Viterbo STORIA

Da sinistra in alto: Gustavo Morelli, Luigi Nicolai, Carlo Savini, Cesare Garinei, Luigi Tondi col n° 5
Da sinistra in basso: Giuseppe Bazzichelli, Placido Neri, Evaristo Casanova, Oreste Vanni, Giovacchino Battigalli col n° 10

Anche se può stupire, la Viterbo dell'800 è stata una città "rivoluzionaria per eccellenza": prima della definitiva annessione al Regno d'Italia la città si affrancò dal governo pontificio per ben tre volte nel '49, nel '60 e nel '67.

Centinaia di viterbesi combatterono nelle guerre di indipendenza o furono costretti all'esilio ad Orvieto, Perugia, Siena, Firenze, Bologna ogni volta che, svanite le speranze di libertà, veniva restaurato il governo pontificio.

Anche tra gli esuli viterbesi si erano delineate due diverse tendenze: quella sabauda a favore di una via diplomatica all'unità d'Italia e quella democratica che auspicava l'azione dei volontari. Una delegazione di viterbesi si recò fino a Parigi per sostenere l'ammissione della città all'Italia e un plebiscito per l'unificazione fu tenuto clandestinamente durante l'occupazione dei francesi e dei pontefici. Si possono citare nomi di famiglie patriottiche come Mangani, Bazzichelli, Vanni, Papini, Carnevalini, Battaglia e Polidori.

Ed è testimonianza di questo fermento, forse poco spettacolare ma che serpeggiava nella città, la persecuzione che finiti i brevi periodi di libertà, colpiva parenti e amici dei patrioti esuli. Lo stesso vescovo Cardinal Pianelli, dopo i fatti del '60, fu richiamato a Roma ed assegnato ad altro incarico "a causa della eccessiva remissività nei riguardi dei rivoltosi". Il 1848 è l'anno delle Rivoluzioni in Europa e in Italia, dove il fallimento della guerra federalista prima, e di quella sabauda di Carlo Alberto poi, favoriranno la ripresa del partito democratico in Sicilia, in Toscana, a Brescia e a Roma.

Qui il triunvirato Mazzini, Armellieri, Saffi proclama il 9 febbraio la Repubblica Romana. Contro la repubblica convergono subito tutte le potenze cattoliche cui Pio IX ha fatto appello. Dopo una disperata resistenza la repubblica cade il 4 luglio '49. Viterbo è coinvolta solo marginalmente nell'avvenimento, ma alla difesa di Roma partecipa un pugno di viterbesi fra cui Prospero Selli, Giustino Giustini, Evaristo Casanova. Muore a 26 anni Francesco Caprini, mentre "fu caldo repubblicano", pur senza compromettersi con una attiva partecipazione, anche Angelo Mangani. A ricordare gli eventi del '49 ci sono documenti molto interessati. Nel giugno il geometra Arciari chiede aiuti per la battaglia di Roma "agli abitanti delle Provincie della Repubblica Romana".

Ancora in giugno Ricci nominato Preside della Provincia di Viterbo trascrive la lettera che Prospero Selli invia al padre " i cannonieri viterbesi con altri hanno loro (i francesi al servizio del Papa) smontato quattro pezzi di artiglieria". Ma già il 10 luglio '49 un proclama del generale francese Moreis annuncia la sua venuta a Viterbo per ordine del generale Oudinot ed è del 20 luglio l'ordine bilingue del generale Moreis "Il governo del Sovrano Pontefice è ristabilito, tutte le insegne della Repubblica daranno immediatamente luogo a quelle di papa Pio IX".

Il 10 agosto una commissione è incaricata di "provvedere al disarmo dei viterbesi". Il 30 agosto la Compagnia dei Carabinieri Pontifici segnala che in Viterbo nel "caffè al Corso n. 101" e in case private si leggono giornali "incendiari" quali l'Opinione di Torino e l'Avvenire Toscano. Il 7 settembre "Si proibisce al Teatro Genio la continuazione dell'opera lirica La Vestale, perché le allusioni all'antica Repubblica Romana avevano dato (il 6 settembre) eccitamento a qualche disordine dal lato di alcuni individui di ancora troppo calda reminiscenza della estinta ultima repubblica". Al ritorno del governo Pontificio cominciarono le persecuzioni dei sospetti. Vengono rimossi i funzionari compromessi, perseguiti gli esuli e le loro famiglie.

