Viterbo STORIA
Mauro Galeotti

foto anche di Ezio Cardinali con 45 immagini della chiesa,
in fondo all'articolo

 

La Chiesa di san Bartolomeo a Viterbo con il Monastero della Visitazione o delle Duchesse in Via san Pietro, 30

Dopo la Chiesa di santa Maria del Suffragio (se vuoi leggere la sua storia clicca qui), un'altra chiesa poco conosciuta è questa che sto descrivendo, carica di storia, di miracoli, di amore per una suora simbolo del sacrificio, Benedetta Frey.
Ringrazio di cuore il fotografo Ezio Cardinali per aver concesso l'utilizzo delle foto.

Chiesa di san Bartolomeo e Monastero della Visitazione o delle Duchesse

In Via san Pietro 30, sono il Monastero e la Chiesa della Duchessa, quest’ultima era già detta di san Bartolomeo; dette il nome anche alla contrada.

La Chiesa di san Bartolomeo, menzionata per la prima volta in una Bolla del 3 Aprile 1142, era soggetta alla Cattedrale (1181), in seguito, nel 1236, è detta parrocchia.

In essa si celebrava la Festa di santa Lucia e di sant’Eligio da parte dei protetti, ossia gli argentieri, gli orafi, i calderai ed i fabbri. Quest’ultimi, nel 1492, si trovano riuniti nella chiesa. Nelle Memorie Cordelli in data 14 Novembre 1474 è nominata la Strada di san Bartolomeo e precisamente, «una casa posta nella strada di s(an)to bartholomeo ap(re)sso alla chiesia di s(an)to bartholomeo».

A proposito di orafi nel 1469 erano obbligati ad usare otto once di argento per libbra e oro di ventidue carati. I lavori dovevano essere contrassegnati dal sigillo dell’orafo.

Prima del 1691 furono aggregati all’Arte dei Mercanti, ma nel 1761 si dichiara che non potevano occupare cariche nell’Arte.

Verso il 1550 la duchessa di Parma e Piacenza Girolama Orsini Farnese, moglie del defunto Pier Luigi Farnese, duca di Castro e di Parma, era venuta in città per fondare, su licenza di papa Paolo IV, un monastero di clausura, al fine di ospitare le monache dell’Ordine di san Benedetto.

Quindi dal 1553 la duchessa, che si era stabilita a Viterbo, con il contributo finanziario del Comune di Toscanella, Tuscania di oggi, eseguì i primi acquisti di case ed orti, compresa l’area occupata dall’antico Palazzo del cardinale Raniero Capocci, poi degli Spreca, confinante con la Chiesa di san Bartolomeo, scaricato in parte già nel 1247. Del palazzo sono rimaste solo due finestre a bifora, murate, simili a quelle del Palazzo papale, sovrastanti un ampio arco, anch'esso murato.

Alla duchessa Orsini, nel 1556, venne venduta l’acqua, già di pertinenza dell’Ospedale di san Sisto, e in quell’occasione fu eseguita una conduttura per l’uso del monastero.

Papa Paolo IV, Carafa, il 1° Gennaio 1557 emise un Breve che autorizzava Girolama Orsini Farnese ad istituire il monastero, che prese il nome della Visitazione.

Le prime converse che abitarono il cenobio furono venticinque, provenienti dal territorio di Castro. Poiché le suore Benedettine, per la conduzione del monastero, non si erano rese disponibili, furono chiamate le monache Cistercensi dal Convento di san Donato in Polverosa a nord di Firenze, le quali vi presero sede il 31 Ottobre 1557 e tuttora lo detengono.

Fu frequentato in genere da fanciulle provenienti da nobili famiglie, per ciò la dotazione degli arredi era assai cospicua. Nel 1557 la Chiesa di san Bartolomeo perse il titolo di parrocchia e venne unita a quella di san Pellegrino ed è del 1558 la citazione del Monastero della Visitazione sotto il titolo di santa Elisabetta. Ma, pochi anni dopo, nel 1562, la duchessa voleva trasferire il monastero, venne allora manifestata una supplica verso la stessa, affinché rinunciasse a tale progetto.

Nonostante ciò, il 26 Marzo 1566, per volontà della duchessa, venne chiuso il monastero e fu trasferito a Castro, ove rimase sino all’11 Luglio 1574, allorquando ritornò a Viterbo nella sede abbandonata.

