Viterbo STORIA
Mauro Galeotti

Mastro Titta al secolo Giovanni Battista Bugatti

Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta era nato Senigallia il 6 marzo 1779 e morì a Roma il 18 giugno 1869, e noto anche in romanesco come "er boja de Roma", fu un celebre esecutore di sentenze capitali dello Stato Pontificio.

La sua carriera di incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte durò ben 68 anni ed iniziò all'età di 17 anni, il 22 marzo 1796 fino al 1864 raggiunse la quota di 514 sul proprio taccuino, Bugatti annotò 516 nomi di giustiziati, ma dal conto vengono sottratti due condannati, uno perché fucilato e l'altro perché impiccato e squartato dall'aiutante.

Le sue prestazioni sono difatti tutte annotate in un elenco che arriva fino al 17 agosto 1864, quando venne sostituito da Vincenzo Balducci e papa Pio IX gli concesse la pensione, con un vitalizio mensile di 30 scudi.

Condannati a morte a Viterbo. Volevo ricordare alcuni dei condannati a morte, che furono giustiziati a Viterbo per mano di Mastro Titta.

Francesco Pretolani impiccato e squartato il 21 Febbraio 1801 per avere rapinato e ucciso un oste con sua moglie.

Domenico Guidi impiccato il 18 Dicembre 1802 per omicidio fu la 56ª esecuzione del carnefice, che iniziò la sua attività nel 1796. Scrive Mastro Titta «Dovetti portarlo su di viva forza per la scala, mentre il mio aiutante lo sorreggeva per le gambe».

Giovan Domenico Raggi e Giuseppe Cioneo, impiccati il 5 Marzo 1803 per omicidi e rapine.

Carlo Desideri, Luigi Brugiaferro e Giovanni Mora, uccisi impiccati e squartati per rapine il 16 Ottobre 1816.

Martino Sabatini e Andrea Ridolfi, impiccati e squartati per rapine il 22 Aprile 1818.

Angelo Antonio Piccini di Blera, impiccato il 12 Dicembre 1819 per delitti e rapine e per il barbaro omicidio della signora Bonfiglioli.

Leonardo Narducci, impiccato e squartato il 26 Ottobre 1820 per omicidi e rapine.

Giuseppe Bartolini, decapitato il 30 Aprile 1822 per rapine ed omicidi.

Domenico Piccioni di Caprarola, assassino, decapitato il 24 Maggio 1823.

Lorenzo Raspante, decapitato il 6 Maggio 1826 per omicidio.

Domenico Caratelli e Giuseppe Bianchi di Velletri, decapitati per rapine il 17 Aprile 1838.

Dal 30 Luglio 1842 all’8 Ottobre 1853, quando se ne fecerro tre, non avvennero esecuzioni.

Crispino Bonifazi, condannato il 25 Giugno 1855, per aver ucciso la madre e, sempre lo stesso giorno, Francesco Bertarelli e Antonio Moschini entrambi per rapina e decapitato Giovanni Cruciani di Rieti.

Giosuè Mattioli, condannato per rapine nel 1855.

Benedetto Ferri e Salvatore Tarnalli, condannati per rapina il 30 Giugno 1855.

Giuseppe Bertarelli, di 22 anni e Carlo Camparini, decapitati il 23 Giugno 1858 per omicidio e rapina.

Giuseppe Lepri di Civitella d’Agliano, rapinatore condannato a morte il 17 Settembre 1859 assieme a Pietro Pompili, anche lui di Civitella, morti impenitenti.

Questi i morti ammazzati da Mastro Titta a cui successe Vincenzo Balducci, il quale a Viterbo giustiziò il condannato Salvatore Silvestri, il 17 Febbraio 1866.

Scrive Giuseppe Signorelli:
«I decapitati erano accompagnati dalla Confraternita della Misericordia, che li prendeva in custodia fin dalla sera innanzi [il giorno della decapitazione], e procurava a mezzo di alcuni zelanti confortatori d’indurli a confessarsi e comunicarsi, facendo trascorrere loro l’intiera notte in orazioni. 

Avvenuta la decapitazione, le teste per un’ora rimanevano esposte al pubblico ed allora era un affollarsi intorno a quelle per bagnare nel sangue, che ne sgorgava, fazzoletti, pezze ecc. che dovevano essere un preservativo contra la morte violenta!

Venivano poi i cadaveri processionalmente condotti a seppellire nella chiesa di S. M. di Valverde detta volgarmente la chiesa dei giustiziati. Se poi qualcuno moriva impenitente, la compagnia della Misericordia lo abbandonava, e la polizia prendeva cura che i resti mortali fossero sepolti nel cortile delle carceri».

Prima dell’esecuzione capitale venivano raccolte dalla Confraternita somme di danaro che servivano per celebrare le messe in suffragio dei condannati ed i vestiti di quest’ultimi venivano presi dalla Confraternita medesima.

La Confraternita della Misericordia vestiva di sacco nero e per questo fu anche detta dei Negri. 

Fu fondata a Viterbo nel 1479 ed occupò la Chiesa di santa Maria della Ginestra per ben assolvere al suo fine caritatevole, che era quello di preparare alla buona morte i condannati alla pena capitale e di seppellirli.

I confratelli avevano l’obbligo di vivere onestamente, di non avere concubine, di non giocare, di visitare i carcerati e di portare conforto ai condannati a morte che venivano seppelliti nella vicina Chiesa di santa Maria di Valverde, quella subito fuori Porta Faul.

Un fatto curioso: in una cassetta, riposta sotto l’altare, conservavano le corde utilizzate per impiccare i condannati!

Scriveva Giulio Signorelli, morto nel 2014.

La fontana e la casa del boia
 
Si racconta che ai tempi del Papa Re, Viterbo, allora capoluogo della Provincia del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, avesse una sua ghigliottina, che veniva sistemata in piazza della Rocca per le esecuzioni delle pene capitali (taglio della testa).
 
Addetto al non invidiabile compito c’era un boia la cui casa era collocata fuori delle mura della città a debita distanza (circa due Km).
 
Dopo l’esecuzione, il boia si incamminava verso casa portandosi dietro la testa del giustiziato che lasciava presso la Chiesa dei Giustiziati [santa Maria di Valverde] che corrisponde all’edificio fuori Porta Faul sulla destra, dove sarebbe stato sepolto e proseguiva per la strada Bagni in direzione della propria casa.

Giunto a destinazione utilizzava la fontana che sgorgava nei pressi e si rinchiudeva nella sua casa provvista di barriere protettive per difendersi da eventuali malintenzionati.

Questi luoghi, oggi anonimi, sono finiti a margine di svincoli stradali e vengono ricordati per il rispetto che si deve alla loro storia.