Viterbo STORIA Santa Rosa fu la santa del popolo perché sull’esaltazione della sua figura si basò in buona parte l’azione evangelizzatrice dei francescani
di Alessandro Finzi

La comunità Mapuche di Santa Rosa

Cari lettori, per quanto vi paia incredibile e fantascientifico questo titolo, vi prego di seguire un po’ questa storia.

Cominciamo da Bariloche, città di centomila abitanti, che si trova nel sud dell’Argentina, nella provincia di Ro Negro.

Il suo nome originale era San Carlos de Bariloche, ma, come spesso accade in sud America, alla fine prevale solo il nome finale di origine india. La città fu fondata in epoca relativamente recente, nel 1895, da un tedesco che vi aveva aperto un magazzino per il commercio all’ingrosso. La città è molto cresciuta negli ultimi decenni ed oggi è un centro turistico molto rinomato che si estende lungo le rive del meraviglioso lago Nahuel Huapi, all’interno dell’omonimo Parco Nazionale circondato da alte montagne.

Forse alcuni hanno già sentito nominare questa città perché ha accolto un gran numero di criminali nazisti in fuga. Alcuni di questi sono tristemente noti anche in Italia. A Bariloche ha infatti trovato rifugio Erich Priebke, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, ma nella fiorente comunità tedesca locale hanno trovato temporanea ospitalità anche Adolf Eichmann, il meticoloso contabile della morte di Auschwitz, e Josef Mengele, il medico fanatico e spietato.

Eichmann passava a Bariloche lunghi periodi di vacanza e, catturato in seguito alla caccia ai criminali nazisti, fu processato e condannato a morte. Mengele, pur ricercato e individuato dalla fotografa impiegata nella biblioteca della scuola tedesca, riuscì a sfuggire alla cattura. 

Priebke, alla fine catturato, estradato in Italia e processato, era arrivato a San Carlos de Bariloche nel 1954; amato e stimato da tutta la popolazione vi aveva aperto una salumeria rinomata per gli affettati e si dice che tenesse nel retrobottega un ritratto di Hitler.

Ma nel territorio in cui sorse Bariloche esistevano già popolazioni indigene dell’etnia Mapuche (“mapu” significa appunto “territorio”) che erano insediate dalle origini nei territori meridionali del continente che oggi appartengono al Cile e all’Argentina.

Fra queste popolazioni la molto combattiva comunità di Santa Rosa (eh sì, proprio Santa Rosa!), ha iniziato da tempo a rivendicare la proprietà della terra come diritto ancestrale. Ma la proprietà della terra di chi è oggi?

Di Benetton ! Proprio del nostro Benetton, quello degli “United Color”.
La storia è veramente incredibile. È successo che, seguendo una politica di investimenti all’estero, nel 1991, con 50 milioni di dollari, Benetton si è comprato da una compagnia inglese ben 900.000 ettari di territorio patagonico, quasi un milione di ettari! diventando il maggior proprietario terriero della Patagonia. La superficie era utilizzata come pascolo per enormi mandrie di bovini (16.000 capi) e greggi di pecore (260.000 capi) che affluivano ad grande impianto di macellazione proprio a Bariloche.

La terminazione del nome Bariloche, che ci ricollega alla terra dei profughi nazisti si può leggere anche nel manifesto sotto alla bandiera nella foto in cui si vedono le donne mapuche riunite in comitato; prova aggiuntiva che non si tratta di una coincidenza occasionale, ma di elementi del conflitto è che, in un proclama in cui si rivendica di non essere né cileni, né argentini, ma di essere la nazione Mapuche, vengono denunciati: “gli interessi della borghesia locale per mezzo del Club Andino di Bariloche”, formato in gran parte da tedeschi in fuga nel doipoguerra. 
I Mapuche, comitato politico femminile

Vediamo adesso come le rivendicazioni del popolo di Santa Rosa abbiano acceso un duro conflitto con Benetton; vi sono due punti da esaminare: l’origine e l’evoluzione del conflitto e, preliminare dal nostro punto divista, stabilire di quale Rosa si tratti, dal momento che siamo nel Sud America che ha, come patrona, santa Rosa da Lima.