Nello stesso anno il cardinal de Gambara confermò l’unione della Parrocchia di san Bartolomeo a quella di san Pellegrino e concesse, per ampliare lo spazio disponibile, la chiusura del vicolo che passava tra il Monastero e la Chiesa di san Bartolomeo, acquistando anche alcune piccole case.

Nel 1575 la chiesa era officiata dalla Confraternita dello Spirito santo e Trinità e venne concessa, per le necessità delle monache, una penna d’acqua dalla Fontana di san Leonardo. 

L’anno seguente, essendo stata soppressa la concessione di quella proveniente dall’Ospedale di san Sisto, le monache chiesero altra acqua. Ed ancora soffrendo grandemente d’acqua fu loro concessa, nel 1577, la sorgente posta fuori Porta san Pietro che fuoriusciva dal barbacane posto appresso alla Chiesa di santa Maria delle Fortezze.

In quel momento furono consegnati anche i sassi per la costruzione di una grande fonte. Un anno dopo un’altra concessione di acqua venne offerta da Domenico Casale, il quale possedeva alcuni diritti sull’acqua che alimentava un barbacane da lui tenuto.

Il monastero nel 1588 affittò i suoi due terzi del possesso della ferriera di Ronciglione, mentre il terzo restante era di proprietà del Convento di santa Maria del Popolo di Roma.

Nel 1589 l’Ospedale concesse alcune travi per il restauro del complesso monastico e furono intrapresi nel monastero alcuni lavori, tra cui la costruzione di sedici celle per ampliare il dormitorio.

Sin dal 1605 l’acqua in dotazione al monastero non era sufficiente, quindi si era cercato di portarne ancora, ma solo nel 1616, quando fu eletta abbadessa Costanza Giovenale da Barberino, fu possibile eseguire i lavori, prelevando l’acqua detta della Vignola.

Fu deciso, in seguito, di abbattere la vecchia Chiesa di san Bartolomeo per costruirne una più funzionale. La prima pietra fu posta il 28 Luglio 1607 e il tempio fu dedicato alla Visitazione della beata Vergine Maria. Anche il Comune di Viterbo contribuì alle spese di erezione e lo stesso anno concesse cento scudi al monastero per la nuova chiesa costata duemilacinquecento scudi.

La chiesa, comunque, fu terminata di costruire nel 1610 con una spesa di quattromilacinquecento scudi, e venne comunemente nominata della duchessa, in onore di Girolama Orsini Farnese. Nel 1611 furono costruite le celle nel coro vecchio, lavoro terminato nel 1613.

Il 25 Maggio 1614 il cardinale Tiberio Muti, vescovo di Viterbo, consacrò la chiesa, l’anno seguente a Maggio fu restaurato il coro «acciò vi si potesse commodamente assistere a Divini offitij tutto il Monastero». (Vedi la foto a fine articolo)

Nel 1689 fu chiusa la Via del Colle contigua alle mura dell’orto per ampliare la clausura del monastero. La conferma di ciò avvenne l’anno seguente quando si concesse la via che dalla «piazzetta di san Pietro andava alla Casa Degli Atti».

Vincenzo Degli Atti, vescovo di Bagnoregio, donò alla chiesa il materiale in pietra per l’erezione di un altare.
La chiesa, a seguito di restauri di una certa importanza, il 23 Aprile 1730, fu riconsacrata dal vescovo Adriano Sermattei. Altri interventi furono eseguiti negli anni 1867 - 1870 e nel 1877.

Padre Pio Semeria, nelle Memorie scritte intorno al 1825, riferisce:
«è stimato nella stessa chiesa il quadro in tela di S. Mauro e S. Placido, che si vede sopra la porticina laterale della stessa chiesa, è di autore incerto». Poi, nel descrivere gli avvenimenti accaduti nell’anno 1828, continua, «In quest’anno nel Mon.o della Duchessa nel dì 20 di agosto fu messa la vita comune».

