Viterbo STORIA
Alessandro Gatti

 La Chiesa di san Biagio in Via san Lorenzo

Il percorso migratorio che, a partire dal XIV secolo portò molti gruppi di ebrei in Italia, può ben dirsi un vero e proprio processo storico.

L’impatto che ebbe a livello sociale ed economico fu enorme.

Soffermandoci un attimo sulla realtà veneziana ci rendiamo conto di come le opinioni della collettività cittadina fossero assai discordanti.

Molti, nell’ambito della finanza e del commercio, vedevano gli Ebrei come degli usurpatori.

Loro, infatti, quale fonte principale di sostentamento e di arricchimento, erano soliti praticare il prestito di denaro ad usura, pratica vietata dalla Religione cristiana.

Sicuramente questo differente retaggio culturale creava una disparita di trattamento che infastidiva molti commercianti veneziani, soprattutto banchieri. Di fatto gli Ebrei svolgevano un’attività nella quale non avevano concorrenza, eccetto gli Ebrei stessi, e per la quale pagavano tasse alla città di Venezia.

Su quest’ultimo aspetto vale la pena soffermarsi, in quanto fu proprio il fatto di pagare tasse ed arricchire lo Stato che permise loro di continuare nella propria attività. Oltre all’usura si dedicavano allo scambio e alla vendita di oggetti ed abbigliamento usato, pratica chiamata “strazziaria”.

La Serenissima Repubblica di Venezia sancì la regola che gli Ebrei dovevano stipulare con il Governo locale un patto annuale, la “condotta”, con il quale potevano continuare a vivere nella comunità veneziana a patto di pagare regolarmente le tasse dovute e portare dei segni distintivi (“signa”) per essere distinguibili dal resto della popolazione.

Stessa cosa si avrà, per l’appunto in quegli anni, a Viterbo, dove tra 1200 e i primi del 1500 numerose comunità ebree immigrarono in massa.

Lo storico Cecil Roth sostiene che in quegli anni, a Viterbo, i gruppi ebraici erano numerosissimi, ma sicuramente anche ricchi e colti. Ad esempio vi sono documentazioni risalenti al 1284 che attestano un ingente prestito di denaro da parte di un ebreo ad un viterbese, per l’acquisto di un terreno, questo certamente denota che queste comunità erano molto influenti nella Viterbo d’allora, poiché rappresentavano uno snodo economico-finanziario notevolmente condizionante nell’ambito della gestione cittadina.

Nel XV secolo gli Ebrei viterbesi si trovano attestati presto  Piazza Padella, nei pressi della sinagoga di San Silvestro, San Biagio e nei pressi del complesso di San Simeone. Non meno delle altre comunità ebraiche, anche quelle stanziatesi a Viterbo, riconoscevano grande importanza all’abbigliamento; loro, ad esempio, ritenevano turpe mescolare le fibre e tessuti differenti nella fattura delle vesti.

Quest’ultime dovevano richiamare alla purezza e, soprattutto lana e lino, non andavano cuciti assieme nello stesso vestito. All’acconciatura dei capelli era riposto un significato prettamente femminile e legato alla seduzione, ragion per cui, come testimoniano numerose raffigurazioni, era disdicevole per una donna sposata lasciarsi vedere i capelli sciolti. 

L’opinione di Leone da Modena che gli ebrei non fossero soliti mescolarsi ai costumi locali, non sembra essere condivisa da tutti gli studiosi di usanza ebraica. Fatte salve alcune regole di base legate al buon costume della tradizione ebraica, le comunità si integravano con la gente del posto e, come mostrano delle raffigurazioni ferraresi, ne assorbivano le varie mode nel rispetto dei loro principi.

A Viterbo, non da meno che in altre località, gli Ebrei indossavano dei segni distintivi: portavano delle frange laterali di contorno alle vesti dal colore azzurro (zizit), per ricordare le leggi divine, indossavano cappelli gialli di varie forme a seconda dei differenti periodi storici. L’abbigliamento, se da un lato veniva imposto dalle autorità locali perché gli Ebrei fossero riconoscibili, dall’altro rappresentava un motivo caratterizzante la propria cultura.

Nel caso delle frange azzurre ai lati del vestito, queste erano manifesta adesione alla legge di Dio, venivano indossate alla maggiore età per mostrare il pieno accoglimento dei precetti morali della Religione e per anteporre questa alla pulsione delle passioni. L’imposizione di segnali distintivi, spesso riadattati poiché forieri di malintesi o pericolosi per i viaggiatori che diventavano riconoscibili dai briganti, venne dettata da svariate ragioni.

Il “signum” era imposto, non da ultimo a Viterbo, per evitare confusione tra un gruppo sociale e l’altro e per paura di indispettire i Cristiani, i quali si vedevano negati numerosi privilegi permessi dalla religione ebraica rispetto alla loro. Questi “signa” consistono, di volta in volta, o in una spilla, o nel copricapo (kippà) o nelle fasce nere (talled). Quest’ultime erano delle stringhe che cingevano la mano ed il braccio sinistro, in corrispondenza di altre fasce nere attorno al capo. Il loro scopo era quello di legare saldamente la mente alle azioni.

Curiosità interessante, per quel che riguarda la nostra città, Viterbo, è che gli Ebrei vi restarono in maniera stanziale fino al 1500, dopo di che verranno solo in occasione delle fiere commerciali. La comunità ebraica di Viterbo sarà, infatti, espulsa da una bolla papale di Pio V del 1565. Molto probabile che loro fossero mal visti poiché erano divenuti molto più ricchi delle famiglie viterbesi maggiormente in vista. L’imposizione dei “signa” alla comunità ebraica di Viterbo si ebbe nel 1400. Questi segni distintivi consistevano in una specie di turbante giallo, come per la comunità ebraica di Ferrara.

Altro aspetto interessante della comunità ebraica di Viterbo è che essa trovasse forte protezione nella famiglia dei Gatti, mentre era caldamente osteggiata dai Tignosi. Sicuramente questo rappresentò un aspetto politico addotto a pretesto perché le due famiglie rivali avessero un motivo in più per muoversi guerra, ma appare assai oscuro il reale interesse in ragione del quale la famiglia Gatti di Viterbo sostenesse gli ebrei.

Il motivo è da ricercarsi, forse, in favori economici o in rapporti di varia natura che, forse, legavano i Gatti agli Ebrei. Pare strano, comunque, che fossero proprio i Gatti, convinti sostenitori del Papa, ad appoggiare gli Ebrei che da questo verranno ghettizzati prima e cacciati poi.

Bibliografia:

Enciclopedia Einaudi sugli Ebrei

Elisabetta Gnignera, I soperchi ornamenti: copricapi e acconciature femminili nell'Italia del Quattrocento, Enciclopedia Treccani, famiglia Gatti

Giulio Busi, l’enigma dell’ebraico nel Rinascimento

Leone da Modena, Historia de gli riti hebraici

Cecil Roth, Gli ebrei in Venezia (rist. anast. 1933)

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