L'accesso dell'ex Ospedale Grande degli infermi

Tuscia in pillole L’OSPEDALE DELLA CULTURA A VITERBO

Vincenzo Ceniti Console Touring

La notizia del progetto “Borgo della cultura” avviato dalla Regione Lazio nel grande complesso dell’ex Ospedale di Viterbo -  che verrà ristrutturato per varie attività di accoglienza, sede dell’Archivio di Stato e della Soprintendenza, sale lettura, laboratori vari, sale teatro e riunioni, centro di restauro ed altro – mi sollecita a rispolverare vecchi appunti sullo storico nosocomio riferiti agli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso che riporto in flash. 

Lo chiamavano ”Grande” per distinguerlo fin dal Cinquecento dagli altri più piccoli sparsi nella città e dintorni. L’accesso – annunciato da odori di disinfettante con aliti di covaticcio - era controllato da custodi seduti a turno accanto alla porta-vetrina. Si entrava nei primi tempi dalle 11 alle 12 e dalle 15 alle 16.                                                                                                                                                

Tra di loro, il più burbero era Igino, grande, grosso e bonaccione. Una volta dentro si andava a destra per la Sala operatoria e la Chirurgia uomini e donne (primario Anacleto Cirenei) con corsie separate di circa cinquanta letti ciascuna.

A sinistra per Medicina uomini e donne, con altrettanti posti letto, guidata da Vittorio De Antoni, storico direttore sanitario dell’Ospedale di quegli anni. La cappella affidata a don Mario (Camilliano) affiancato poi da padre Scipione, era allestita in uno spazio sottostante  la grande scala per il piano superiore su cui troneggiava la grande tela tardo cinquecentesca raffigurante “La piscina probatica” di  Cesare Nebbia, oggi alla Fondazione Carivit. 

Suor Onorina con gli infermieri Giuseppe Achilli, Angelo Chiodo, Armando Bonucci e Passeri

Il Pronto Soccorso si trovava in uno stabile con accesso nella piazzetta antistante all’entrata dell’Ospedale. Disponeva di un’astanteria con 7-8 letti. I pazienti indirizzati ai reparti dovevano fare in barella un breve tratto a cielo aperto dal momento che non esisteva un sottopassaggio. Ma non pensiamo al Pronto Soccorso di oggi. Era diretto dallo stesso De Antoni con i medici, a seconda dei casi, di Chirurgia e Medicina e 3-4 infermieri.

Gli incidenti stradali non erano frequenti come ai nostri giorni. Non esistevano i 118 e le organizzazioni di volontariato. I pazienti bisognosi di cure urgenti nella maggior parte dei casi venivano trasportati in auto da parenti o amici. 

Accanto al Pronto Soccorso era attivo un piccolo bar affidato a Bruno Morbidelli che lo gestiva insieme alla moglie e ai figli. In seguito verrà spostato nel giardinetto con la fontana alla destra dell’ingresso centrale e condotto da  tale Santino di Vignanello.

La camera mortuaria volgeva verso il palazzo di Vico su via S. Antonio. L’organico dell’Ospedale (un totale di quasi 350 dipendenti per circa 250 letti)  era integrato da una ventina di suore dell’Ordine Minime del Sacro Cuore di Poggio a Caiano già presenti a Viterbo dal 1939. Alcune avevano l’incarico di capo sala. Una delle prime coordinatrici fu suor Onorina (milanese, severa, intransigente, umana). Tra le altre, mi vengono in mente suor Cecilia, suor Rosa, suor Francesca Romana, suor Assuntina, suor Marisa, suor Olimpia e suor Eugenia che per un periodo di tempo dirigeva la Scuola infermieri professionali allestita a San Carluccio. 

Alcune infermiere professionali con suor Marisa e suor Eugenia (a sinistra)

La cucina e i vani annessi si trovavano nel piccolo slargo che si apre all’uscita dagli attuali ascensori in salita da valle di Faul. Uno di questi ambienti era destinato a forno per il pane e dolciumi affidato a Luigi Valdannini, Agostino Malè (il fratello del campione di box Giggetto) e Aldo Borgatti.  

Presidente dell’allora Ipab (la forma giuridica dell’Ospedale prima della riforma sanitaria applicata nel 1980) era Mario Paternesi cui  sono seguiti nel tempo Rodolfo Gigli, Fidelfo Paccosi, Romolo Camilli, Santino Clementi, Silvio Melinelli, Italo Aquilani, fino a Luigi Paradiso che coordinò le operazioni per il trasferimento a Belcolle a partire dal 1991. 

Intorno al 1965 ci fu un salto di qualità grazie ad alcuni giovani medici che favorirono d’intesa con l’amministrazione la creazione di nuove discipline: Pediatria (Franco Maria Cordelli), Neurologia (Aldo Laterza), Ostetricia (Tavella e poi Rinaldo Camusi), Cardiologia (Nicola Serra), Radiologia (Luigi  Ciarpaglini il più giovane primario d’Italia), Otorinolaringoiatria (Lorenzo Marcucci), Ortopedia (Franco Masini), Oculistica (Manlio Andreocci), Laboratorio analisi (Giambattista Lo Monaco) ecc.

Il Pronto Soccorso venne affidato a Claudio Carriero (anestesista) che fu poi anche direttore sanitario come Marco Travaglini. Qualificata ed apprezzata la presenza in Chirurgia di Dante Manfredi, fratello dell’attore Nino che succedette a Cirenei  

I dipendenti disponevano di un Cral aziendale che promuoveva attività sociali e ricreative. 

I  più dotati formarono una squadra di calcio che nel 1967 fece bella figura al torneo degli Enti locali. Ne facevano parte, tra gli altri, Marcello Calevi, Sergio Andreoli (mitico difensore della Roma nell’anno dello scudetto 1941-1942), Aldo Borgatti, Luciano Zaffamenti, Giorgio Mencarelli, Mario Fabbrini, Gino Angeli, Eraldo Delle Monache. 

Una delle formazioni della quadra di calcio del Cral. Riconoscibili Sergio Andreoli, Marcello Calevi, Mario Fabbrini ed Eraldo Delle Monache