Viterbo STORIA
Alessandro Gatti

Tuscania, Santa Maria Maggiore

Giuseppe Giontella, dall’analisi del registro di Depositeria e delle Reformationes integranti i dati degli introiti e delle uscite del Comune di Tuscania, ricostruisce le abitudini sociali e le condizioni economiche della quotidianità bassomedievale.

Durante tutto l’Alto Medioevo Tuscania aveva rappresentato una delle più estese diocesi a Nord di Roma, situata nel cuore del Patrimonium S. Petri  in Tuscia.

La giurisdizione era amministrata dagli Episcopes Tuscanes che estendevano la loro influenza dal tratto di litorale tirrenico, tra le foci del Mignone e della Fiora, fino all’isola Martana nel lago di Bolsena.

Nel corso del XII secolo, grazie allo sviluppo della via Cassia, Viterbo sottrarrà visibilità a Tuscania in termini di importanza logistica per i collegamenti con Roma. Nonostante tutto gli abitanti di Tuscania vanteranno, per il loro comune, fino a quasi tutto il XV secolo, l’appellativo di “civitas” al pari di Viterbo e Corneto (Tarquinia) e a differenza delle altre province che erano, per lo più, “castra”, “oppida” o “terrae”.

Tuscania rappresentava un crocevia strategico diramando da se stessa sette strade chiave per i traffici politico-economici: una ad Est verso Viterbo, una a Sud-Est verso Respàmpani , Vetralla e Blera; un’altra detta tutt’oggi “Dogana” che collegava Tuscania a Montalto passando per la dogana del bestiame.  Altre due diramazioni collegavano la “civitas” a Piansano, Arlena, Canino, Valentano, Ischia e Farnese. Un ultimo snodo, infine, collegava Tuscania a Bolsena, Montefiascone, Bagnoregio ed Orvieto.

L’importanza degli studi di Giuseppe Giontella è rappresentata da un approccio empirico che, partendo dall’osservazione dei registri contabili del comune di Tuscania, giunge a svelare vere e proprie ricostruzioni fedeli riproponendo spaccati di vita quotidiana.

Nell’analisi di Giontella ci si sofferma sui dati relativi al XV secolo e, più nello specifico, quelli inerenti al biennio 1453-1454. I dati del  “Depositeria” menzionano le riscossioni dovute alle “gabelle” e quelle dell’ “erbatico”.

Le prime erano imposte, molto odiate, abusive ed onerose, con le quali venivano tassati scambi e consumi di merci. Nel diritto tributario francese ed italiano indicavano le imposte indirette su scambi e consumi, non a caso “gabella” vuol dire in latino “versamento”.  Trae la sua origine dal diritto romano e, dopo essere stata abolita, venne riabilitata tra XII e XIII secolo.  

L’”erbatico”, invece, rappresentava il diritto feudale di raccogliere l’erba nei fondi altrui essenzialmente facendovi pascolare il bestiame. Questa pratica comportava una tassa che i vassalli pagavano al barone per poter usufruire dei suoi pascoli. Poteva anche intendersi, però, un tributo da dare al comune in questione per l’usufrutto di uno spazio pubblicamente messo a disposizione.

Le tracce lasciate sui registri contabili della Tuscania quattrocentesca ci permettono di vedere nomi e cognomi dei mercanti che pagavano i tributi per commerciare; ci permettono di studiare i comportamenti sociali della società mercantile dell’epoca. I libri contabili, sotto l’incalzante approccio dell’analisi storiografica, divengono  una sorta di negativi di pellicole cinematografiche circa gli usi e i costumi di un popolo commercialmente attivo e di una società che, a dispetto dei ciclici e sporadici declini, sembrava decisamente fulgente.

