Viterbo STORIA
Vincenzo Ceniti 
Console Touring di Viterbo

 

                           Fulvio Lucaccioni alle prime armi in un Salone del 1955

Era la parola d’ordine dei Saloni di barba e capelli. A Viterbo negli anni andati se ne contavano a decine. Luoghi di incontri e discussioni, ma anche di commercio e pettegolezzi. Pasqualino fa la barba all’ex sindaco Leonardo Michelini. A Natale il porno-calendarietto.

Negli anni Cinquanta-Sessanta Viterbo contava una sessantina di Saloni da barbiere rigorosamente per uomini, ubicati soprattutto al centro. Tra piazza del Plebiscito e piazza Verdi - attraverso via Roma, piazza delle Erbe e il Corso Italia - ce n’erano addirittura nove: Cannaò, Gabolini, Mainella, Ruggiero, Piacentini, Pugliesi, Rompietti (Scarciofoletto), Falcioni e Costantini. Tra piazza San Faustino e piazza della Rocca se ne contavano una decina.

A mia memoria, il barbiere più storico era don Ciccillo, alias Francesco Ruggiero, il cui volto sorridente formato porcellana riscalda la lapide di famiglia al cimitero di San Lazzaro, appena oltrepassato il cancello centrale, sulla sinistra. E’ morto ultra ottantenne nel 1953. Il suo Salone si apriva accanto al bar Minciotti che, a sua volta, occupava i locali del Monte dei Paschi. Si andava da lui non solo per “barba e capelli”, ma anche per conversare, informarsi, spettegolare e passare il pomeriggio.

Dunque un vero e proprio salotto, come del resto lo erano gli altri Saloni di Viterbo a partire da quello mitico di Dante Mainella, in piazza delle Erbe. Riceveva di regola su appuntamento e un taglio di capelli lo impegnava per oltre un’ora in un lavoro meticoloso a punta di forbice. Una rara foto (fornitaci da Silvio Cappelli) mostra una locandina pubblicitaria con l’ingresso della sua barberia. In mostra anche una scritta che indicava gli accrediti presso personaggi di rango: podestà, prefetti, possidenti.

Mainella ha condotto personalmente il Salone fino ai primi anni Sessanta per poi cederlo a due dei suoi dipendenti. Il ragazzo di bottega di allora Mario Del Pinco (vi entrò giovanissimo ad otto anni)  mi dice che Dante aveva compilato la bozza di un manuale sull’arte del taglio dei capelli, corredato di disegni originali, che però non ebbe mai modo di pubblicare.

Locandina pubblicitaria del Salone Mainella in piazza delle Erbe a Viterbo

Ricordo che il fratello Duilio Mainella, repubblicano di ferro, riconoscibile per la sua pennazza bianca, era dotato di una prorompente verbosità intrisa di bonaria saggezza. Era un uomo pubblico e si divideva tra lo scranno di palazzo dei Priori, dove è stato anche assessore, e il suo lavoro di marmista. Dal coiffeur Dante Mainella si recavano gli uomini della Viterbo bene che frequentavano il Salone specialmente il sabato mattina.

La domenica era invece appannaggio dei contadini che scendevano in città giacca e cravatta per la settimanale rasatura. Facevano prima quattro chiacchiere a piazza delle Erbe con i sensali per vendere o acquistare una vacca, un casale o una partita di fieno. Poi affrontavano il rito del “barba e capelli” che li rimetteva a nuovo. Barberia “in” era anche quella di via Matteotti dal nome altisonante “Salone azzurro” di Peppe Buratti.

Vi ha lavorato una schiera di giovani, tra cui Pasqualino, oggi in proprio a via San Luca. Tra i suoi clienti più fedeli si fa notare l’ex sindaco di Viterbo Leonardo Michelini. Lavorante di Buratti anche lo stesso Del Pinco prima di aprire il suo Salone a via Vicenza.

Dal barbiere non si faceva solo salotto. Si approfittava per le esigenze più disparate. Presso la barberia “Braconcini & Marrazza” (tuttora in attività con Gianluca Braconcini) in via dei Magliatori si potevano acquistare, cacio, olio, vino e uova che i contadini lasciavano in deposito il sabato. Tra i clienti, il leggendario Schiggino (pagava spesso i servizi con un disegno naif, come faceva Renoir con i quadri a Montmartre per un fiasco di vino), Alfio spesso insieme alla madre “Catterina” e Zicchineno (sassofonista e fisarmonicista, ma non solo).

Il frontespizio di un calendarietto “peccaminoso” fornitoci da Luca Braconcini dei barbieri Marrazza & Braconcini con attività a Viterbo in Via Magliatori, 3 "Il personale augura buone feste ai sigg. clienti"

Al barbiere Nicola a San Faustino, esperto di meccanica ed elettricità, si ricorreva anche per accomodare una radio, un motorino o una bicicletta. A San Faustino operava anche dal 1959 Fulvio Lucaccioni (vedi foto fornita dal figlio Alfredo oggi attivo in via Igino Garbini). Da Fulvio si parlava solo della Roma, dal figlio si parla oggi solo della Viterbese.

Un’altra barberia storica si trovava in via del Pavone gestita fin dagli anni Trenta da un altro Braconcini, Osvaldo, che ha fatto scuola a molti giovani. Fulvio al Pilastro, detto il “gojo”, aveva formato presso il suo Salone un club di amici cui rilasciava una tessera speciale.

Per la sua attitudine allo sport (una cinquantina di incontri di box spesso persi per ko) e la buona conoscenza del corpo umano, alternava a “barba e capelli” massaggi, aggiustamenti di ginocchi e clavicole, stiramenti di muscoli, terapie per tendiniti e cervicali, e così via.

