Viterbo STORIA
Alessandro Gatti

La Rocca assurse quindi a sede del Capitolo dell’Ordine di Gerusalemme e Rodi

Come la cittadina viterbese del Cinquecento visse le vicende storiche della contrapposizione tra Sacro Romano Impero Germanico e Regno di Francia, sullo sfondo del Sacco di Roma del 1527.

Correva l’anno 1527 quando l’allora Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme e di Rodi sbarcava nel porto di Civitavecchia per dirigersi a Viterbo. Di qui sarebbe presto dipartito per guardare a Roma, dove l’attendeva l’allora Papa Clemente VII per ascoltare i suoi resoconti, approvare la convocazione del Capitolo Generale ed esprimere il suo appoggio per il presidio gerosolomitano di  Rodi e definire la costituzione di quello maltese.

Il Papa avrebbe presto approvato l’operato del Gran Maestro ed accordato lui diversi privilegi, non da ultimo l’invio di un Legato pontificio, in occasione del Capitolo, nella persona del Cardinale di San Matteo Egidio Antonini.

Tale Capitolo doveva tenersi nella grande sala della Rocca, con due troni sormontati da baldacchini; uno in velluto cremisi per il Cardinale ed uno di velluto nero per il Gran Maestro. Entrambi adornati dei rispettivi stemmi.

Dal punto di vista istituzionale l’Ordine gerosolomitano aveva una salda e ferma sovranità, rappresentata, tra le altre cose, da una volontà ferrea dei suoi membri nel raggiungimento di quella che era una missione, più che un mero fine istituzionale: la definizione netta di una identità geografica.  La difficoltà primaria era il tentativo di insediarsi nell’isola di Malta, processo che troverà compimento nel 1530 e che darà all’organizzazione  l’appellativo di “Ordine di Malta”.

 In questo contesto si contestualizzano le vicende viterbesi, luogo dove si svolse, nel 1527, il Concilio dell’Ordine in vista di questo importante e secolare insediamento geografico.

Il punto focale dell’insediamento a Malta è rappresentato dalla connotazione identitaria nuova e definitiva che l’Ordine avrebbe derivato dall’avere una sede marittima. In questo delicato ed importante momento di transizione, Il 24 gennaio 1524, il Gran Maestro Villiers de l’Isle Adam, aveva richiesto al Papa, a titolo provvisorio e precario, la città di Viterbo, come «la più spaziosa e propizia» e «la quale per i tempi che correvano pareva molto comoda».

Il motivo della richiesta di Viterbo, come sede provvisoria dell’Ordine, è da ricercarsi nel legame secolare  profondo che l’Ordine di Gerusalemme vantava con la città papale. Oltre a detenere la proprietà su numerose terre e Commende nella provincia viterbese, l’Ordine Santissimo di Gerusalemme era stato riconosciuto  con la bolla “Piae Postulatio”; concessa al Beato Gerardo nel 1113 da papa Pasquale II, che era natio di Blera.

Viterbo era inoltre la metropoli del così detto “Patrimonio di San Pietro”, che faceva parte della ripartizione del Territorio ecclesiastico operata da Papa Innocenzo III  e comprendente tutta la Provincia di Viterbo e Civitavecchia.

La Rocca assurse quindi a sede del Capitolo dell’Ordine di Gerusalemme e Rodi e l’abitazione personale del Gran Maestro Villiers de l’Isle Adam che di Viterbo divenne, stando alle fonti del Bosio e di Feliciano Bussi, il Capitano:

 “con ampla autorità di poter esercitare sopra de’ suoi ogni qualunque atto di giurisdizione, conferendogli di vantaggio il grado di Capitano delle Armi, e di Governatore di essa Città, e conferendogli tutti gli antichi suoi privilegi”.

A Viterbo, dunque, si sarebbe cesellata sapientemente l’alba di una svolta storica per l’Ordine monastico più antico del mondo che, di li a pochi anni, si sarebbe evoluto nell’Ordine di Malta.

Il 1527, anno in cui il Gran Maestro sbarcò a Civitavecchia, per dirigersi poi a Viterbo e dare seguito al Capitolo, secondo gli accordi presi con Clemente VII, fu anche l’anno del sacco di Roma.