Troviamo ad esempio i salari del Gonfaloniere del popolo, del Podestà e del Cancelliere.  Dai dati delle imposte si capisce chiaramente come una cospicua entrata derivasse dalla Dogana del bestiame. I tuscanesi, infatti, non potendo accedere liberamente ai pascoli del comune volgevano continue richieste al Papa. Quest’ultimo darà loro ragione e condannerà il Doganiere a pagare una multa di indennizzo al Comune di Tuscania, con l’unica clausola che quest’ultimo lo usi per riparare le mura difensive. 

Dagli altri dati si evince quanto fosse la portata delle gabelle e che queste erano gestite in appalto dai latifondisti locali e dall’alta borghesia artigiana. Quest’ultimi, dunque, per logica deduzione, erano gli arbitri di tutta la vita economica della cittadina e ricoprivano costantemente le varie magistrature comunali.

Nella voce “altre imposte” dei registri emergono evidenze circa le doti, le trattative di compravendita dei terreni e dei fabbricati. Ogni attività svolta costituiva un gettito fiscale e un versamento agli appaltatori delle gabelle. Dalle imposte per le esportazioni (pro tracta) e da quelle per le importazioni (pro immissione) si evince che il vino, ad esempio era tassato maggiormente all’importazione.

Questo perché il Comune intendeva, dal momento che godeva di ottima produzione, evitare che venisse acquistato e consumato vino dall’esterno. I registri sono dunque dei dati importantissimi per capire la politica economica della cittadina e come questa regolava i suoi traffici commerciali.

Sono state desunte unità di misura e prezzi delle merci e vengono perfino menzionati svariate volte alcuni mercanti, provenienti soprattutto da Orvieto, che sembravano ormai di casa nella vita mercantile di Tuscania. Per il gabelliere era rischioso stabilire imposte per le merci non agricole, quelle quindi che non erano di produzione locale, in questo caso era spesso raggirato. Ben più difficile era raggirare l’esattore nel caso di bestiame e merci agroalimentari locali dove false dichiarazioni e sotterfugi erano più facilmente smascherabili.

Le numerose disposizioni minacciose attestano che il gabelliere era spesso raggirato tramite una totale elusione della sorveglianza. I registri testimoniano multe frequenti e gente che, colta dalla paura e dal rimorso, si recava per costituirsi e pagare quanto dovuto. E’ infatti riportato sotto un ritardo di pagamento la seguente dicitura “…voleva exonerare animam suam”.

Compaiono inoltre multe ai macellai per essersi sottratti alle norme sulla lavorazione della carne e ai tributi dovuti per il loro esercizio assieme alle sanzioni per chi pascolava di frodo.  Altra osservazione interessante da fare è che si produceva molto grano, ma i dati mostrano che non se ne esportava nulla e quindi la politica economica locale imponeva che questo dovesse essere venduto al Governatore del Comune stesso.

Una scoperta sociale di notevole importanza che emerge dai dati contabili è che, all’infuori dei pascoli e delle coltivazioni, l’economia di Tuscania si reggeva sulla lavorazione del lino e questa era totalmente affidata alle donne. Si desume la questione poiché erano esse stesse che si curavano di pagare la gabella dovuta. 

Il fascino di questo studio consiste, a nostro avviso, nel potere comunicativo  e descrittivo dei dati contabili che, se letti con il filtro dell’analisi storico-investigativa, possono tradursi in un cesellato canovaccio narrativo per la stesura di un vero e proprio Romanzo Storico.

Quest’ultimo è in grado di tramandare nei secoli il sapere e la coscienza in merito agli stili di vita e alle usanze di secoli fa. Allo stesso modo delle ceramiche, dei geroglifici e delle pitture a muro, i libri contabili depositati negli archivi storici delle Province d’Italia offrono spunti di riflessione, analisi, ed indagine storiografica.

Per approfondimenti in merito rimandiamo al testo da cui la monografia del Giontella è tratta, redatto dall’Istituto storico italiano per il Medioevo dal titolo: Cultura e società nell’Italia medievale. 1988.

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