Viterbo STORIA Nativo di Tuscania (1939), iniziò a cantare da piccolo quando si chiudeva nel bagno per ascoltare meglio le vibrazioni della sua voce
di Vincenzo Ceniti
Console Touring Club di Viterbo

 

Due anni fa, nel 2012, moriva a Roma uno dei più grandi artisti del teatro lirico italiano, originario della Tuscia Viterbese.

Lo intervistai per la rivista Tuscia nel 1980 nella sua villa presso Riano. Era orgoglioso delle sue radici maremmane

Nativo di Tuscania (12 marzo 1939), iniziò a cantare da piccolo quando si chiudeva nel bagno per ascoltare meglio le vibrazioni della sua voce e soprattutto per sfuggire alla noiosa curiosità dei compagni che lo chiamavano “paperino” in quanto bassotto e cicciottello.

Suo padre Giustino, proprietario di un mulino a grano e di un frantoio, alla testa di una famiglia numerosa (moglie e cinque figli), fu il primo ad accorgersi del talento del piccolo Veriano tanto che lo affidò al maestro Amedeo Cerasa, anch’esso di Tuscania, amico di famiglia e direttore del Conservatorio di Pesaro.

Fu lui a consigliare di avviarlo allo studio della  musica, ma dopo alcuni tentennamenti venne iscritto all’Istituto Agrario di Bagnoregio. La passione per il canto – dirà Veriano – ebbe però la meglio. Intorno a 17 anni cominciò a frequentare  la maestra Maria Vignoli, e successivamente, a Roma, la maestra Di Veroli.

Inizialmente la sua voce aveva un’impostazione baritonale, che poi si assestò su timbri tenorili. Il primo esame, dopo la parentesi militare a Caserta e a Roma, fu nel 1963 al concorso “Voci nuove” di Spoleto alle prese con il conte Floris nella “Fedora” di Giordano. La critica fu favorevole. La carriera di Veriano Luchetti era iniziata.

Quando lo intervistai nel 1980 per la rivista Tuscia nella sua villa di Colle Romano presso Riano, vicino a Roma, mi disse “Avrei voluto che mio padre fosse stato in platea per ringraziarlo alla mia maniera e ripagarlo dei sacrifici che aveva fatto per farmi studiare”.

Ci furono poi negli anni Settanta i primi veri successi di pubblico. Inizialmente nella parte di Vasco de Gama nell’”Africana” di Meyerbeer diretta da Riccardo Muti e, soprattutto, nella Messa di Requiem di Verdi ad Orvieto nel 1977. E poi nel ruolo di protagonista delle principali opere: Vespri Siciliani, Madama Butterfly, Tosca, Attila, Lucia di Lammermoor, Don Carlos, Simon Boccanegra, Nabucco …

Mario del Monaco dirà “Finalmente ho riascoltato una voce di tenore”.  Veriano ebbe la fortuna di avere al suo fianco una moglie ideale, una trentina di Rovereto, il soprano Mietta Sighele (memorabile la sua  Butterfly a Tokyo nel 1965), da cui aveva avuto due figli Francesco e Laura.  La sua presenza ha compensato la timidezza e la riservatezza del marito con una guida concreta e risoluta.

“Dopo il duetto finale di una delle tante ‘Forza del destino’ dovetti dargli una spinta per rimandarlo in palcoscenico e riscuotere la sua parte di applausi”. Luchetti si è molto esibito all’estero: Londra, Vienna, Cincinnati, Monaco di Baviera. New York.

Ali inizi degli anni Ottanta era al Covent Garden per la Bohème con Mirella Freni che si ammalò a ridosso del debutto. Il problema venne risolto proprio con Mietta Sighele che il marito mandò a chiamare dall’Italia. Nessuno la conosceva, né tanto meno si sapeva che fosse sua  moglie. Fu una sorpresa per tutti e un successo incredibile tra i   compassati spettatori inglesi.

In quell’incontro di Colle Romano gli chiesi dei suoi rapporti con Tuscania. “Amo la mia gente e i miei progenitori etruschi – mi disse - . Non dimentichiamo che furono proprio loro a proporre in Italia le prime forme di teatro. Come posso, ritorno a Tuscania per ricordare coi vecchi amici i bei tempi andati”.

Molte le curiosità. Nel 1968 accusò una seria infiammazione alla trachea che gli impedì di parlare per una quindicina di giorni. Ne venne fuori grazie all’aiuto del prof. Bellussi allora primario otorino degli Ospedali Riuniti di Roma.

Il  “coupe de foudre” con la moglie avvenne naturalmente tra le quinte del  palcoscenico. Erano alle prese con un’opera moderna in un teatro dell’ex Jugoslavia e improvvisamente si scoprirono l’uno per l’altra.

Ed eccoci alla voce. Il suo acuto non è stato mai metallico, ma piuttosto caldo, proveniente direttamente dalle corde vocali. La sua maggiore prerogativa, almeno nei primi tempi, era il graduale passaggio di tonalità, privo di stacchi bruschi e repentini.

Il suo “do sopra le righe” è stato sempre deciso e chiaro e la dizione perfetta (cosa allora rara per i cantanti lirici) che denotava padronanza di voce. Durante la sua lunga carriera non ha mai ceduto a banali trionfalismi; il suo carattere riservato lo faceva un artista sui generis per un uomo di teatro, più incline alla lealtà che al facile esibizionismo.

Merito di una radice maremmana impastata di “rusticità gentile”, come avrebbe detto Bonaventura Tecchi, e di un’innata modestia. La coppia Sighele-Luchetti si dedicò anche  a scoprire e coltivare giovani talenti per la lirica.

Dal 1994 i due artisti si sono dedicati infatti all’organizzazione del concorso lirico “Riccardo Zandonai” che si svolge tuttora ogni anno a Riva del Garda.  “Fin dalla prima edizione organizzata insieme a mio marito – ebbe a dire Mietta Sighele direttore artistico del Festival – abbiamo trasmesso molta serietà e professionalità con l’intento di aiutare i ragazzi nel mondo non facile della lirica”.

Luchetti morirà a Roma il 23 aprile 2012. Aveva 73 anni. Mietta Sighele continua a dirigere il concorso lirico “Riccardo Zandonai”.

(Alcune notizie sono tratte dal mio articolo pubblicato su “La Loggetta” nel 2011)

Vincenzo Ceniti
Console Touring Club di Viterbo  

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