Tuscania STORIA
Alessandro Gatti

Tuscania coperchi di sarcofagi, 17 Novembre 1967

Il desiderio di ricerca e l’amore per la Storia, vivificati nel Settecento, spinsero la museografia vaticana ad interessarsi della cultura etrusca tanto da arrivare a custodire e tutelare significativi esempi del patrimonio culturale ed identitario italiano.

“Un solo di siffatti monumenti ( che ne pensino gli stranieri) è l’ornamento più bello e pregiato di che possano mai ornarsi i più famosi musei d’Europa”.
Luigi Lanzi storico della lingua etrusca.

Nella Sala degli Animali, del Museo Pio-Clementino, troviamo il gruppo scultoreo del “Gatto che sbrana un pollo”.

L’opera venne rinvenuta nei pressi di San Martino al Monte, vicino Tuscania, e donata al Cardinale Filippo Antonio Gualtiero, interessante figura di collezionista italiano.

Il Cardinal Gualtiero ( 1661-1728) fu anche un diplomatico, nunzio apostolico in Francia alla corte di Luigi XIV. Per molti anni frequentò la corte degli Stuart ed è passato alla storia come ricercatore e collezionista d’arte.

Le sue origini sono umbre, essendo figlio del gonfaloniere di Orvieto e di una nobile di Todi. Attualmente è sepolto presso il Duomo di Orvieto nella cappella di San Brizio.

Fatto cardinale da Papa Clemente XI servì dapprima come Cardinale Protettore di Scozia poi, come Cardinale Protettore di Inghilterra.

Ricevette numerose onorificenze come ad esempio quella di membro onorario dell’ “Académie des Inscriptions et Belles-Lettres”, di Commendatore dell’Ordine del Santo Spirito, Abate di Saint-Remy, Reims, e di Saint-Victor-lès-Paris.

Il sarcofago del “gatto che sbrana un pollo”, uno dei pezzi di spicco della collezione privata della famiglia Gualtiero, venne acquistato nel 1772 dai Musei Vaticani e restaurato  da Gaspare Sibilla, che lo integrò con vari rifacimenti.

Così cita la nota dei lavori del Sibilla:

Ristauro del gatto che sbrana il pollo situato fra gli animali all quale sono state fatte di nuovo le orecchie, e la coda,e  la testa del pollo con parte della ala destra, e un buon pezzo di scoglio, e tutto il zoccolo, e fatti di tutti li descritti pezzi prima li modelli e forme, e getti come sopra stabilito il tutto per il prezzo di scudi quindici”.

Sulla scia di questa sensazionale scoperta, si innesta la storia del Museo Gregoriano Etrusco, istituito da Papa Gregorio XVI, nel 1837, presso i Musei Vaticani.

Pochi sanno che esso fu voluto, caldeggiato e promosso dalla famiglia dei Campanari; studiosi, archeologi, antiquari e commercianti di Tuscania.

Nel Museo sono presenti opere ritrovate presso Vulci, Bomarzo, Tuscania, Poggio Buco, Ischia di Castro.

Tra i reperti più significativi, rientranti tra le scoperte archeologiche dei Campanari, figurano il “sarcofago dalla tomba dei Vipinana” ed il monumento fittile( plasmato in terracotta secondo la tecnica etrusca) dell’ ”Adone morente”.

In seguito giungeranno presso i Musei Vaticani altri sarcofagi scoperti dalla famiglia Campanari tra il 1839 ed il 1843.

In riferimento a questi due sarcofagi e ad altri due, che si trovano al museo di Sintra, in Portogallo, Secondiano Campanari scrisse un noto articolo nel 1855 di cui riportiamo alcuni dei passi salienti.

“Ma se è vero, siccome è verissimo, che l’agiatezza e la possanza di un popolo si misura dalla grandezza anzi della grandiosità de’ suoi monumenti; qual è di grazia maniera di sepoltura più splendida più nobile e solenne (…) di quella usata da’ tuscanesi di tumulare i cadaveri?”

Qui emerge una testimonianza storiografica di un uomo che toccò con mano il sapore arcaico della Storia in tutta la sua contemporaneità.

In quella tomba, dove rinvenne i sarcofagi, il Campanari assaporò il valore di un popolo che ha tramandato la sua civiltà.

Le tecniche di inumazione degli Etruschi mostrano un approccio artistico e culturalmente contemporaneo.

Il Campanari prosegue la sua testimonianza omaggiando l’arte pittoresca delle urne e la sapiente dedizione dei decori sui sarcofagi.

“(…) Grosse e massicce urne di pietra dove scolpito sono fatti mitologici, miti religiosi, umani sacrifici, scene iliache ad archeontiche allusive al trapassare delle anime da questa ad altra vita migliore (…) Lasciate che di poca bontà e poco gentile ne sia la materia; poiché l’artefice etrusco non usò che raramente il marmo e solo allo spirare della toscana potenza vi portò scarpello, effigiandovi greche favole, o riti funebri nazionali; questo tempestar di scolture semplici urne sepolcrali non ti porge la giusta idea della grandezza di un popolo? (…)”

Le parole dell’archeologo sono manifestazione di fascino e stupore nel constatare come, arcaici popoli, potessero manifestarsi alla memoria dei secoli attraverso tecniche e approcci socio-culturali così avanzati per la loro l’epoca.

Nelle testimonianze dei sarcofagi di Tuscania si fa, attraverso le memorie di Secondiano Campanari, esperienza diretta di come l’arcaico non sia sinonimo di arretratezza, bensì di anticipazione.

Un germoglio maturo preludio per una civiltà gloriosa.

Per ulteriori approfondimenti:

- Tuscania: tra antichità e valorizzazione. Un patrimonio da scoprire. Atti del IV convegno sulla storia di Tuscania.

- Luigi Lanzi: "Saggi di antichità" e "La storia pittorica".

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