Papa Gregorio XVI, quando il 4 Ottobre 1841 venne a Viterbo, visitò il monastero, lo stesso fece Pio IX il 4 Settembre 1857; le monache, leggo sulla Memoria della sua visita, «già la sera innanzi aveano fatto umiliare al S. Padre un quadro, il quale avea nel mezzo una statuetta dell’Immacolata Concezione in argento massiccio, lavoro romano, vagamente circondato da un bassorilievo a fogliami in oro sopra fondo bianco, ricamo tutto delle RR. MM. il quale tanto per isquisitezza di disegno, che per esattezza di esecuzione nulla lasciava a desiderare, e sotto la detta statua si leggevano in oro le seguenti parole a rilievo Pio IX pont. max. - qui divinitus ad grandia electus - deiparae conceptionem -originalis maculae penitus expertem solemni oraculo - asseruit definivit - Virgines Cisterc. ex Monast. Visitationis Viterbii - d.d.d.».

Le monache, dopo il 1870, rischiarono la chiusura del monastero e la trasformazione del complesso in scuola elementare femminile, ma con fermezza l’Ordine Cistercense riuscì al mantenimento del monastero stesso e non solo, vi furono eseguiti lavori di dorature, pitture e ornamenti in finto marmo. Cosicché fu necessaria a conferma, un’altra consacrazione, il 21 Marzo 1873, da parte del vescovo Luigi Serafini.

Sulla Gazzetta di Viterbo del 15 Novembre 1873 leggo un elenco di opere d’arte conservate in quel momento nella chiesa:
«Quadro della Visitazione sull’altar maggiore, ed altro con [la Trinità] s. Benedetto e s. Bernardo sul soffitto [di Anton Angelo Falaschi], creduti del Cavarozzi. / Il martirio di s. Bartolomeo, della pittrice romana Varchiani». (Vedi la foto a fine articolo)

Ma i pericoli di confisca del monastero, da parte dello Stato italiano e conseguente scioglimento della comunità religiosa, non finirono, e nel 1904 il Comune, nella persona del segretario comunale, promise alle suore che il monastero sarebbe restato in loro uso fino a che rimaneva in vita donna Benedetta Frey. 

Quest’ultima, in accordo con la badessa Ubellina Calcagni, cercò di sensibilizzare i fedeli perché concedessero elemosine tali da consentire il riscatto del monastero. Così avvenne, e tra le offerte ci fu anche quella della regina Margherita di Savoia; l’obiettivo fu ben presto raggiunto e, nel 1909, le monache riscattarono il monastero dal Comune.

Il Comune con manifesto del 10 Luglio 1909 comunicò l’aggiudicazione chiedendo di «presentare offerte di miglioramento in ragione non minore del vigesimo al suddetto prezzo» di lire 35.200, ma nessuno fece offerte. Così il 12 Aprile del 1910 il monastero accolse le monache cistercensi di Perugia alle quali era stato soppresso il convento.

La facciata, caratterizzata da lesene in peperino, termina a cuspide ed è ricca di festoni floreali e di gigli dei Farnese. Interessante è anche il portale d’ingresso in peperino, del secolo XVII, su cui è un cherubino con la colomba, simbolo dello Spirito santo, che si manifestò con la confraternita omonima. In un ovale sull’alto sono, la scritta Visitationi / Virginis / deiparae e una finestra quadrata che si apre sopra ad un semiarco in peperino.

All’interno della chiesa, che si presenta a navata unica, è il bel soffitto a cassettoni ravvivato dai colori grigio, blu, rosso ed oro, con stucchi e dorature, eseguito nel 1672 - 1673 da Giovan Battista Magni di Modena. (Vedi la foto a fine articolo)

Al centro dello stesso è pitturata su tela, come poc’anzi ho scritto, la Trinità con san Benedetto e san Bernardo, opera del concittadino Anton Angelo Falaschi, che Andrea Scriattoli data 1745, ma che più propriamente fu eseguita nel 1758. (Vedi la foto a fine articolo)

Oltre alle tele si possono vedere ancora pitturati gli stemmi di varie famiglie tra i quali noto quelli dei Chigi - della Rovere - Bussi, Farnese - Orsini, Mastai Ferretti (Pio IX), Brancaccio.