Questo momento storico di cruciale importanza per l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme si cala all’interno di un momento fondamentale della Storia della Chiesa.

Per effetto della contrapposizione tra Sacro Romano Impero, guidato dall’imperatore Carlo V, e Regno di Francia, appoggiato dallo Stato della Chiesa, si stava vivendo una crisi socio-politica che si sarebbe protratta per secoli.

Il contrasto si inseriva nella secolare contrapposizione, per il controllo dell’Europa, tra gli Asburgo, di cui faceva parte Carlo V, ed i Valois.

Il tentativo dei Valois era quello di affermare in Europa un predominio statale dando fondamento all’Autorità del sovrano attraverso la legittimazione divina.

Ricercavano in questo l’appoggio della Chiesa che non poteva negarglielo poiché era una garanzia per mantenere uno stabile presidio in  Europa, non solo sotto il punto di vista del potere temporale, ma anche per contrastare il diffondersi del luteranesimo.

Grazie a questo connubio di interessi, si assisterà al passaggio, in Francia prima e in Europa poi, da una monarchia feudale ad una monarchia in senso assoluto, fino ad arrivare, nel 1648, e in seguito alla pace di Westfalia, alla nascita dello Stato in senso moderno.

L’impianto burocratico e amministrativo che si andava creando in quegli anni resterà invariato fino alla Rivoluzione Francese, ma  al termine di questa, di fatto, verrà restaurato e dovrà pertanto attendere la fine della Prima Guerra Mondiale per vedersi definitivamente sconvolto.

In questo contesto dunque, la nostra Viterbo ospitava uno dei Capitoli più importanti della Storia dei rapporti fra Stato e Chiesa.  

Stando alle testimonianze di allora, raccolte da Feliciano Bussi, la città di Viterbo subì il passaggio dei Lanzichenecchi, alleati degli Asburgo e vicini alla causa del luteranesimo, che proprio in quell’anno erano diretti a Roma per saccheggiarla.

 I Lanzichenecchi, guidati dal Connestabile di Borbone, irruppero nella porta di Santa Lucia e misero sotto scacco la città per ben tre giorni. Clemente VII inviò un commissario per difendere Viterbo ma questi, stando alle testimonianze raccolte dal Bussi, era vecchio e non sembrava in grado di gestire la situazione. Questa venne invece dominata dal Gran Maestro, che era per l’appunto il capitano del popolo. L’Isle Adam armò i viterbesi e mise in sicurezza la Rocca aiutato da Gabriele Martinengo che si era distinto, tra le altre cose, anche durante l’assedio di Rodi.

Si deve quindi all’Ordine gerosolomitano la difesa delle reliquie sante: la Croce, la Madonna di Filermo ed altri tesori sacri conservati presso la chiesa di San Faustino, che l’Isle Adam fece trasferire e nascondere nella Rocca. La geniale intuizione del Gran Maestro, infatti, fu quella di non essersi fidato del Connestabile di Borbone che aveva garantito che Viterbo non sarebbe stata toccata dai lanzichenecchi, ma solamente attraversata. Quando di fatto iniziarono i saccheggi e le ruberie, le reliquie sante non vennero trovate da quei barbari che contavano, nelle loro fila, tedeschi, spagnoli ed italiani.

Quello che il Gran Maestro dell’Ordine di Gerusalemme seppe fare per Viterbo, e per la Chiesa di Roma, non ha eguali nella Storia. Il suo impegno, non da tutti conosciuto, ha reso un onorevole servizio alla cristianità e a quello che sarebbe diventato l’Ordine di Malta.

La Viterbo del 1527 assistette, e visse in prima persona, quell’episodio che numerosi storici, tra i quali Bertrand Russell, hanno  associato alla fine simbolica del Rinascimento.

Bibliografia:

-        Roma: rivista di studi e di vita romana, editori F.lli Palombi, Novembre 1929, Numero 11.

-        Feliciano Bussi Istoria della Città di Viterbo, 1737, ristampa a cura di Nabu Press, 2011.

-        http://www.ordinedimaltaitalia.org/index.php/delegazione-di-viterbo-rieti-storia

-        Renata Ago, Vittorio Vidotto: Storia moderna, edizioni Laterza, 2015