L'Amministrazione Comunale comprenderà due deputati ecclesiastici e quattro canonici. Graverà sui cittadini una sovrimposta di 7000 scudi. A quel tempo la provincia contava circa 128.000 abitanti ed il suo ordinamento, tranne le brevi parentesi del 60 e 67, rimarrà invariato fino all'unificazione al Regno d'Italia. Vanno anche ricordati alcuni nomi del centinaio di viterbesi che già nel '48 erano accorsi ad aiutare le popolazioni insorte del Nord fra i quali: Cesare Bertarelli, Francesco Canevari, Giovanni Pagliacci, Luigi Savini.

La politica di Cavour mirante ad indurre gli Italiani a riunirsi, attraverso un'azione diplomatica, intorno ad un programma di monarchia costituzionale, è interrotta nel 1959 dalla II guerra di indipendenza che vede il Piemonte alleato alla Francia. Il conflitto quando ormai le operazioni militari avevano assunto un andamento favorevole è improvvisamente interrotto all'Armistizio di Villafranca offerto da Napoleone all'Austria. Seguirono le annessioni per plebiscito della Toscana e dell'Emilia mentre il Piemonte cedeva in compenso a Napoleone Nizza e la Savoia. Il Papa lanciava la scomunica contro chi aveva occupato i suoi territori e preparava un esercito di mercenari stranieri, comandato dal generale francese Ramosiciere, per difendere il potere temporale.

Il 1860 sarà l'anno dell'impresa dei Mille che porterà all'unificazione del Regno d'Italia, proclamata il 17 marzo '61. Dieci giorni dopo un dibattito parlamentare voluto da Cavour porta all'acclamazione di Roma capitale. E' qui il caso di fare la cronistoria di un anno particolarmente tormentato per la Città. Il 17 settembre '60 il comandante militare pontificio proclama lo stato di assedio nella provincia di Viterbo.

Il 21 settembre il colonnello Masì comandante di una colonna di volontari detti Cacciatori del Tevere, avendo già occupato Orvieto, entra in Viterbo e annuncia la costituzione di una Commissione Municipale Provvisoria per il Governo della Provincia formata da Emanuele Martucci, Filippo Salvatori, Flaviano Polidori, Carlo Savini, Palemone Giannini, Angelo Mangani, Angelo Viviani. Il 22 settembre il Comitato segreto di insurrezione della Città e Provincia di Viterbo dichiara decaduto lo Stato Pontificio.

Il 9 ottobre la Commissione Municipale di Viterbo protesta contro l'intervento delle truppe francesi. L'11 ottobre i soldati francesi rientrano in Viterbo. Seguirà una spietata repressione contro i patrioti, mentre vengono redatte liste di persone sospette di essere "caldi fautori del partito rivoluzionario". Molti prendono la via dell'esilio, passando il Tevere e rifugiandosi nell'Umbria ormai libera. Anche il tentativo di Garibaldi di marciare su Roma nel novembre del 1867, finito con l'infausto episodio di Mentana, ebbe ripercussioni su Viterbo.

Dopo la terza guerra di indipendenza, conclusa con l'umiliante pace di Vienna il 3 ottobre '66, i Democratici e il Partito d'Azione ripresero ad agitarsi violentemente per la soluzione della questione romana. Rattazzi, primo ministro del Regno d'Italia, pensò di risolvere la questione dando mano libera a Garibaldi. Intanto a Roma era stato predisposto un moto insurrezionale al comando di Enrico e Giovanni Cairoli, facilmente sopraffatti a Villa Glori, malgrado l'eroica resistenza, dal preponderante numero dei militari pontifici.