Sopra all’ingresso è la cantoria in legno del ‘600 con gradevoli ornamenti e dorature, e la memoria su pietra della consacrazione della chiesa avvenuta, come ho scritto, il 25 Maggio 1614 da parte del vescovo Tiberio Muti. (Vedi la foto a fine articolo)

A destra, sul primo altare, è la pala con il Martirio di san Bartolomeo, copia dal Guercino eseguita nel 1774 dalla pittrice romana Annunziata Verchiani, la quale aveva qui una sorella suora che si chiamava Maria Clementina. (Vedi la foto a fine articolo)

In un manoscritto di anonimo del 1875, conservato nella Biblioteca degli Ardenti, è riferito che questo quadro era «nel terzo altare a sinistra entrando», e che sull’altare in questione era il quadro raffigurante «san Carlo in atto di preghiera. E’ ben conservato, ed è bello anche dal lato della prospettiva. Colorito di intonazione chiara. Autore da studiarsi».

Oltre è un altro dipinto sull’Altare dei santi Bernardo e Benedetto con la Madonna ed il Bambino con san Benedetto e san Bernardo opera del 1758 - 1759 di Anton Angelo Falaschi (1701 - 1768), qualcuno lo attribuisce erroneamente al viterbese Bartolomeo Cavarozzi (1585 - 1650). Il Falaschi eseguì le due opere, sopra citate, con la condizione che il compenso, che lo stesso avrebbe dovuto ricevere dalle suore, doveva andare, quale dote, alla figlia Maddalena per il suo ingresso in monastero. (Vedi la foto a fine articolo)

Di seguito è l’urna con i resti del corpo di san Crescenziano martire, donati da papa Gregorio XVI, sopra è scritto:
Corpus / S. Crescentiani M. / ex coemeterio Callixti / hic / anno MDCCCXXXIII / solemni pompa repositum / Viterbiensium cultui / patuit.

I resti del corpo di san Crescenziano martire, comprotettore di Viterbo, erano, fino al 12 Febbraio 2001, dietro ad una vetrata con una tendina tesa da decenni, tanto che io non ho mai potuto vederlo; è, per questo, sconosciuto alla quasi totalità dei Viterbesi. Finalmente si può ammirare la statua assisa, tra i vari ex voto d’argento appesi alle pareti, e una piccola pietra, sulla sinistra, con su scolpito: Locus / Crescen / iiani. (Vedi la foto a fine articolo)

Ho scritto che fu il dono di papa Gregorio XVI ai Viterbesi, dopo i moti rivoluzionari del 1831, per compensarli della perdita dei territori di Civitavecchia e di Orvieto.
L’«intero corpo» giunse a Viterbo il 9 Settembre 1833 e, con una gran festa, fu subito elevato a comprotettore della città l’8 Ottobre 1833.
L’altare a lui dedicato fu restaurato nel 1863 e in quell’occasione il corpo, che era stato spostato, fu ricollocato nell’urna.

Nella parete di fondo sono due matronei, a destra è la cappella ove è conservato il Bambino di cera, appartenuto a suor Maria Benedetta Frey (1836 - 1913), ivi sepolta, come dice l’epigrafe marmorea murata sopra l’ingresso, infatti leggo:
In quest’edicola / ai piedi del Bambino Gesù / che tanto venerava ed amava / riposa nella pace eterna / donna Maria Benedetta / monaca professa cistercense / al secolo Penelope Frey / che per cinquantadue anni / giacendo inferma / pur fra gli spasimi del corpo dolorante ed inerte / fu esempio ammirabile eroico / di pietà di carità / di rassegnazione cristiana / nacque in Roma il 6 Marzo 1836 / morì in Viterbo / onorata e rimpianta / il 10 Maggio 1913. (Vedi la foto a fine articolo)

L’altare della cappella conserva, come ho già scritto, la miracolosa immagine del Bambino Gesù, questa non è altro che una statua in cera, risalente al XVIII secolo, verso la quale la Frey era molto devota. (Vedi la foto a fine articolo)

Le fu donata da certi coniugi romani, e si racconta che la statua era stata loro rubata per depredarla dei preziosi che l’ornavano. Miracolo volle che la stessa, dopo addirittura sedici anni, fosse ritrovata sul tetto della casa dove era stata rubata, senza aver subito alcun danno.

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Donna Maria Benedetta Frey

Donna Maria Benedetta Frey, al secolo Penelope, nacque a Roma il 6 Marzo 1836 da Luigi e Maria Giannotti. L’8 Giugno 1856 venne accolta nel Monastero della Visitazione in qualità di maestra di musica ed organista delle nobili educande e poiché era senza dote le fu concesso, il 17 Giugno 1857, di supplire alla dote stessa con le sue lezioni di musica.

