. Non trascurabili, in ogni caso, le simpatie riscosse da santa Rosa per i suoi trascorsi a difesa delle libertà comunali, interpretate nei secoli come insofferenza ad ogni tirannide. 

A Viterbo, lo ricordiamo, si oppose intorno alla metà del Duecento con fede e coraggio alle angherie imperiali di Federico II, tanto da essere punita con l’esilio. Non è dunque singolare che una ragazza giovanissima come Rosa, per di più povera e illetterata, abbia potuto guadagnarsi, subito dopo la morte, tante adesioni e una fede che avrebbero ben presto valicato gli stretti confini della sua città.

Ne è testimonianza la devozione che riscuote in paesi anche lontani (come detto nella penisola iberica e in America latina, ma anche in Tanzania e in Messico). Sono ovunque chiese ed istituzioni intitolate a santa Rosa. Fra le tante ricordiamo il santuario di Querétaro nel Messico e la chiesa nella valle dei Templi di Agrigento. In Spagna, nelle Ande e in Brasile ci sono, rispettivamente, tre cittadine che portano il nome di Santa Rosa da Viterbo.

Ma il capitolo più sorprendente è quello iconografico.

Nutrita la serie di opere di autori stranieri: il dipinto seicentesco di Bartolomé Esteban Murillo (al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid) raffigurante La Vergine e i Santi appaiono a Santa Rosa da Viterbo; la tela dello stesso Murillo che presenta la santa con la croce nella mano destra e due rose in quella sinistra (al Worcester Art Museum, USA); la grande tela di Juan Antonio de Frìas y Escalante (XVII secolo) al Prado di Madrid (Ultima Comunione di Santa Rosa da Viterbo); quella, altrettanto grande, di Sebastiano Gòmez al museo di Belle Arti di Salamanca (Apparizione di Santa Rosa da Viterbo, 1699) e il dipinto raffigurante il Miracolo della gallina di Gregorio Vàsquez de Arce y Ceballos (1638-1711) alla Pinacoteca dei Padri Gesuiti di Bogotà.

In Italia, Macrino d’Alba (XV-XVI secolo) la raffigura con un fascio di rose nel quadro custodito nella Galleria Sabauda di Torino. Albertino Piazza (XVI sec.) la presenta con il grembiale di rose (Accademia Carrara di Bergamo). Benozzo Gozzoli (XV secolo) la ritrae nel grande affresco della Chiesa-Museo di Montefalco, presso Perugia.

Nella  chiesa di Santa Maria in Aracoeli di Roma si apre una cappella dedicata alla santa (raffinato il tondo con la Gloria di Santa Rosa). Sempre a Roma la riconosciamo nei dipinti seicenteschi della basilica dei SS. Cosma e Damiano insieme a santa Rosalia da Palermo. L’immagine della santa viterbese è presente anche nella  Basilica di San Francesco ad Assisi.

E veniamo al Viterbese.

Nella chiesa del Giglio a Bolsena, una tela raffigura la santa con due angeli che stanno per incoronarla. In quella di San Bernardino ad Orte un dipinto mette al centro Rosa con l’abito francescano che sale verso l’alto aiutata dagli angeli. Di estrema semplicità l’ovale in affresco attribuito al Villamena (XVII sec.) nella chiesa di San Francesco a Vetralla. Ancora Rosa negli affreschi quattrocenteschi di Giovanni e Antonio Sparapane che decorano una cappella della chiesa semidiruta di San Francesco a Tuscania.

Nella città di Viterbo la sua immagine più antica, in senso assoluto, è uno schizzo sbiadito disegnato sul retro del foglio membranaceo riproducente un frammento della “Vita prima” (1280). Il ciclo di affreschi che Benozzo Bozzoli dedicò agli episodi più significativi della vita della santa nella chiesetta di San Damiano sono andati purtroppo distrutti nel 1632.

Ne restano però alcuni disegni, seppur di modesta fattura, provvidenzialmente commissionati a Francesco Sabatini di Orvieto (prima della distruzione degli originali) tuttora conservati nel Museo Civico.

Tre bozzetti in miniatura (detti di Benozzo Gozzoli), dipinti su piccole lastrine di marmo, rappresentanti le scene di tre affreschi, si conservano a Viterbo presso il monastero delle Clarisse, mentre due disegni autografi dello stesso Gozzoli si trovano, rispettivamente al British Museum di Londra e nel Gabinetto dei disegni e delle stampe di Dresda. Di buona fattura la figura della santa nel polittico di Francesco di Antonio Zacchi da Viterbo detto il Balletta (datato 1441) che si ammira nel Santuario.

Del viterbese Antonangelo Bonifazi ci resta una bella tela seicentesca della Madonna del Carmine e santi (fra cui Rosa) custodito nel Santuario della Quercia, poco distante dalla città, che propone anche la santa in una delle tante tavolette votive riunite in un piccolo antiquarium cui si accede dalla navata sinistra.

Nella chiesa di San Pellegrino si trova un affresco seicentesco con i Santi Rosa e Giacinta Marescotti ai piedi del Crocifisso. La Cassa di Risparmio di Viterbo custodisce un bozzetto della tela (andata distrutta) che Marco Benefial dipinse nel 1727 sul miracolo del fuoco avvenuto a Vitorchiano.

Sempre a Viterbo, nella cappella palatina di palazzo dei Priori, un affresco settecentesco vede Rosa tra i santi locali. Il miracolo delle rose è raffigurato in affresco nella volta del parlatorio del monastero delle Clarisse (probabile opera settecentesca di Domenico Corvi). Una Predicazione di santa Rosa di anonimo è nella chiesa della Crocetta di Viterbo.

Di ingenua tenerezza il volto della santa in una tela settecentesca, di autore ignoto, al Museo del Colle del Duomo di Viterbo. Il dipinto più emblematico e più caro ai viterbesi, resta, comunque, quello ottocentesco di Francesco Podesti di Ancona (1812-1855) che troneggia sull’altare maggiore del Santuario della Santa.

Vincenzo Ceniti
Console Touring di Viterbo