Villa san Giovanni in Tuscia STORIA D'AMORE
Micaela Merlino

Graffiti a Pompei

I Romani non festeggiavano un “Giorno degli innamorati”, ma l’amore era comunque uno degli aspetti più importanti della loro vita. Ne fanno fede i tanti graffiti ritrovati a Pompei, che mettono in luce i vari accenti del sentimento amoroso.

I muri di Pompei, la città che il 24 agosto del 79 d.C. fu distrutta dalla catastrofica eruzione del Vesuvio, erano colmi di graffiti scritti dai “writers” dell’antichità. In brevi ed incisive frasi viandanti di passaggio, o abituali frequentatori delle strade e delle piazze della cittadina campana, esprimevano i loro pensieri e le loro riflessioni circa il senso dell’esistenza, la politica, i fatti quotidiani e tanti altri aspetti della vita. Tra questi un posto speciale era riservato al tema dell’amore: c’era chi scriveva frasi che esprimevano sentimenti delicati, puri e poetici, chi invece con cinico disincanto identificava l’amore con il desiderio, e senza censure scriveva parole disinibite, spesso anche volgari.

Forse mentre stava vivendo gli inizi di una storia d’amore qualcuno scrisse: “Gli amanti sono come le api, vivono la loro vita nel miele”, volendo esternare al mondo la sua felicità. Ma qualcun altro più disilluso di lui, che passando lesse la frase ironicamente aggiunse “Magari!”. Anche a Pompei esisteva una “Geografia dell’amore”, cioè luoghi nei quali gli innamorati si intrattenevano per scambiarsi dolci parole ed innocenti effusioni di affetto. Proprio come accade oggi, essi sentivano l’irresistibile bisogno di lasciare un segno della loro presenza scrivendo sui muri.

Così su una parete della Palestra Grande si legge: “Antioco si è intrattenuto qui con la sua Citera”, mentre sul muro di un altro edificio: “Qui Romula si intrattiene con Stafilo”. Ad ogni innamorato la sua donna appare la più bella di tutte, così in un graffito leggiamo: “Chi non ha visto la Venere dipinta da Apelle, guardi la mia ragazza, lei risplende al pari di quella”.

Effettivamente il complimento più bello che si potesse fare ad una donna a quel tempo, era paragonarla alla bellissima dea Venere. Candidamente audace ma non volgare, fu forse un giovane che, pur mosso da una lacerante passione, scrisse: “Chi trascorrerà con te la notte in un sonno felice? Potessi essere io, di certo sarei molto più felice!”. Ma l’amore non è sempre rose e fiori, perché anche a Pompei molte donne erano “mobili qual piume al vento”, con grande disappunto di tanti amanti prima illusi e poi respinti. I muri diventavano, perciò, i ricettacoli della rabbia di chi era stato scaricato, e frequenti erano le ingiurie rivolte contro la dea Venere, arbitra delle vicende amorose di ciascuno.

Su un muro si legge: “Alla dea Venere voglio spezzare le costole a colpi di bastone e storpiarle i fianchi; se lei può trafiggere il mio tenero cuore, perché io non dovrei spaccarle la testa con il bastone?” Frequenti dovevano essere pure gli amori adulteri. Un amico premuroso che credeva di fare un favore ad un suo conoscente, o forse soltanto uno spione che voleva colpire un suo avversario coprendolo di ridicolo, scrisse che la moglie se la intendeva con un tale, aggiungendo compiaciuto “Ora ne sei al corrente!

A Pompei, come nella stessa Roma e in tutte le altre città dell’impero, spesso l’amore non aveva nulla a che fare con i sentimenti, identificandosi soltanto con il desiderio fisico. Perciò proliferavano le prostitute, che vendevano i propri corpi nei lupanari o presso i crocicchi delle strade. Anche loro si facevano pubblicità scrivendo sui muri: “Schiava si offre per due monete” informa un graffito, un prezzo popolare alla portata dei più. Ma non c’erano solo donne a buon mercato, infatti si potevano trovare anche prostitute raffinate.

Eutichide scrivendo su un muro della Casa dei Vettii ci tenne a sottolineare che lei era “Greca e di maniere garbate”, insomma una cortigiana ante litteram che sapeva intrattenere con raffinatezza i suoi clienti. Però la prostituta più famosa e più ricercata era una certa Euplia, il cui tariffario era più alto, cinque assi, ma nonostante ciò si legge che “Migliaia di uomini valenti si sono uniti a lei”. Non va dimenticato che in molti casi la prostituzione era un prodotto delle grandi disuguaglianze sociali esistenti nella società romana, e della diffusa povertà di gran parte della popolazione.

Molte donne per non morire di fame, o comunque per emanciparsi da condizioni economiche assai precarie, erano disposte a vendere il proprio corpo, come fa intendere un semplice ma inquietante graffito scritto sulla porta di una casa: “Sono tua per una monetina”. Una monetina forse per comprare almeno un po’ di pane per mangiare. Bisogna anche tenere presente che molte prostitute erano schiave costrette a “fare la vita” dai loro padroni, che si arricchivano sfruttandole.

Però nelle città romane anche le donne potevano trovare giovanotti pronti a far loro trascorrere ore piacevoli. Su un muro Glicone informò il gentile sesso che le sue prestazioni costavano solo due assi, la metà del “gigolò” Marittimo. Ovviamente non è un mistero che tra i Romani erano molto diffusi anche i rapporti omoerotici, dei quali si trova traccia pure nei graffiti. Non mancavano dei veri e propri “filosofi di strada”, cioè coloro che esternavano profonde riflessioni sull’essenza dell’amore e sulla sua caducità, scrivendo ad esempio: “Nulla è possibile che duri in eterno, il sole che già alto splendeva, eccolo immergersi nell’abbraccio del mare, e in falce si muta la luna ancora piena un attimo fa. Allo stesso modo l’impeto dei venti spesso si muta in leggera brezza”.

L’amore è come il vento, passioni laceranti col tempo possono diventare tenui fuocherelli, ma non per questo non si deve amare! Anche perché l’affetto vero, invece, non muore mai. Miracolosamente i graffiti pompeiani, inghiottiti anch’essi sotto strati di lava, sono giunti fino a noi per perpetuare il ricordo di persone che si cercarono, si amarono, vissero insieme o si lasciarono, uomini e donne dai cuori colmi di sentimenti ed emozioni, proprio come noi.

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