Fu ammessa ai voti solenni che, il 2 Luglio 1858, prese dalle mani del vescovo di Viterbo cardinale Gaspare Bernardo Pianetti; scelse il nome di Maria Benedetta Giuseppa.

Passò solo tre anni in salute, poi fu sempre ammalata. Infatti, nel Novembre del 1861 fu preda di febbri tifoidee che le procurarono dolori atroci.
Per cinquantadue anni fu sempre dolorante. Papa Pio IX le mandò l’apostolica benedizione, concedendole di far erigere nella sua camera un altare con il Bambino Gesù, al fine di celebrarvi i divini misteri.

Anche la regina Margherita scrisse più volte a Benedetta, perché proteggesse la sua famiglia e papa Leone XIII concesse la facoltà di consentire l’accesso al monastero da parte di coloro che volevano aiutare le monache nelle loro necessità giornaliere.

Morì la sera del 10 Maggio 1913, alle 19. Dopo quattordici anni che era nel pubblico cimitero, fu sepolta nella cappella dove, ai suoi piedi, è il Bambino Gesù, come lei desiderava.

E’ in corso il processo di beatificazione per i tanti miracoli a lei attribuiti, nel 1960 fu effettuata la ricognizione del corpo che, a testimonianza della sua beatitudine, fu ritrovato incorrotto.

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Più in alto è lo stemma: troncato con al 1° una torre merlata sormontata dal viso di un angelo alato, al 2° tre sbarre.
Appartiene al vescovo di Viterbo, cardinale Luigi Serafini (1870 - 1880).

Sull’altare maggiore è un bel Crocifisso seicentesco, sopra l’arco della volta del medesimo altare è scritto: V.B.M.V. / Altare privilegiatum / quotidianum. 
Ancora più in alto è un grande stemma: partito, dorato, al 1° interziato in palo, è lo stemma dei Farnese, ed al 2° partito è, al 1°, lo stemma Orsini ed al 2° un leone rampante. (Vedi la foto a fine articolo)

Il 26 Maggio 1645, papa Innocenzo X, concesse il privilegio all’altare maggiore e l’indugenza per la Festa della Visitazione, di san Bartolomeo, san Benedetto, san Bernardo e dei Sette Altari, la stessa delle sette chiese di Roma.

Per la Festa dell’Ascensione nel monastero fu costruita una scala apposita.

Appresso all’altare maggiore è un ingresso con sopra l’epigrafe del 1661 che ricorda Maura Giacinta Bussi:
A.M.D.G. / d. Maura Hiacynta de Bussis monialis / professa in Monasterio Visitationis dei= / parae v. perpetuã cappellaniã cu(m) onere mis / ae quotidianae pro animab(us) eiusd parentum / et monialiû assignatis scutis quadraginta / annuis ex bonis haereditatis paternae / monasterio comparatis cu(m) facultate / em. d. card. Brancatii episc. Viterbien. / ex indulto sac. congregationis ac / de consensu monialium capitulari / in ara maiori huius ecclesiae le / gitime erexit prout constat / plenius in actis curiae episcop. / sub die IIII April MDCLXI. (Vedi la foto a fine articolo)

Sopra l’epigrafe è lo stemma:
semispaccato e partito, con il monte dalle sei cime sormontato da una stella di otto raggi (Chigi) la rovere sradicata con i rami passanti in doppia croce di sant’Andrea (della Rovere) ed infine con gli occhi (Bussi).

In alto è lo stemma con:
fascia con al 1° una colomba con ramo d’ulivo al becco sovrastata da tre stelle a sei raggi ordinate in fascia, al 2° una catasta di tronchi d’albero serrati da due legature.

