Messina STORIA
dott. Giuseppe Di Prima
Pubblichiamo questo interessante studio del dott. Giuseppe Di Prima, prestigioso nostro collaboratore, lo pubblichiamo in sette parti, una al giorno. Ringraziamo il dott. Di Prima per averci concesso la pubblicazione.

La medicina popolare ha uno spiccato valore storico e una profonda ragione di esistere. La medicina popolare è espressione di conoscenze rimaste allo stato primitivo.

Come la maggior parte delle storie, anche questa comincia con: C’era una volta… alle radici dell’umanità, un popolo primitivo che dalle piante ricavava cibo, fibre per vestirsi, legno da ardere o da costruzione.

Dall’osservazione del mondo animale nel quale, allora come oggi, le piccole e grandi creature sapevano individuare, indirizzate dall’istinto, la giusta pianta per il dato male, ebbe l’intuizione di ricorrere alla erbe per sanare le ferite e i mali del corpo Il tutto aveva un approccio di tipo magico e miracoloso, per secoli medicina e magia sono andate di pari passo.

Documenti storici come il papiro egizio di Smith risalente al 3000 a.C. o il papiro di Ebers (1500 a.C.), testi assiro-babilonesi come la tavoletta di Ninive ci mostrano quali livelli di conoscenze avesse l'uomo sulle erbe e le patologie da esse curate. Dalle popolazioni preistoriche che nelle malattie potevano reagire solo ed esclusivamente ricorrendo alla natura, nacque quindi la medicina naturale  

L’argomento è talmente sconfinato e intricato come la più grande delle foreste, neppure del tutto esplorata. Non c’è civiltà che in ogni tempo non abbia riconosciuto e apprezzato il valore delle proprietà benefiche di erbe e piante.

Pensare al momento in cui nasce nell’uomo la consapevolezza degli effetti benefici che le piante hanno sull’organismo, significa tornare alle radici stesse dell’umanità, a quell’era preistorica.

Risalgono all’età del rame e del bronzo, ritrovamenti in palafitte di noccioli di Prunus spinosa, bacche di Sambuco e semi di Papavero, destinati probabilmente a usi salutistici.

Lo studio di vari specialisti ci dà conferma di come il rapporto con la vegetazione sia stato determinante per quelle popolazioni, non ultime e solo per caso, con l’utilizzo dei princìpi medicinali.  

Se i reperti possono solo fare ipotizzare quelli che furono i primi passi che lentamente porterà l’uomo a distinguere le piante utili da quelle dannose e l’erboristeria a nascere, con l’avvento delle civiltà antiche iniziano anche le trasposizioni scritte dell’uso delle erbe.

Volgendo lo sguardo ad oriente, dal 6500 a.C. si sviluppa l’impero cinese.  Qui, con millenni di anticipo rispetto al mondo occidentale, fiorì una civiltà grandiosa e illuminata. L’intuizione e l’inventiva si declinarono ovviamente anche nella sfera medica.

La vastità del territorio e la diversità dei climi favorirono la nascita di svariate metodiche di cura: massaggi, ginnastica, manipolazioni, agopuntura, furono codificate nell’articolata medicina tradizionale cinese.

In campo erboristico i cinesi, la cui farmacopea è sconfinata, non ebbero mai, e tutt’oggi non hanno, eguali. I più remoti riferimenti giungono però a noi in forma di tavolette di argilla, dall’antica Mesopotamia.

I caratteri cuneiformi di una tavoletta testimoniano di come i Sumeri (civiltà che si sviluppò a partire dal 5000 a.C. tra il Tigri e l’Eufrate) fossero a conoscenza delle proprietà curative di diverse piante, tra cui il Salice, il Fico, e il Mirto.

I Babilonesi poi ebbero a loro disposizione una quantità impressionante di piante; tavolette babilonesi menzionano, tra le altre, la Belladonna, la Canapa indiana, l’Oppio, e la Cassia, che conoscevano e utilizzavano. 

Risale al 2800 a.C. il Pen T’sao, il più grande trattato di fitoterapia cinese, noto anche come “la più antica farmacopea conosciuta”, che conta quarantadue libri, nei quali sono trattate più di mille piante e il cui autore riporta oltre undicimila ricette mediche.

Continua domani 25 Marzo

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