Fegato di Piacenza in bronzo Museo Farnese

Quell’alternanza di macrocosmo e microcosmo è l’interconnessione che esiste tra elementi celesti ed elementi terrestri. L’arte divinatoria degli aruspici etruschi, che interpretavano le viscere degli animali, incuriosì i Romani e molti Imperatori ebbero il proprio sacerdote aruspice personale di origini etrusche.

L’arte divinatoria in epoca arcaica era il frutto della comprensione che il popolo etrusco aveva del legame indissolubile tra Terra e Cielo. Il fanciullino Tagete consegnò i segreti della divinazione, della folgore ed altri misteri a quel Tarkùn che, forse, fu il Re etrusco Tarquinio Prisco nonché vero fondatore di Roma. Il confine tra storia e controstoria è qui abbastanza controverso, ma vale comunque la pena di esplorarlo con obiettiva indagine di ricerca.

Per numerosi anni l’Impero Romano si avvalse di sacerdoti di origine etrusca per predire i disegni celesti degli Dei. Gli aruspici furono infatti sacerdoti etruschi che contemplavano le viscere delle bestie per trarre dettami divini sul futuro e sull’interpretazione delle cose presenti.

I Romani usavano, invece, vaticinare interpretando il volo degli uccelli, secondo l’arte dell’ornitomanzia. I sacerdoti esperti in questa disciplina erano gli auguri, da cui il termine augurio.

Il culto della divinazione era per gli antichi Etruschi il frutto maturo di una cultura talmente legata alla madre Terra da ritenere plausibile un interconnessione tra essa e gli elementi cosmici dell’universo.

Gli Etruschi seppero riscontrare una similitudine tra la disposizione dei punti ideali di suddivisione della volta celeste e la disposizione delle viscere degli animali. Questo era il sintomo manifesto dell’interconnessione astrale fra tutti gli esseri viventi.

Un equilibrio immanente che lega da sempre gli elementi del cielo a quelli della terra. Un’interconnessione astrale che mette in comunicazione tutte le creature dell’universo con l’universo stesso.

Si tramanda ancora che, durante l’assedio dei Visigoti ai danni di Roma nel 408 a.C, sacerdoti Etruschi avessero lanciato una maledizione sull’esercito di Alarico e che i suoi soldati fossero stati flagellati da una pioggia di fulmini. Si tramanda anche che fu un sacerdote etrusco a predire a Cesare la sua morte nelle idi di Marzo.

Sebbene la cultura latina avesse, per certi versi disprezzato quei popoli antichi che aveva assorbito, non mancarono casi in cui gli Etruschi vennero apprezzati dai Romani ed integrati nell’Urbe fino ad essere assimilati in essa e ad aver dato i natali, negli anni, agli abitanti dell’Italia centro-nord.

L’arte aruspicina si basava sulla determinazione di uno spazio celeste, il templum.  Questo era a sua volta divisibile da due rette perpendicolari dette cardo, da nord a sud, decumano da est ad ovest.

Il decumano divideva la parte di cielo che comprendeva gli Dei benevoli, tra cui Tinia( Giove/Zeus) e sua moglie Uni (Giunone/Era) che si trovavano ad est. Ad ovest, invece, vi erano gli Dei reputati malvagi. Il cardo suddivideva la volta celeste, secondo una logica spazio-temporale, da sud a nord, in una“pars antica” e in una “pars posticia”.

 L’intersezione di cardo e decumano divideva il cosmo in quattro parti e queste erano a loro volta suddivise in altre quattro creando così sedici sezioni. Queste corrispondevano alla totalità della teogonia etrusca e, a seconda di cosa si verificasse in una porzione o nell’altra della mappatura celeste così ottenuta, gli aruspici potevano dire quale Dio governasse quella porzione di cielo e fare delle ipotesi sul futuro o sull’interpretazione del presente.

Per gli Etruschi, similmente alle culture orientali, il cosmo si riflette sulla terra ed ogni individuo terreno serba in se dei tratti di microcosmo che seguono le stesse leggi del macrocosmo e di quest’ultimo ne risentono gli influssi. Per questa alternanza tra macrocosmo e microcosmo le viscere dei viventi si presentano disposte come la suddivisione della volta celeste, poiché con questa sono interconnessi.

Il “fegato di Piacenza”, riproduzione bronzea di un fegato di pecora risalente al II-I secondo secolo a.C, è una testimonianza di come venivano interpretate le viscere degli animali.

L'arte divinatoria degli aruspici, secondo quanto narrano le antichissime leggende, venne consegnata agli uomini da Tagete e raccolta da Tarconte. Quest'ultimo sarebbe quel Tarkùn  che la tradizione, legata al mito della fondazione etrusca di Roma, vedrebbe coincidere nella persona del re romano Tarquinio Prisco.

Tarconte fu l'eroe della mitologia etrusca che si vide consegnare da Tagete numerosi segreti, tra i quali quello della divinazione. Egli  raccolse questi segreti mistici nei libri sacri successivamente custoditi dai Lucumoni e poi tradotti, per la prima volta in latino, da Tarquinio Prisco.

Una scuola di pensiero, piuttosto non accreditata, anche se comunque affascinante, vede la persona di Tarconte (tarkùn) e Tarquinio Prisco coincidere nel primo Re etrusco di Roma. Ci potremmo trovare, a questo punto, in quella che Honoré de Balzac definirebbe controstoria.

 

Bibliografia

- Giovanni Feo Miti, segni e simboli Etruschi, stampa alternativa

- http://www.treccani.it/enciclopedia/aruspicina/

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