Sulla parete seguente è sull’altare il bel quadro riproducente la Visitazione di Maria Vergine a santa Elisabetta, opera attribuita al viterbese Filippo Caparozzi (1588 ? - 1644).
Il quadro era già sull’altare maggiore, in un inventario del 1872 e in un elenco manoscritto di quadri nel 1875, è attribuito a Bartolomeo Cavarozzi, che lo avrebbe eseguito nel 1622. Recentemente Noris Angeli lo indica, secondo alcuni documenti da lui ritrovati, opera dello stesso autore del soffitto: il Modenese (1673). (Vedi la foto a fine articolo)

Segue sull’altare accanto altra tela con la Sacra Famiglia con angeli in gloria e Pio IX con il Bambino, sostenuto da san Giuseppe, e con a sinistra la Madonna, in basso è papa Pio IX orante. Sopra l’arco dell’altare è scritto: Qui custos est Domini Dei glorificaditur. (Vedi la foto a fine articolo)

Ai lati del quadro, sui fregi dell’altare, è scritto, a sinistra, Ite ad, a destra Ioseph. Otto piccoli quadri, ben pitturati, rappresentano momenti della vita di san Giuseppe e sono appesi ai lati dell’altare. (Vedi la foto a fine articolo)

Sull’altare seguente ed ultimo, verso l’ingresso, è la statua di santa Teresa del Bambin Gesù. (Vedi la foto a fine articolo)

Sopra la porta d’ingresso, dove è la cantoria, è l’organo con cassa indipendente e con facciata a cuspide centrale di ventidue canne. E’ in color celeste - verde, con ornamenti in oro, dove sono i gigli dei Farnese e la mazza dei Muti, che avevano lo stemma:
di rosso a due mazze d’armi decussate e congiunte all’estremità da una catena, il tutto d’argento. (Vedi la foto a fine articolo)

Non si conosce l’autore dell’organo anche se si può notare che l’impianto è ottocentesco. E’ stato restaurato, il 15 Ottobre 1976, da Alvaro Vercelli e Alfredo Perini di Roma.

Sotto l’organo e sopra la porta d’ingresso è l’epigrafe:
Tiberius Mutus / Domicellus Romanus / ep(iscop)us Viter-bien(sis) et Tuscanen(sis) / in honorem Visitationis / b. Virginis deiparae / hanc ecclesiam et altare / maius iuxta ritum S.R.E. / consecravit / die XXV maii anno domini / MDCXIIII. (Vedi la foto a fine articolo)

Fra le cappelle, già esistenti in chiesa, ricordo quella di san Giovanni, nel 1344;
la Cappella dei santi Giovanni e Girolamo, nel 1381;
di san Giovanni Battista e dei santi Pietro e Paolo, nel 1473;
la Cappella di sant’Angelo di giuspatronato della famiglia Capocci, nel 1492 ;
quella di san Bartolomeo nel 1483, e nel 1545 quella di san Michele creata da Michele Florenzuoli, Giovanni Almadiani e Girolamo Spreca. Inoltre nel 1612 vi era a destra l’Altare del ss. Crocifisso, costruito da donna Girolama di Santacroce.

Nella Sacra Visita del 1622 sull’altare maggiore era san Bartolomeo e altri posto sulla parete; a destra era l’Altare dei santi Pietro e Paolo e della beata Vergine con quadro della Madonna; poi era l’Altare dei santi Stefano e Lorenzo con l’immagine, nella parete sinistra; quello del Crocifisso dipinto nella parete con altri santi; vi era poi l’Altare di san Niccolò dell’Arte degli Ortolani.

Nel 1645 si nominano i seguenti altari: di san Carlo; della Visitazione fondato da Mattei; dei santi Benedetto e Bernardo fondato da Vittoria Ciampelloni e infine dei santi Bartolomeo e Francesco fondato da Giulia Cipriani.

Il chiostro si trova nominato nel 1533, in esso è una bella fontana della seconda metà del XVI secolo.

La vasca circolare con parapetto assai basso, una ventina di centimetri circa, con largo bordo piatto cordonato nella circonferenza interna, è circondata da un gradino decagonale. Un balaustro centrale sostiene una coppa baccellata da cui fuoriusciva acqua da quattro bocchettoni a forma di stella ad otto raggi.

Il disegno del chiostro è assai originale, si presenta, infatti, con snelle colonne anteposte a pilastri con pianta quadrata. Sovrasta il tutto un ampio balcone con il parapetto a colonnine in peperino.

Protetta dal portico è scolpita Benedetta Frey sul letto di morte, opera in peperino del 1913 di Luigi Anselmi.

Il monastero non è aperto al pubblico per il vincolo della clausura, in esso è il quadro san Michele arcangelo, santa Sabina e san Lorenzo di Anton Angelo Falaschi (1701 - 1768).

Nel refettorio del monastero è un affresco raffigurante l’Ultima cena, opera di Anton Angelo Falaschi.

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