Il barman Angelino Bastoni

Vincenzo Ceniti Console Touring

Subito dopo la guerra, intorno al 1945-1946, era in attività a Viterbo in corso Italia, in un locale al pianterreno di palazzo Gatti, dove oggi si trova la sede del Monte dei Paschi di Siena, il bar del comm. Carlo Minciotti (1892-1957), brillante imprenditore di origini umbre che aveva già avuto precedenti esperienze nel settore dell’accoglienza avendo condotto intorno al 1927 l’albergo Nuovo Angelo in via Orologio Vecchio.

 

Carlo Minciotti, sul retro è Rodolfo Salcini

Il nostro personaggio era calvo, basso, rotondo, con occhioni penetranti, sopracciglia folte, aspetto severo, carattere volitivo e autoritario. In questo identikit tracciato a memoria, mi aiuta anche la foto fornita da Silvio Cappelli.

Ha ricoperto vari incarichi pubblici nell’immediato dopoguerra come esponente locale della Democrazia Cristiana, tra cui la presidenza dell’Istituto Autonomo Case Popolari e quella dell’Ente Provinciale per il Turismo.

In quegli anni di impegno civile, trascorreva gran parte della settimana a Roma tra uffici e ministeri a chiedere (battendo i pugni sul tavolo come si pretendeva  allora), verificare, controllare,  nell’interesse della sua città di adozione che stava rinascendo dopo le distruzioni della guerra.

Per questi impegni politici aveva bisogno di raggiungere la capitale con rapidità. Ci pensavano i giovani autisti del garage Dobici in via dell’Orologio Vecchio cui abitualmente si rivolgeva per il noleggio dell’auto. Si alternavano alla guida i fratelli Ugo ed Eraldo Celestini, Benedetto Neri ed altri. Mi dicevano che con lui a bordo si arrivava a Roma in quaranta minuti (un record per quei tempi) dal momento che chiedeva sempre di accelerare.

Il bar Minciotti, situato accanto alla farmacia Rossi e alla pellicceria Costantini (chi non le ricorda?) e dirimpetto alla profumeria Gabolini e ai tessuti Rotelli, faceva da contraltare al più gettonato caffè Schenardi, posto quasi di fronte, da cui però si distingueva per una clientela più snob e per una cassiera frizzante e slanciata (credo si chiamasse Leda). Almeno io la ricordo così.

Mio padre mi portava al bar ogni tanto la domenica mattina. Per me era pronto un diplomatico (tipo di pastarella bagnata di alchermes); per lui l’Americano, aperitivo allora in voga a base di Campari, Cinzano rosso, soda e una scorza di limone che alla fine mangiavo io. Dopo le messe domenicali che si celebravano con ampia partecipazione di fedeli soprattutto nelle vicine chiese del Suffragio e di Sant’Ignazio, i due bar “in” della città venivano presi d’assalto per l’acquisto delle pastarelle, le migliori di Viterbo.  

La vicina piazza delle Erbe era in quegli anni il salotto di Viterbo, reso gradevole dalla presenza del coiffeur Dante Mainella - principe di pettine, forbici e  bon ton -  il cui salone si apriva davanti alla fontana dei Leoni in un vano al piano terra di palazzo Sterbini, sorto nello spazio della chiesa di Santo Stefano.

La piazza era anche un luogo di contrattazioni dove nella mattina dei giorni di festa i sensali, giacca e cravatta, facevano affari con impresari, contadini, proprietari di case e negozi per acquisti e vendite di immobili, terreni e bestiame. I ricordi sono sbiaditi ma resistono: uno si chiamava Toto ed un altro era alto, grosso e sempre sorridente. Senza contare che sulla piazza si affacciavano l’albergo-ristorante Antico Angelo e la trattoria Tre Re e che vi facevano sosta le “botticelle” e un paio di taxi al servizio di viterbesi e forestieri.

Il bar Minciotti disponeva di un lungo bancone, sistemato sulla sinistra rispetto all’ingresso, governato dal barman Angelino Bastoni che vi lavorò fin da ragazzino: abile, svelto, cortese, rispettoso. La cassa si trovava a destra presso l’ingresso, con la signorina di cui sopra. In fondo, una porta accedeva alla sala giochi con un paio di biliardi, tavoli per le carte, la dama, gli scacchi (molto di moda in quegli anni) ed altro.

 

Il pasticcere Alfonso Antoniozzi senior, nonno del nostro concittadino baritono Alfonso Antoniozzi

A seguire era attrezzato il laboratorio con un maestro pasticcere di rango, Alfonso Antoniozzi senior, nonno del nostro concittadino baritono, che preparava anche pietanze per occasionali catering.

Lo si capiva dai profumi che s’avvertivano percorrendo via della Rimessa dove si apriva l’entrata di servizio del bar e dove Antoniozzi, con la parannanza bianca, trovava appena possibile un momento di relax e il tempo magari per una sigaretta.  La sua figura l’ho davanti agli occhi. Successivamente aprirà una pasticceria tutta sua in piazza Crispi.

Il bar restò aperto per pochi anni, fino agli inizi del Cinquanta, quando Minciotti lasciò il locale al Monte dei Paschi di Siena che nel Settembre 1951 vi inaugurò la nuova sede al posto di quella ubicata al primo piano dell’albergo Antico Angelo.

I nuovi locali della banca vennero benedetti dal vescovo Adelchi Albanesi alla presenza del direttore della filiale Mario Mostardini e delle principali autorità cittadine  tra cui il presidente della Provincia Leto Morvidi e il sindaco Felice Mignone. L’inaugurazione – come si legge nel Messaggero di Viterbo del 18 settembre 1951 – ha coinciso  con la concessione di un mutuo  di 25 milioni di lire al Comune di Viterbo per la ricostruzione del teatro Unione (verrà riaperto l’anno successivo) e con l’erogazione di 100 mila lire per scopi assistenziali.

Carlo Minciotti morì nel 1957 a 65 anni.  Il Comune di Viterbo nel ricordo delle sue tante attività gli ha dedicato una via dove si trova oggi la farmacia del Pilastro.  Era sposato con Maria Municchi, una signora che ricordo per la sua eleganza, peraltro sorella dello storico orologiaio di piazza del Gesù conosciuto come il “sor Ruggero”. Non aveva figli. Uno dei fratelli, Luigi, scomparso nel 1983, è stato un discreto pittore e scultore. Suo il busto raffigurante Lorenzo da Viterbo posto su una mensola presso l’ingresso della cappella Mazzatosta nella chiesa di Santa Maria della Verità a Viterbo.