Un Salone all’insegna dello sport era quello di Edilio Mecarini, storico presidente del “Pianoscarano Calcio” e affermato poeta dialettale. La sua barberia, dentro Porta del Carmine (trasferita poi in via Garibaldi), era il ritrovo di giovani calciatori per un ingaggio o un consiglio. Un giorno ci capitai anch’io per trovare un posto nella squadra.

Dallo sgabuzzino, adiacente alla bottega, prese un paio di scarpe coi tacchetti di quarta mano per darmele in affidamento. Quando le portai a casa i miei genitori, per paura che mi attaccassero qualche malattia, mi costrinsero a restituirle e così finì tutto.

I clienti della barberia di Cardinali il “tenore”, in via Monte Asolone, erano in buona parte melomani. Durante il “taglio” o la rasatura ascoltavano la sua voce in romanze d’opera e canzoni. Ma si cantava anche in altri Saloni, magari stornelli accompagnati dalla chitarra.

Mecuccio a piazza della Rocca aggiungeva alla “barba e capelli” il servizio di doccia. Il suo Salone era frequentato dai paracadutisti, dai militari della Vam e negli anni della guerra dagli ufficiali tedeschi di stanza nella caserma adiacente alla Rocca Albornoz. E’ da loro che aveva   imparato il “taglio a pelle”, detto alla tedesca. Da parte sua Baleani, in via dei Mille, abbinava ai tradizionali servizi di “barba e capelli” quelli di podologo per pedicure e manicure.

Mentre Saverio (detto il Calabrese) in via Bruno Buozzi, che si vantava di essere il cugino di Dalida (alias Jolanda Gigliotti), faceva ascoltare ai clienti i dischi dell’illustre parente. Topolino, in via San Pietro (amava i fumetti) non elargiva servizi accessori, ma si faceva apprezzare per le stigliature anni Sessanta del suo locale d’impianto medioevale con due archi in peperino. Oggi il figlio Mario (diplomato alla Scuola Acconciatori) ha rinnovato tutto, ma ha conservato la porta di ingresso appartenuta ad una precedente pizzicheria attiva sul posto fino al 1965.

Ma vediamo come si svolgeva il lavoro del barbiere. Regola numero uno camice d’ordinanza (celeste, bianco, verde o avana) dotato di ampio taschino per contenere il pettine d’osso bianco, agile e affusolato. Altra regola, ancora oggi in uso: prima i capelli, poi la barba per evitare che i peli usciti dal taglio si appiccicassero sul volto umido del cliente.

Ulteriore raccomandazione: forbici affusolate e taglienti dal suono scoppiettante, come un cinguettio. Il barbiere doveva (e deve) essere ironico, simpatico, loquace, ben informato e discreto soprattutto con i clienti specialmente se sconosciuti. La comoda poltrona girevole doveva portare la griffe della ditta “Pietra Nera”. Alcune barberie disponevano anche di un seggiolone a testa di cavallo per i bambini. Negli anni Quaranta mio padre mi accompagnava per il taglio mensile dei capelli da Falcioni al Corso. Per me era una tortura, inchiodato com’ero su quel trabiccolo.

Il rasoio veniva affilato sulla “striscia” (o “coramella”), una sorta di bacchetta di cuoio su cui si spalmava l’insetticida “Caudano”. Per la barba si passava prima un velo di pro-raso e quindi col pennello un’abbondante crema all’apparenza dura e collosa dal vago profumo di mandorla che si ammorbidiva con l’acqua calda nell’apposita tazza. L’insaponatura era il momento più piacevole e rilassante. Durava molto poiché non ci si radeva tutti i giorni e pertanto i peli erano spesso ispidi e duri. “Barba ben insaponata – si diceva - è mezza tagliata”. Il rasoio veniva pulito in una vaschetta di gomma di color rosso chiamata “caucciù”, ma si poteva anche provvedere con le comode schedine della Sisal.

Dopo la rasatura si passava sul viso un panno caldo-umido e l’allume di Rocca (un astringente). Quindi un’abbondante spruzzata di Floid (o altro) dal profumo inconfondibile. Piccole ed eventuali abrasioni della pelle venivano tamponate con una matita emostatica detta “causticche”. I capelli venivano tagliati con forbici affusolate e la macchinetta azionata a mano (“tosatrice”). Per la tonsura dei chierici si usava uno strumento particolare che definiva il tondo su cui poi si lavorava col rasoio.

Il rito del lavaggio dei capelli partiva da una ciambella di gomma che veniva posta sulla testa all’altezza delle orecchie. Il cliente veniva fatto piegare in avanti con il capo riverso nel lavabo. Con il “docciatore”, una sorta di caffettiera dal tappo bucherellato, si irrorava la testa con acqua calda prima dello shampoo e della frizione. Gran finale con la spalmata di brillantina che ungeva i capelli, li tratteneva e li faceva brillare, soprattutto se tirati alla “mascagna”. Infine il ferro caldo per i boccoli e l’”arricciabaffi” che serviva ad indirizzare i mustache nelle direzioni volute dal cliente: alla Vittorio Emanuele II, alla Zapata, alla Stalin, alla Poirot, alla Salvador Dalì.

Tocco finale.“Ragazzo, spazzola!”. Il ragazzo, potenziale barbiere (ma non sempre), si prodigava nel migliore dei modi a far girare il “piumino” spazza capelli sulle spalle del cliente, sul collo e sui calzoni fino all’altezza delle tasche (baipassando l’area centrale), onde favorire l’eventuale tintinnio delle monete per la doverosa mancia.

Nel periodo natalizio il barbiere distribuiva ai clienti il “porno” calendarietto profumato, con le foto a colori di ragazze discinte. Per i tempi di oggi roba da prima Comunione. In omaggio anche un pettinino da taschino con la custodia su cui era riportata la pubblicità della ditta.