Garibaldi il 24-26 ottobre si impadroniva di Monterotondo, ma i francesi sbarcati a Civitavecchia e armati di Chassepots, i nuovi fucili a retrocarica, lo sconfiggevano a Mentana il 3 novembre. Proprio nel corso di queste vicende Viterbo, per il breve periodo che va dal 28 ottobre al 7 novembre fu libera per la terza volta. Venne costituita una Giunta Comunale composta dal Conte Francescano Gentili, da Francesco Carnevalini, Ermenegildo Tondi, C. Vitarelli, F. Papini, Alessandro Pollidori, Pietro De Rossi e Giustino Giustini. I fatti di questi brevi ma febbrili giorni meritano un più ampio spazio.

Il tentativo di Garibaldi venne infatti sostenuto da un contingente di volontari comandati dal generale Acerbi le cui avanguardie nella notte tra il 28 e il 29 settembre raggiunsero Soriano, Bomarzo, Grotte S. Stefano, mentre altri nuclei, occupate Ischia di Castro e Farnese, puntavano su Canino e Valentano. L'unico fatto d'armi di una certa importanza fu quello che tenne impegnati per tre giorni i soldati pontifici a fronteggiare i garibaldini asserragliati in Bagnoregio. La colonna Acerbi tentò di occupare Viterbo il 26 ottobre.

Ed è questo un episodio interessante anche perché la cronaca dei fatti è diversa asseconda che si senta la parte garibaldina o pontificia. La rivista Civiltà Cattolica sostiene che i soldati pontifici "se non avessero avuto a fronte le truppe irregolari di Vittorio Emanuele II, fino allora da essi combattute e respinte, non avrebbero certamente abbandonato un palmo di territorio" ed aggiunge a giustificare l'abbandono temporaneo di Viterbo che oltre al progressivo accrescersi dei garibaldini "scorgevasi imminente il passaggio delle truppe regolari per compiere l'invasione cominciata dalle irregolari in nome di quel Re".

Una testimonianza di opposta tendenza che ha l'immediatezza della cronaca è quella della Gazzetta di Viterbo del 3 novembre '67 probabilmente redatta da un protagonista dell'attacco dei garibaldini. "Dopo una lunga e faticosa marcia giungemmo a Viterbo a un'ora dopo di notte. Dovevamo girare intorno alle mura ed entrare da un luogo non guardato e indifeso.

Questa operazione però venne impedita da una pattuglia di dragoni pontifici usciti da Porta Fiorentina. La pattuglia fu arrestata, e dopo una scarica dei nostri, volse in fuga verso la città, ma i nostri incalzarono il nemico fino alle porte e avrebbero certamente penetrato nella città, se la pattuglia non fosse stato a cavallo. Tosto si chiusero le porte. Non valsero gli sforzi dell'egregio capitano signor Barbieri allora sopraggiunto, per mettere fuoco a Porta Fiorentina imperciocchè, dal di sopra, venivano gli zuavi a spegnerlo con acqua e gittavano sassate sui nostri che lavoravano di sotto.

Convenne rivolgersi a Porta Verità e questa fu presto accesa ed arsa, e il signor maggiore De Franchis tentando entrare in città e un frate della Quercia che era sua guida, fu colpito da cinque palle a un tempo. Il generale veduto essersi resa impossibile l'entrata per non poter conoscere le forze del nemico che manteneva un fuoco continuato da tutte le parti , stimò opportuno ritirarsi alquanto per riordinare i suoi e attendere l'alba del 25; ma saputo di poi che sarebbero giunti i presidi pontifici di Montefiascone e di Bagnorea per rinforzare il nemico, onde non compromettere l'intera colonna, stanco per la lunga marcia di tre giorni e i disagi patiti nel cammino, si ritirò".

Mentre quindi da parte democratica lo scontro del 24 ottobre viene considerato determinante per gli ulteriori sviluppi, da parte papalina si sostiene la decisione di non abbandonare il territorio se ci fossero state in aiuto le truppe regolari di Vittorio Emanuele II. E ancora una testimonianza viene dal Sommario di Angelo Signorelli la cui edizione fu curata con grande attenzione dal prof. Bruno Barbini nel 1978. Il Signorelli al contrario di quanto aveva fatto nel '60 e di quanto farà nel '70 in questa circostanza non si impegna in prima persona ma lascia un ampio racconto dei fatti.