Cominciamo dal fatto che mezzo secolo prima che Rosa da Lima nascesse in Perù, il culto di santa Rosa da Viterbo, siamo nel 1500, si diffondeva già ed era popolare in Argentina. In questo grande Paese abbiamo trovato, soprattutto per merito di Stefano Aviani Barbacci, ricercatore tenace e dal grande intuito, ben trentuno testimonianze documentali delle diffusione del culto della nostra Santa, culto che si è mantenuto ancora vivo fino ai nostri giorni. Il lavoro sarà pubblicato sul primo numero del nuovo anno su “Frate Francesco” rivista internazionale in più lingue edita dall’Università Cattolica.

Nel frattempo le testimonianze trovate sono diventate trentadue.  In particolare è interessante il fatto che fosse intitolato alla nostra Santa anche la prima confraternita di terziari francescani di Buenos Aires, formata esclusivamente da popolazione indie autoctone e da meticci.

Santa Rosa fu infatti la santa del popolo perché sull’esaltazione della sua figura si basò in buona parte l’azione evangelizzatrice dei francescani, ed in particolare dai cappuccini che hanno dato vita a numerose confraternite di terziari e terziarie, intestate spesso anche a santa Rosa da Viterbo, molto attive fra la popolazione in opere di assistenza e di insegnamento. Fra queste è necessario ricordare, nella città di Salta, il prestigioso collegio femminile di Santa Rosa da Viterbo nonché quelli di Cordova e di San Lorenzo, sempre titolati alla nostra Santa.

Santa Rosa da Lima, canonizzata alla fine del ‘600, fu invece la santa dell’aristocrazia ispanica, coltivata dai domenicani, che ha acquistato notorietà essenzialmente perché diventata patrona delle Americhe, ma non ha contributo alla evangelizzazione della popolazioni autoctone, come da decenni già facevano i francescani grazie alla diffusione del culto di santa Rosa da Viterbo. Anche per questo è impensabile che alla Rosa limegna sia intestato il nome di una comunità indigena.

Ricordiamo ancora che il popolo Mapuche era presente nelle aree attuali del Cile e in Argentina quando ancora i conquistatori non avevano stabilito dei confini nazionali. Esisteva tuttavia una separazione geografica costituita dalle alte montagne della cordigliera andina. Quando arrivarono gli spagnoli, stabilirono una piccola fortificazione nel luogo oggi noto come Curimón. La parola è appunto mapuche e significa “terre nere” e fu in questa terra mapuche che, nel 1583, si insediarono i missionari francescani con la finalità specifica di evangelizzare i nativi e per fondare il convento di santa Rosa da Viterbo col patrocinio di Carlo V, Re di Spagna.

Il convento di santa Rosa da Viterbo a Curimón, solo dal 1696 cominciò ad essere dotato di claustri in muratura e di una chiesa; il convento ha anche rilevanza storica perché nel 1817 vi si acquartierarono le truppe dell’esercito “libertador”, comandate dal generale José Francisco de San Martín, che provenivano dall’Argentina e combattevano per l’indipendenza del Cile.
 
Riassumendo: in terra Mapuche, in una località con denominazione Mapuche, lungo un percorso praticamente unico che i mapuche dovevano necessariamente percorrere per attraversare le Ande, essi incontravano il convento di santa Rosa da Viterbo nel cui nome i francescani erano venuti per evangelizzarli.

Peraltro una santa senza attributo del luogo di origine si giustifica solo se è unica con quel nome ed è ovvio che se il riferimento fosse stato alla santa limegna il nome non poteva essere altro che: Santa Rosa da Lima; la semplice denominazione di Santa Rosa non può che riferirsi, da tempi non recenti, alla santa viterbese. Grazie alla congruenza di questi argomenti convergenti e concordanti non si può dunque dubitare in onore di quale santa abbia assunto il nome la comunità mapuche di Santa Rosa.

E veniamo a Benetton. L’acquisto delle terre era perfettamente legale, ma è dubbia la legalità, nel 1896, dell’originale donazione delle terre ad un gruppo di inglesi da parte dell’allora presidente e dittatore José Félix Uriburu y Uriburu. Niente di strano; se si va indietro nella storia si trova che il Papa Alessandro VI, che aveva da poco mandato al rogo Savonarola, già nel 1493 aveva avuto la bella pensata di donare al re di Spagna, non solo le terre già conquistate nelle Americhe, ma perfino quelle ancora da scoprire, salvo poi ripensarci e stabilire che una parte era destinata al Portogallo.

È questa una vicenda che si è ripetuta molte volte nelle Americhe e in Africa: le terre, che in origine erano di tutti per diritto naturale, non esistendo in materia alcuna proprietà privata riconosciuta, prima o poi sono state vendute o donate dall’occupante con l’emarginazione delle popolazioni locali.

