Mauro Galeotti e Ezio Cardinali, fotografo

Alla scoperta dei particolari artistici nelle nostre chiese di Viterbo in 141 foto del fotografo Ezio Cardinali, le chiese sono del Gesù, del Gonfalone, della Trinità, di san Marco e di san Sisto.
Unita è la storia della Chiesa di san Marco di Mauro Galeotti tratta dal libro L'illustrissima Città di Viterbo del 2002.

Chiesa di san Marco in Piazza Verdi

La chiesa risale almeno al 1191. E’ questo il Piano di san Marco che raggiungeva il Colle di san Francesco, posto in una delle contrade più antiche della città. 

Avanti alla chiesa scorreva, a cielo aperto, il Torrente Sonza.

Torrente Sonza o Sonsa

Era a pochi metri dalla Chiesa di san Marco, il Torrente Sonza, poi Urcionio, che è stato in seguito coperto. (Foto 19 - 21, 290, 301, 304)

Il torrente prima di entrare in città, alla ormai scomparsa Gabbia del Cricco, si chiamava Arcione, Arxonis, dal nome della Contrada d’Arcione che, ancora più a monte, prende il nome di Arcionello.

Il torrente comunque prendeva il nome a secondo del luogo dove scorreva. Infatti, all’altezza dell’attuale Piazza Verdi si chiamava fossatum Sonse; verso Via del Repuzzolo era detto fossatum Repuczali, dove il Comune nel 1932 acquisterà un’area per erigere un lavatoio; al Ponte Tremoli, oggi Piazza dei Caduti, era detto fossatum Pontis Tremoli e nella Valle di Faul fossatum Fabulis. 

I seguaci di frate Annio lo hanno chiamato Urcionio, nome giunto a noi.

Il 1° Dicembre 1198 papa Innocenzo III, al seguito di quindici cardinali, consacrò la Chiesa di san Marco, come dall’epigrafe sulla facciata a destra dell’ingresso di chi guarda, assai corrosa.

† In n(om)i(n)e D(omi)ni am(en) Ista eccl(esi)a fuit (con)sec(ra)ta sub anno D(omi)ni M / CXCVIII p(er) S(an)c(t)issimu(m) d(omi)n(u)m I(n)noce(n)tiu(m) papa(m) t(er)ti-u(m) m(en)sis [decembris] / die p(r)ima et fuer(un)t cu(m) eo XV cardinales. Ip(s)e p(a)p(a) posuit [indulgentiam] / t(ri)b(us) vicib(us) i(n) anno i(n) d(i)c(t)a ecc(lesi)a, s(c)ilicet i(n) (con)sec(ra)tio(n)e [supradicta] / i(n) festo s(an)c(t)i B(e)n(e)d(i)c(t)i abbatis et i(n) festo s(an)c(t)i Marci Ev(angeliste) [ecclesie vocabuli] / et in oc[tavo] q(uo)q(ue) die (con)tinuato i(m)mediate festivitates ipsas sequente / C. annis et totide(m) quat(ra)genis et unusquisque ca(r)dinaliu(m) unum / annu(m) et quatraginta dies d(e) volu(n)tate et ma(n)dato ip(s)ius su(m)mi / Po(n)tificis, qui sunt in su(m)ma XX anni, XX quatrageni si(n)gulis / [diebus] per octavam ipsaru(m) [festivitatum]. Hoc op(us) fac(tu)m fuit [tempore domini] […Rollandi venerabilis abbatis] Sancti Salvatoris de [Monte] / Meato [et prepositure Ser Iacobi Nicolai Musti de Viterbio].

Tradotta: Nel nome del Signore, amen. Questa chiesa fu consacrata nell’anno 1198 dal santissimo signore Innocenzo papa III, il primo giorno di Dicembre.