"Il 23 ottobre il generale Acerbi si incontra a Celleno con una deputazione di progressisti viterbesi che si dichiarano pronti ad insorgere nel Piano di Faul in appoggio al contemporaneo attacco notturno dei Garibaldini. Ma ben pochi cittadini furono presenti al convegno, ne la campana del Comune fece udire, in segno di rivolta, i suoi rintocchi a storno. Scontratisi i dragoni pontifici con i garibaldini sulla via Teverina, quelli ebbero un morto e due feriti: il disordinato attacco ad alcuni punti della città fu respinto a colpi di fucile, dal lancio di pietre e dal getto di secchi di acqua bollente.

Allora i Garibaldini incendiarono i battenti di porta della Verità, aprendo una breccia nella sommaria difesa: il maggiore Luigi De Franchis, comandante degli assalitori, inviò i Priori del Convento Minorita del Paradiso e quello Servita della Verità a trattare la resa presso il Cardinale Gonnella. Dichiarata questi la sua incompetenza in merito e rifiutatosi fermamente il comandante della guarnigione pontificia di parlamentare, il De Franchi avanzò tra le rovine dell'incendio preceduto dal trombettiere Gioacchino Illuminati, agitando con la mano sinistra un fazzoletto bianco e stringendo a se con la destra un frate Servita, per dimostrare la sua pacifica intenzione. Fattisi avanti di alcuni passi, il maggiore e il trombettiere venivano uccisi da una raffica di moschetto, il frate ferito moriva dopo 3 mesi all'ospedale mentre alcuni altri garibaldini erano fatti prigionieri.

Sembra che il generale Acerbi, rimasto anch'egli ferito, dopo aver constatato l'assenteismo completo dei viterbesi con dolore rinunciasse, sul momento, a proseguire l'azione. Ma, grazie all'improvviso richiamo a Roma della guarnigione pontificia della Piazza, la sera del 28 ottobre, preceduti dalla banda cittadina, i Garibaldini facevano gioioso ingresso a Viterbo. Il generale Acerbi prendeva residenza nel Palazzo di Governo, confermandosi "prodittatore di Garibaldi" con l'invito ai cittadini di pronunciare i loro desideri attraverso un libero voto. Un resoconto anonimo sul plebiscito del 4 novembre attesta che i voti favorevoli all'insurrezione furono 4.697. La questione romana trovò la soluzione dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan.

Non sentendosi più vincolato dalla Convenzione di settembre Vittorio Emanuele II scrisse al Papa una lettera invitandolo a rinunciare spontaneamente al potere temporale. Di fronte al diniego del Pontefice il governo italiano inviò a Roma le sue truppe al comando del generale Raffaele Cadorna. Il 12 settembre 1870 le divisioni italiane entrarono nel viterbese . Il corpo comandato dal generale Cadorna entrò da Borghetto, mentre Nino Bixio penetrava da Orvieto e il generale Ferrero da Orte.

Dopo pochi colpi di cannone capitolò anche il forte San Gallo di Civitavecchia. Otto giorni dopo il corpo di spedizione sarebbe entrato a Roma da Porta Pia. Il 2 ottobre furono fatte le votazioni per l'ammissione il cui esito fu comunicato al popolo il 3 ottobre dalla loggia del Palazzo del Comune tra suono di campane, sventolare di bandiere e luminarie.

Il Plebiscito diede per il capoluogo i risultati seguenti: iscritti a votare 4.541; votanti 4.284; favorevoli 4.251; contrari 32; voti nulli 1. Il 24 dicembre fu eletto primo sindaco di Viterbo Italiano, Angelo Mangani. Il 15 ottobre successivo, con l'aggregazione di quasi tutto il Lazio alla provincia di Roma, Viterbo perdette la qualifica di capoluogo per la seconda volta dopo l'età napoleonica.

La riavrà soltanto nel 1927 con la costituzione in provincia.

da:http://www.isa.it/tuscia/storia/oggi2.htm sito chiuso

 

 

 

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