Questo vizio di origine delegittima, a buon senso, ogni successivo passaggio di “proprietà”, ma il buon senso viene meno quando incomincia a funzionare il “diritto” regolato dalla Legge. Di fatto i Mapuche sul piano giudiziario, a parte qualche effimero successo, continuano ad uscire sconfitti sul piano delle loro rivendicazioni legali.

Ed ecco la storia: nel 2002 Atilio Curiñanco e Rosa Rúa Nahuelquin si insediano in un terreno ritenuto demaniale; due mesi dopo, a seguito di una denuncia da parte dell’amministrazione della proprietà Benetton, vengono obbligati a sgomberare della polizia con successiva denuncia per occupazione abusiva e resistenza. 

Nel 2004 i Mapuche incominciano a organizzarsi per rivendicare le terre, però arriva la sentenza che assolve Atilio e Rosa, ma li obbliga a lasciare libero i terreni su cui si erano insediati. La Rosa india, come la Rosa viterbese, è stata cacciata, ma non teme l’autorità e, con uguale coraggio, la contrasta: viene invocato il Trattato di Quillin (1641) in cui la Spagna garantiva agli indigeni la sovranità del cosiddetto “Estado de Arauco”, antico nome della Patagonia.

La cosa incomincia a fare rumore; nel 2994 interviene il premio Nobel per la pace, l’argentino Adolfo Pérez Esquivel che scrive all’imprenditore Luciano Benetton chiedendo la restituzione della terra ai Curiñanco. Il caso acquista rilevanza internazionale ed Esquivel rilascia un’intervista al quotidiano Repubblica in cui spiega agli italiani le ragioni del popolo Mapuche.
 

BASTA OPPRESSION, FUORI BENETTON !

Si arriva così al 2004 quando viene organizzato un incontro a Roma a cui partecipano, oltre alle parti formate dai coniugi Curiñanco e dai legali di Benetton, anche organizzazioni internazionali, l’ambasciatore argentino e…Walter Veltroni ! Ma all’offerta da parte di Luciano Benetton di 2.500 ettari da destinare ai Mapuche arrivò una risposta storica: “Benetton non può donare ciò che non gli appartiene!”.

Aveva incominciato un Papa, poi aveva continuato un Presidente della repubblica, alla fine ci aveva provato Benetton, ma tutti regalavano ciò che non era loro. Benetton, almeno, aveva pagato (sia pur poco) e in qualche modo si sentiva legittimo proprietario.

Si susseguono agitazioni, proteste, denunce e processi; Benetton alza l’offerta a 7.500 ettari, ma i Mapuche continuano a reclamare tutti i 900.000 iniziali perché l’acquisto era avvenuto in violazione dei diritti ancestrali. Nel 2006, la famiglia Curiñanco rifiuta un tentativo di accordo extra-giudiziale proposto dall’impresa e perde la causa.

Nel 2007 i due coniugi danno vita alla “Comunità di Santa Rosa” e proseguono le agitazioni e le occupazioni di terre, si arriva fino all’ONU e all’invocazione della Carta per i Diritti dell’Uomo, ma Benetton è invincibile e l’ultima sentenza del 2011 è ancora suo favore; la Comunità doveva lasciare liberi i terreni occupati entro 10 giorni e alla fine lo sgombero è stato affidato alla polizia.

Così finisce, per ora, questa stranissima storia e i lettori si saranno resi conto che nel titolo siamo stati addirittura parchi: oltre ai Mapuche, a santa Rosa, a Benetton e ai nazisti di Bariloche, si poteva benissimo ricordare anche l’ONU, un premio Nobel, l’ambasciatore argentino, il quotidiano "La Repubblica" e perfino Walter Veltroni che era riuscito a imbucarsi nell’eterogeneo consesso e chissà quale mai contributo può aver dato alla questione.
Come si vede la storia a volte va dritta come una freccia e a volte, come in questo caso, si contorce in labirintiche involuzioni.

Qui abbiamo visto un popolo lontano che si batte per i suoi diritti nel nome imprevedibile di Santa Rosa e nel nome di Santa Rosa faccio ai miei lettori i migliori auguri per un Buon Natale e Felice 2015.

Alessandro Finzi
Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, onlus
per sostenere il Centro:
IBAN per donazioni detraibili:
IT18 I010 0514 5000 0000 0001 267

 

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