Officiarono con lui quindici cardinali ed il papa in persona stabilì l’indulgenza a detta chiesa per tre occasioni dell’anno, e cioè nella riferita Consacrazione, nel giorno dedicato a san Benedetto abate e nel giorno consacrato a san Marco Evangelista, titolare della chiesa, e nell’ottavo giorno immediatamente seguente le festività stesse: cento anni e ancora quaranta, e ognuno dei cardinali un anno e quaranta giorni, secondo la volontà e l’intenzione del sommo Pontefice, che formano un totale di anni venti e venti volte quaranta giorni nei singoli giorni dell’ottava delle stesse festività.

Quest’opera fu portata a compimento al tempo del venerabile padre Rollando, abate di san Salvatore del Monte Amiata, e della prepositura di ser Giacomo di Nicola Mosti di Viterbo.

Attilio Carosi, attendibile e preciso studioso locale, così riferisce nel suo libro sulle epigrafi:

«Tutti i trascrittori conosciuti [...] leggono «tempore venerabilis Angeli abbatis Monasterii de Monte Meato» [...] quando si vede ancora oggi “S. Salvatoris de [Monte] Meato” e tanto il Codex Amiatinus del Kurze [...] quanto altri documenti nell’Archivio di Stato di Siena documentano dal 1188 al 1219, ininterrottamente, un abate Rollando e non parlano mai di un Angelus. Ho quindi preferito integrare il testo con questo nome».

A sinistra dell’ingresso è l’epigrafe:

Chiesa di S. Marco ev. costruita dai / Monaci Cistercensi e consacrata dal / papa Innocenzo III insieme a 15 / cardinali il 1.12.1198.

La chiesa cistercense, è costruita in peperino ed è a pianta rettangolare, le sue dimensioni sono modeste (m. 16 x 8) perché ubicata in una contrada assai povera al tempo della sua origine, infatti era abitata, verso gli inizi del XIII secolo, da pecorai, già uniti in arte nel 1403, e bifolchi. Nonostante ciò può vantare, a differenza di tante sorelle maggiori, di essere stata consacrata per mano di un pontefice. Appartenne al Monastero di san Salvatore sul Monte Amiata, fino alla seconda metà del XVIII secolo, ossia fino a quando, nel 1782, quel monastero fu soppresso da Pietro Leopoldo, granduca di Toscana. Dopo tale data san Marco fu sotto l’amministrazione del clero viterbese.

La parrocchia di san Marco fu soppressa nel 1829 e divisa fra quelle delle Chiese di santa Maria in Poggio e di san Luca. In seguito è ritornata parrocchia. La Gazzetta di Viterbo del 29 Novembre 1873 riferisce che in sacrestia «è un gradino con bellissime figure, disgraziatamente un poco guaste».

Restaurata nel 1908 ed in tempi più recenti, presenta all’interno, ad una navata, le pareti nude prive di intonaco ed il soffitto a travature lignee con pianelle. Caratteristica è l’abside spostata a sinistra secondo il simbolismo della scuola di Cornovaglia.

Nei restauri anzi detti vennero ricostruiti gli scalini d’accesso al tempio, la balaustra in marmo ed il piancito.

Le pareti interne furono messe a nudo e in quell’occasione venne alla luce, nella parete a cornu Evangelii, parte di un affresco, con la Madonna ed il Bambino, del secolo XV, attribuibile alla scuola del Pastura, come riferisco appresso.

Francesco Pietrini scrive che sulla parete interna della chiesa, a ricordo, era dipinta l’epigrafe:

«D.O.M. / In honorem divi Marci Evangelistae / extructas / ab Innocentio papa III / XV patribus Cardinalibus adstantibus / Kal. Dec. A.D. MCXCVIII / solemni ritu consacratas / has Aedes / gradibus externis in aditum refectis / novo strato pavimento / septis marmoreis Presbiterio munito / Arae maioris facie exornata / A. M. Grasselli Ord. Fr. Min. S. Francisci Convent. Archiepiscopus Episcopus Viter-biensis / pro sua pietate et munificentia / instauravit / A.D. MCMVIII».

A destra per chi entra nella chiesa, sulla controfacciata, è una recente iscrizione che riporta quanto scritto nella lapide esterna del 1198.

