Viterbo STORIA A Raniero e suo cugino si deve l’ampliamento del Palazzo Papale con la costruzione della loggia
Alessandro Gatti

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Palazzo Gatti a Viterbo in Via card. La Fontaine

Un personaggio attivo e dinamico che, oltre a rappresentare un punto di riferimento per la sua città, rappresentò un momento di svolta per il nome ed il prestigio del suo casato.

L’impegno socio-politico di Raniero : la famiglia dei Gatti “prima banca viterbese”

E’ sfortunatamente di fama folkloristica, più che storica, il nome di quel Raniero Gatti cui si attribuisce il controllo di innumerevoli poli nevralgici dell’economia viterbese medievale.

La famiglia Gatti, seguiterà nella gestione della politica sociale ed economica di Viterbo fino al XV secolo.

A Raniero e suo cugino si deve l’ampliamento del Palazzo Papale con la costruzione della loggia e del rispettivo Conclave che ospiterà i cardinali dal 1268 al 1271, portando al Soglio Pontificio Gregorio X.

 Importanti contese tra i cardinali allungarono i tempi di elezione del Papa fino ad oltre mille giorni.

Il popolo viterbese venne esasperato per tali inverosimili lungaggini e fu così che Raniero Gatti, il quale tra le altre cose era anche Capitano del popolo, da ideatore e curatore della splendida sala del Conclave, si fece suo profanatore.

Dando l’ordine di rimuovere le tegole dal tetto dell’edificio, mise i cardinali alle strette e li costrinse ad eleggere il nuovo Papa in tempi brevi evitando, in questo modo, il rischio di crepare di freddo.

Dal gioco di archi, armoniosamente legati tra loro grazie alle colonnine che li sorreggono, e caratterizzanti la tipica loggia del Conclave, si passa agli innumerevoli incarichi amministrativi e diplomatici cui Raniero dovette adempiere.

Alla base della ricchezza della famiglia di Raniero vi furono il commercio di grano ed il prestito di denaro. Si aggiunse poi la proprietà su numerosi terreni e palazzi nell’ambito di tutta la provincia viterbese.

Tuttavia Raniero fu il primo della famiglia che prese parte attivamente alla politica Viterbese, schierato a fianco del papato, in un momento in cui Viterbo era alleata dell’imperatore Federico II.

Veralducii “de Brectonibus”

"Gatti quos cernis currendo solent dare saltum, virtutes signant per quas conscendit in altum".

Proprio come riportato sull’epigrafe, voluta da Raniero nel 1266, per celebrare la costruzione del Palazzo dei Papi, il fascino che il gatto sortiva sulla sensibilità e l’ardore del nobile viterbese era tale da indurlo, a partire dal 1253 circa, ad inserirlo come simbolo nel suo stemma di famiglia.

E’ testimoniato, infatti, che Raniero fu il primo della sua stirpe a chiamarsi Gatti; questi era per l’appunto figlio di una Viscontessa e di Bartolomeo di Rolando Veralducii.

Colpito dalla destrezza e dall’intelligenza del felino, vide di buon auspicio renderlo parte dell’arme di famiglia e fu così che il popolo attribuì lui il nome di Gatti legando così, indissolubilmente, il suo lignaggio a quella grazia ed eleganza che all’animale appartengono per natura.

A partire dal 1263, sempre sulla stessa epigrafe che ricorda la costruzione della loggia del Palazzo dei Papi, sarebbe riportato l’appellativo “de Brectonibus”, in riferimento a Raniero.

Vero è che un altro modo per indicare la stirpe di Veralducii fu, testimoniato  a partire dalla metà del duecento, “Britonibus” o, per l’appunto, de Brectonibus.

Questo lascerebbe intendere come vera la tesi di molti storici locali, tra cui Giovanni Signorelli, che i Gatti, prima ancora i Veralducii, discendessero dalla Bretagna.

Tuttavia, secondo altre fonti, questa origine bretone dei Gatti sarebbe da escludere. Se si analizzano infatti i nomi della stirpe Veralduci, poi divenuta Gatti, non si riscontrano assonanze legate alla tradizione bretone. Nei documenti medievali viterbesi tornano piuttosto frequentemente nomi quali Verardo, Berardo, Rollando, Raniero, Bartolomeo, Leonardo, Andrea .

Questi ,piuttosto, richiamano la tradizione germanica o franca.

Sta di fatto che sull’epigrafi, ma anche su altri documenti antichi, viene riportato il riferimento dei Gatti alla tradizione bretone. Le ragioni possono riscontrarsi nell’importanza enorme che in quegli anni stava assumendo il poema cavalleresco.

 L’influenza della “Canzone di Orlando”, del Troyes, legava nell’immaginario collettivo dell’epoca, l’idea del coraggio e del valore alle gesta di Re Artù e al fascino della sua schiera di amici: guerrieri, maghi, bardi , fate e menestrelli.

Essendo i Gatti, a partire da Raniero, fortemente vicini all’agire politico, che in quegli anni era strettamente connesso all’azione militare, veniva comodo essere percepiti da popolani e nemici come continuatori della tradizione cavalleresca di Excalibur.

Non a caso la legittimità del potere, da tempi antichissimi fino ai giorni nostri, passa per il mito e la divinazione.  Ramsess era il discendente del Dio Ra, Luigi XIV il re Sole, il difensore di Viterbo e del papato era quindi colui il quale ospitava nelle vene lo stesso sangue del mitico Re Artù.

Non si sa se realmente l’intento fosse quello di creare suggestione e alimentare la credenza popolare, fatto è che apostrofare la stirpe dei Gatti Veralducii come “ I Bretoni”, conferiva loro un’aura di superiorità e di possanza.

Ancora una volta l’araldica e l’antroponomastica serbano il segreto più intimo dello scorrere dei tempi.

Si fondono e confondono, tra le trame del tempo, nel fiume della Storia.

 

Bibliografia:

lo straccifojo giornale web: http://lostraccifojo.altervista.org/joomla/lastoria/49-gatti-a-viterbo.html

Enciclopedia Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/raniero-gatti_(Dizionario-Biografico)/

Giuseppe Signorelli: Viterbo nella Storia della chiesa

Appendice bibliografica:

Fonti e Bibl.:

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A. Carosi, Le epigrafi medievali di Viterbo (secc. VI-XV), Viterbo 1986, pp. 60, 62, 66, 70, 76;

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