Roma STORIA
Micaela Merlino

 

Nel 2019 si commemora sia il cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci, sia il cinquantenario dell’impresa della navicella Apollo 11 che per la prima volta ha portato degli esseri umani sulla luna.

Un binomio Leonardo-Luna molto singolare. Ma il grande scienziato studiò il satellite terrestre? 

Leonardo da Vinci (1452-1519) studiò il mondo naturale indagando le sue leggi che gli apparivano eterne e immutabili, osservando, sperimentando e verificando con un’acuto spirito di osservazione, e una pazienza esemplare.

Considerava la Natura un grandioso e potente corpo animato da un ritmo di trasformazione incessante, eppure fondamentalmente sempre uguale a sé stesso, una “machina” perfetta nella quale riconobbe l’azione di una intelligenza superiore, anche se la sua visione della realtà era panteista, piuttosto che orientata verso l’idea di un Dio creatore. Leonardo era un innovatore non solo riguardo ai contenuti dei suoi studi, ma soprattutto nei confronti del metodo da lui usato.

Infatti pur non negando a priori l’importanza delle idee formulate dagli autori antichi sulla natura del cosmo, era convinto che “molto son più antiche le cose che le lettere”, perciò la Natura poteva essere compresa solo con indagini autoptiche e con gli esperimenti. Tuttavia la sua grandezza fu pure nell’abilità con la quale armonizzava la logica rigorosa di cui era provvisto, con la capacità di meravigliarsi, di provare emozioni e sentimenti di fronte agli spettacoli naturali che osservava.

Per questo motivo non è errato affermare che a tratti il suo guardare sconfinava nella contemplazione vera e propria, e che tutto il suo essere testa, cuore, sensi, fosse coinvolto nell’atto del conoscere. Dopo aver guardato rifletteva ed annotava i suoi pensieri e i suoi ragionamenti.

Tra le preziose carte che ci sono giunte di Leonardo è compreso anche il Codice Leicester, che ha preso il nome di uno dei suoi proprietari, l’inglese Thomas Coke poi Duca di Leicester. Costui lo acquistò nel 1717 dallo scultore Giuseppe Ghezzi, il quale ne era entrato in possesso nel 1690.

Uno dei fogli del Codice Leicester con annotazioni sulla Luna

Dopo altri passaggi di mano, nel 1994 fu comprato a New York da Bill Gates, che lo portò a Seattle. Il Codice è composto da 18 grandi carte sciolte, piegate a metà per formare altrettanti quaderni di 4 facciate ciascuno. Non è un trattato organico e sistematico ma un insieme di appunti, osservazioni, riflessioni corredati di disegni fatti da Leonardo ad uso personale.

Il testo è in volgare fiorentino e tracciato nella sua tipica scrittura ad andamento contrario, cioè da destra a sinistra, perché Leonardo era mancino e trovava più facile scrivere in questo modo. I fogli che formano il Codice probabilmente furono scritti tra il 1506 quando Leonardo si trovava a Firenze, e il 1510 quando era a Milano. Il titolo del Codice è rimasto quello che gli diede Giuseppe Ghezzi, “Della natura, peso e moto delle acque”, poiché il manoscritto contiene sopratutto osservazioni ed esperimenti fatti da Leonardo nel campo dell’idraulica e della fluidodinamica.

Ma poiché egli era uno studioso “a tutto campo”, il Codice contiene anche divagazioni su molti altri argomenti, ad esempio indagini sui fiumi e sui venti. In questi appunti usò spesso il metodo del dialogo immaginario tra lui stesso ed un altro interlocutore, chiamato “aversario” poiché le sue dimostrazioni sono fatte per contraddittorio. Da una parte lo scienziato Leonardo che basa le sue considerazioni sull’osservazione diretta della Natura, dall’altra parte, invece, lo scienziato “da tavolino” che basa le sue certezze sull’ autorità degli autori antichi e delle loro opere, considerati indiscutibili.

Nel Codice Leicester Leonardo fece anche interessanti osservazioni ed espresse alcune sue teorie sulla luna, il satellite della terra. Nelle prime due carte del Codice appuntò osservazioni sui fenomeni celesti, tra cui le dimensioni del sole, della luna e della terra. Inoltre studiò con attenzione il riflesso della luce dei corpi celesti. Era convinto che la luna non emanasse luce propria, ma che riflettesse quella del sole, e che sulla luna ci fosse “corpo liquido”, cioè distese di acqua.

Carta 2A del Codice Leicester 

Nella carta 1A tracciò due disegni nella parte bassa e ribadì la sua credenza nel fatto che la luna fosse coperta d’acqua: “Qui si dimostra come, non avendo la luna alcun lume da sé che il lume ch’ella piglia da sole, non lo potrebbe refrettere a noi s’ella non fusse di superfitie densa e lustra, come son le superfitie delli specchi e delli liquidi”.

