Viterbo STORIA Il primo partito che presentò al Comune ì quaranta candidati fu il Partito Socialista
di Emanuela Dei

Donne al voto

Il 7 aprile del 1946 ci furono le prime elezioni amministrative dopo vent'anni di dittatura fascista.

Gli italiani vennero chiamati per scegliere liberamente gli amministratori del proprio Comune.

Anche le donne si recarono alle urne, novità assoluta, e questo condizionò molto l'esito delle elezioni.

Nel settimanale viterbese Il Bullicame, Anno III n.10, il direttore della testata, Corrado Buzzi, si chide a chi sarebbe andato il voto delle donne: “A favore di quale corrente politica gioverà l'intervento delle donne nella battaglia elettorale; quale contributo di energie, di esperienza di vita, di intelligenza politica porterà tale intervento?”.

A Viterbo vennero presentate otto liste concorrenti e tutta la popolazione, insieme agli abitanti di Bagnaia, la Quercia e le frazioni di Grotte S. Stefano e S. Martino al Cimino si recarono alle urne per eleggere i consiglieri comunali. Il numero degli elettori si aggirava intorno ai  24082. Le direzioni dei partiti politici preferirono astenersi, in linea di massima, da concludere alleanze o concordare liste di fusione. Ogni partito preferì correre da solo per conoscere, dal risultato delle elezioni, la propria forza numerica.

Il primo partito che presentò al Comune i quaranta candidati fu il Partito Socialista, per essere al primo posto nella scheda di votazione. Secondi furono i Comunisti e la lista Indipendente, che aveva come capolista il notaio Dobici. Il Partito Repubblicano non avendo raggiunto un accordo completo con gli Azionisti e i Democratici, presentò una lista a sé, così come i Qualunquisti e i Combattenti.

I Democratici del Lavoro si unirono in una lista comune con gli Azionisti chiamata “Azione e Lavoro”. La Democrazia Cristiana, seguendo le direttive generali del Partito, escluse qualsiasi alleanza preoccupandosi di presentare la propria lista per ultima in modo da accaparrarsi nella scheda di votazione, l'ultimo posto a destra.

Riguardo ai contrassegni delle liste, il P.S.I. aveva come simbolo il sole nascente, il P.C.I. la falce e il martello, la Democrazia Cristiana, lo scudo crociato, il Partito Repubblicano la foglia d'edera, lo U.Q. aveva il torchio, il blocco “Azione e Lavoro” le spighe e la spada, l'Associazione Combattenti l'elmetto con le fronde di ulivo, mentre la lista Indipendente, come emblema, aveva il leone di Viterbo.

Nella rubrica “Lettere al direttore” del settimanale il Bullicame, Anno III, n.9, il giovane Enzo Rocchi esprime il suo scetticismo e la sua preoccupazione riguardo l'esito delle elezioni “date le non troppe lusinghiere prove finora offerte dai più grandi di età”. Egli  sostiene che nella scelta dei consiglieri il popolo deve guardare non al colore politico dei candidati, ma alla oro capacità ed onestà.

Per una buona amministrazione del Comune occorrono persone di specchiata fama e di provata competenza: “Noi abbiamo bisogno di veramente GRANDI BUONI ESEMPI che sappiano trascinarci sulla loro scia! Chi dovrà insediarsi ai posti di comando dovrà essere in grado di assolvere ai suoi doveri e dal punto di vista morale ed intellettuale! Ciascuno al suo posto secondo al merito! Dirigere la cosa pubblica significa amministrarla con ONESTÀ, INTELLIGENZA, OPEROSITÀ.”

Nei futuri capi del Comune, il giovane passionario, vuole vedere non solo uomini illustri, ma persone che al termine della loro fatica, insigniti dal riconoscimento del popolo per il bene compiuto, sapessero ritornare alle loro antiche occupazioni.

Non più arrivisti, opportunisti, inetti o fannulloni ma: “Uomini coraggiosi ci vogliono che sappiano dire la verità senza spirito di partigianeria per questo o quel partito. I partiti devono servire al popolo e non devono intralciare l'azione di chi sa e vuole adempire a questo altissimo e sacro dovere”.

Emanuela Dei

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