Sulla parete absidale di destra, sotto al tabernacolo di pietra, posto presso l’arco del catino, è uno schizzo a carboncino di una testa femminile, protetto da un vetro, probabilmente opera di Giovan Francesco d’Avanzarano, detto il Fantastico (Viterbo 1465 c. - Montefiascone 1530 c.).

Un altro tabernacolo, di stile tardo romanico, simile al precedente, è nell’abside sulla destra. I due tabernacoli furono in uso fino alla metà del XVI secolo, quando il Concilio di Trento stabilì che l’Eucarestia fosse conservata in una edicola sopra l’altare maggiore.

Sull’altare maggiore è la tavola a tempera raffigurante la Madonna seduta in trono col Bambino benedicente, affiancata alla sua destra da san Marco e alla sua sinistra da san Bernardo abate di Chiaravalle. Quest’ultimo, fondatore dei Cistercensi, fu a Viterbo nel 1137 per dissipare una lite tra papa Innocenzo II e il duca Enrico, inviato a Viterbo dal re Lotario per rivendicazioni sulla città.

Sui pilastrini ai lati sono piccole figure raffiguranti: a sinistra i santi Pietro, Giovanni Battista, Maria Maddalena; a destra Paolo, Alberto ed Elena. Sul gradino o predella sono quattro scene della vita di san Marco, da sinistra, san Pietro approva gli scritti di san Marco - La predica di san Marco - La cattura del santo - Il suo martirio. La tavola centrale ha in testa una bella cornice modanata e decorata con eleganti girali d’acanto, putti e figure mostruose.

La tavola è opera del pittore viterbese Giovan Francesco di Pietro Paolo d’Avanzarano, detto il Fantastico, che la compì il 15 Aprile 1512, come riportato sulla pala stessa, per ordine di Marco Anselmo Folloni e Bernardino tornaro, santesi della chiesa stessa, che stilarono un contratto con il pittore il 20 Febbraio 1511. In basso alle figure è scritto: S. Marcus die XV Apl. 1512 S. Bernardus ab.

Il pittore nel 1512 trasferì la residenza a Montefiascone dove acquisì la cittadinanza, occupò il ruolo di santese della Chiesa di santa Maria delle Grazie e nel 1517 e 1522 fu uno dei priori comunali.

In quella città è un calice dorato conservato nella Cattedrale con l’iscrizione Arcimanno Battista de Viterbo me fecit, mentre in un altro a Celleno, nella Chiesa di san Donato, è inciso Archimanno S. Battista de Viterbo me fecit. Arcimanno fu orafo nel XV secolo.

Sulla volta dell’abside è un affresco, secondo Italo Faldi, dello stesso autore, ove domina la figura dell’Eterno benedicente fra i santi Pietro e Paolo, eseguito agli inizi del Cinquecento. Secondo Sivigliano Alloisi, sul volume Il Quattrocento a Viterbo, invece è da attribuire ad un seguace del Fantastico. Per Attilio Carosi il basso valore dell’affresco potrebbe derivare dal fatto che «Avendo i periti ritenuto il valore dell’opera [su tavola con la Madonna, san Marco e san Bernardo] inferiore a trenta scudi, l’Avanzarano avrà in cambio affrescato il catino di malavoglia e in fretta, usando magari anche il pennello di qualche suo scarso discepolo».

Curiosa la posizione dell’abside, unico esempio nel Viterbese, orientata ad est, che volge verso sinistra rispetto all’asse della chiesa.

Sulla parete a sinistra era, sull’altare, una tavola di non ampie dimensioni con effigiato a tempera san Marco, opera del viterbese Francesco d’Antonio detto il Balletta della seconda metà del secolo XV. Ora è conservata in canonica.

Ancora sulla stessa parete, vicino alla porta d’ingresso, sono i resti di un affresco in cornice raffigurante la Madonna assisa col Bambino benedicente ed un angelo; sono attribuiti alla scuola di Antonio del Massaro detto il Pastura (1450 c. - prima del 1516) del XVI secolo.

Volevo ricordare che verso il 1770 il parroco Giovanni Francesco Speranza, fece erigere, a sue spese, un altare a cornu Evangelii, dedicandolo all’Immacolato Cuore di Maria Vergine, che era posto di fronte a quello dedicato a sant’Alessio.