Al centro della carta 1B fece un disegno nel quale si vedono i raggi del sole che colpiscono la luna, e vengono visti riflessi nell’occhio umano, e corredò questo disegno con una lunga didascalia. La carta 2A è intitolata “Della luna-Nessun denso è più lieve che l’aria”, e qui lo scienziato anticipò una teoria che fu poi sviluppata da Galileo Galilei nel “Sidereus Nuncius” del 1610, detta del lumen cinereum. Si tratta del fenomeno dell’alone luminoso che si vede intorno al bordo della luna quando è nuova, e che Leonardo per primo dimostrò essere prodotto dal riflesso dei mari terrestri, non emanazione autonoma di luce lunare.

Egli riteneva, anche, che la luna avesse un’atmosfera e una natura simili a quelle della terra poiché vi agivano le stesse leggi fisiche: “Egli è manifesto segno che tal luna è vestita de’ suoi elementi, cioè acqua, aria e foco, così in sé per sé si sostenga in quello spatio come fa la nostra terra con sua elementi in quest’altro spatio, e che tal ofitio faccino le cose gravi ne’ su elementi qual fanno l’altre cose gravi nelli elementi nostri”.

Nella pagina è presente anche il disegno della luna oscurata, e accanto ad esso una nota nella quale scrisse quanto lui credeva a proposito della sua luminosità: “Alcuni han creduto che la luna abbia alquanto lume da sé, la quale opinione è falsa, poiché l’hanno fondato sopra quel chiarore che si vede in mezzo alli corni quando la luna è nuova […], la qual luminosità in tal tempo nasce dal nostro oceano colli altri mediterranei che in quel tempo è alluminato dal sole che già è tramontato”.

Spesso sentì il bisogno di ribadire concetti già espressi altrove, così per esempio nella carta 5A scrisse a proposito della sfericità della luna che orienta il riflesso dei raggi solari, e la varietà delle macchie solari che, secondo lui, era causata dal movimento delle acque lunari. Era anche convinto che, di necessità, la superficie acquea della luna fosse mossa da onde.

Riguardo alla superficie lunare, nella carta 7 B scrisse che “è rugosa, la qual rugosità non può accadere se non ne’ corpi liquidi mossi dal vento […] onde si conclude che la parte luminosa della luna è acqua […] pel moto d’essa acqua concitata dalli venti essa s’empie di onde, e ogni onda piglia il lume del sole”. Ovviamente non tutte le ipotesi fatte da Leonardo a proposito della natura della luna, hanno trovato conferma da parte della scienza contemporanea.

Quest’ultima, infatti, progredendo a ritmi impressionanti sopratutto negli ultimi due secoli, si è potuta avvalere di strumenti tecnici sempre più sofisticati, e nell’ultimo sessantennio soprattutto dei viaggi verso la luna di sonde e astronavi, che hanno permesso di studiarla e di conoscerla da vicino. Sorprende, però, che a proposito della presenza dell’acqua sulla luna Leonardo non si sbagliò, anche se certamente non ci sono distese di oceani come egli ipotizzava.

Infatti già prima dell’impresa della navicella spaziale Apollo 11 sulla luna, e poi per un lungo periodo dopo tale missione, gli scienziati sostennero che la luna era priva di acqua allo stato liquido, ma con la riserva che essa potesse esistere “come componente chimico delle rocce”. Nel novembre 2009 la NASA annunciò che i dati raccolti sulla luna dalla sonda spaziale LCROSS permettevano di affermare, senza più alcun dubbio, che sulla luna c’è l’acqua.

Leonardo è stato un genio per la grande versatilità della sua mente in ogni tipo di scienza, per la vastità dei suoi studi, per il rigoroso metodo di indagine della Natura, per le sue intuizioni, per la sua esemplare razionalità che però non spegneva la sua creatività artistica e la sua sensibilità, ma anzi le arricchiva. Egli incarnò l’uomo di genio che è divenuto esemplare, animato da una insaziabile sete di sapere, mosso da una sconfinata curiosità, che si pone continuamente domande alle quali cerca risposte attraverso l’osservazione dei dati reali e il ragionamento. In lui ci fu quella stessa sete di sapere, che secoli più tardi ha spinto altri uomini a tentare le imprese del cielo. Un percorso di conoscenza che è stato irto di difficoltà, di sfide da vincere, di successi ma anche di fallimenti.

Un progredire, comunque, costante che ha nell’immagine dell’astronauta Neil Adlen Armstrong che il 21 luglio 1969 alle ore 2.56 scese dalla navicella Apollo 11 e poggiò per primo il piede sulla superficie lunare, la sua più potente immagine simbolica ancora a distanza di cinquant’anni.

Con un entusiasmo un po’ esagerato e con una fiducia illimitata nella scienza, dopo l’impresa spaziale del 1969 Thomas Paine, amministratore della NASA, dichiarò che un quarto di secolo dopo, nel 1995, si sarebbe andati sulla luna in razzo in classe turistica. La “profezia” ancora non si è avverata, attualmente non ci sono viaggi turistici con destinazione luna. Nè pare che, in questi cinquant’anni, l’umanità abbia seguito il consiglio del più prudente Bertrand Russel il quale in quello stesso periodo disse: “La luna non ci insegna la saggezza. In tutta la storia del pianeta i conquistatori sono sempre stati spietati. Correggiamoci prima di andare a seminare la follia su Marte e su Venere”.