Sull’altare era una statua raffigurante la Madonna Addolorata che venne sostituita, nel 1850, con la tela, protetta da una cornice dorata con sovrastante raggiera, Maria Santissima che mostra il suo immacolato Cuore ferito da una spada, opera del pittore viterbese Domenico Costa.

L’Altare di sant’Alessio, a cornu Epistolae, fu eretto a spese del parroco don Mattia Germani, il quale con testamento del 6 Marzo 1727, vi istituì la cappellania. Sopra l’altare era una tela, di autore ignoto, che raffigurava la Morte di sant’Alessio.

Le predette tele di Maria Santissima e di sant’Alessio, erano in loco ancora nel 1915, secondo quanto riportato nella Visita del vescovo Emidio Trenta, e nel 1912 furono appesi alle pareti due quadri con raffigurati, nel primo il Salvatore e nell’altro sant’Omobono, protettore dei sarti. Erano stati trasferiti dall’Oratorio di quell’Arte, chiuso in quell’anno, ubicato nella vicina Piazza dell’Oca. Questi dipinti deteriorati dal tempo sono andati perduti.

La chiesa aveva un chiostro nominato nel 1243, oggi credo sostituito da un insignificante cortile. Sulla parete di sinistra presso l’ingresso è la pila in peperino per il battesimo, sostenuta da un’esile colonnina che poggia su una base a pianta triangolare con sul fronte uno stemma raffigurante tre monti sovrastati da un giglio, affiancato dalle lettere P a sinistra e B a destra.

E’ curiosa, come ho scritto già, la posizione del campanile a vela a tre celle, che sostiene due campane. Fu ricostruito nel 1773 chiudendo «la loggia sottostante», e la particolarità sta nel fatto che, come l’abside, piega verso sinistra rispetto all’asse della chiesa, a voler ricordare la posizione del Cristo sulla croce, quando appena morto chinò la testa sul lato sinistro del suo corpo.

Attilio Carosi riferisce la scritta riportata sulla campana maggiore opera di Francesco Belli:

(1) «Sancte Marce ora pro nobis. Opus Francisci Belli Viterbiensis»;

(2) «Joanne Francisco Speranza parrocho, Anno Domini MDCCLXXIII».

In merito continua Carosi, sul libro dedicato alle chiese viterbesi appartenute al Monastero di san Salvatore sul Monte Amiata:

«Sotto è incisa l’immagine della Madonna della Concezione col Bambino in braccio e la mezzaluna sotto i piedi. Vi sono anche due piccoli stemmi. Nella seconda [campana] è scritto: (1) Sancte Marce ora pro nobis. (2) Anno Domini MDLXXXV».

Nel 1644 erano sul campanile due campane e nel 1764 si trova una terza campana, «nel 1827», continua Carosi:

«(Visita Pianetti) la feritoia è vuota, la campana ritorna nella visita Bedini del 1861 con la leggenda “Maria Aloysia” […].

Nelle memorie […] di don Giovan Francesco Speranza si ricorda che nel 1773, il 21 aprile, fu “spezzata la campana per suonarla a martello” per annunciare la prossima festività di S. Marco. 

Pesava 148 libbre (circa 50 chili) e vi era scritto: (1) Sancte Marce ora pro nobis, (2) Me fecit Angelus Allegrius, Anno Domini MDIIIIC (1596)».

Autore fu quindi Angelo Allegri.

Sul pavimento erano due pietre tombali che chiudevano altrettanti pozzi, uno riservato agli uomini ed uno alle donne. Inoltre vi erano i sepolcri, con relative epigrafi, dei sacerdoti Vincenzo Petruccini († 1664) e Giovanni Bandini.

Nel 1960 è stato rifatto il tetto, sono state chiuse due grandi finestre a mezzaluna e riaperte due monofore dell’originale costruzione. La direzione dei lavori fu affidata all’architetto Girolamo Cerasa.

Sul retro della chiesa è una nicchia con affrescata una gradevole immagine della Madonna col Bambino in braccio.

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