Viterbo STORIA
Stefano Aviani Barbacci

 

27 maggio 2013: il senatore John Mc Cain incontra a Idlib la leadership jihadista

Idlib è una città della Siria nord-occidentale di oltre 100.000 abitanti ed è il capoluogo del Governatorato omonimo. Venne conquistata dai miliziani islamisti del Fronte Al-Nusra e del Free Syrian Army tra il febbraio e l’aprile del 2013. Prossima al confine turco, divenne ben presto il più importante retroterra logistico della “primavera araba” in Siria, accogliendo un flusso ininterrotto di miliziani, armi e munizioni provenienti dalla Turchia. Considerata “sicura”, accolse, nel maggio del 2013, anche la visita di John Mc Cain, figura bipartisan del Senato degli Stati Uniti e inviato speciale dell’allora presidente Barak Obama.

La guerra era iniziata da poco più di un anno e quelli avvicinati dal senatore Mc Cain a Idlib erano personaggi per lo più sconosciuti all’opinione pubblica. Non così Muhammad Noor (membro del Fronte Al Nusra / Al Qa’da in Siria) figura già nota alle cronache a causa del suo coinvolgimento nel sequestro di 11 pellegrini libanesi.

Ci fu dunque chi denunziò l’inviato della Casa Bianca alla magistratura libanese, avendo appreso dai giornali che si era incontrato con un terrorista sul quale pendeva un mandato di cattura. Mc Cain si schernì al suo ritorno affermando che aveva stretto la mano a dei “bravi ragazzi (…) e a dei moderati di cui ci si poteva fidare”, ma che non poteva essere certo dell’identità di tutti i convenuti.

Furono divulgate le foto dell’incontro, vi si riconoscono personaggi che avrebbero avuto un ruolo di primo piano nel proseguo del conflitto. Nella foto riproposta in questo articolo si riconoscono i seguenti (da sinistra a destra): Abu Mousa, già membro di Al Qa’da, poi field commander dell’ISIS; Abu Ibrahim Al Badri, membro del Free Syrian Army e in seguito Califfo del Daesh col soprannome di “Al Baghdadi”; il senatore John Mc Cain (l’uomo delle “primavere arabe”…); Selim Idris, già colonnello nel Syrian Arab Army e poi comandante in capo del Free Syrian Army; Razan Shalab Al Sham field director del SETF (Syrian Emergency Task Force) la ONG creata dal governo americano nel 2012 per sostenere il regime-change in Siria, la medesima organizzazione che aveva curato l’organizzazione del meeting.

Idlib è ancora oggi sotto il controllo di quelle sigle qaediste che le “grandi democrazie” (complici i media e alcune ONG) hanno accreditato ormai come “opposizione armata al regime siriano”. Vi si applica fanaticamente la sharia e la popolazione è sotto minaccia costante di morte, anche per le ricorrenti faide interne tra miliziani di differenti etnie ed affiliazioni. Idlib è l’ultimo significativo bastione dei “ribelli moderati” (che i Siriani chiamano beffardamente “i terroristi buoni”) ed è lì che ora dirigono le truppe del Syrian Arab Army (l’esercito di Damasco).

 

21 gennaio 2018: i Siriani liberano l’aeroporto di Abu Duhur sulla strada per Idlib

Cancellato il Califfato dalla Siria nell’autunno del 2017, a seguito della doppia campagna di Raqqah e Deir Ezzor (liberate rispettivamente dai Curdi e dai Siriani), i reparti più affidabili del Syrian Arab Army sono stati presto trasferiti dalla valle dell’Eufrate alla Siria occidentale.

La nuova offensiva ha avuto inizio dopo Natale (rallentata a metà gennaio dal maltempo) e i lealisti hanno investito la parte orientale del Governatorato di Idlib da sud (da Hama) e da nord (da Aleppo). Il 21 gennaio, le truppe scelte del generale Suheil al-Hassan penetravano nella strategica base aerea di Abu Duhur. Il giorno successivo reparti siriani provenienti da molteplici direzioni, dopo aver aggirato le difese avversarie, chiudevano in una vasta sacca almeno 1.500 miliziani qaedisti ben muniti di artiglieria e carri armati. Le recenti operazioni hanno ridotto della metà la distanza tra Idlib e l’esercito siriano; hanno riportato sotto il controllo del governo di Damasco il 30% del Governatorato; hanno messo fine alla pressione che Hay’at Tahrir al-Sham (ultima denominazione del Fronte Al Nusra / Al Qa’da in Siria) continuava ad esercitare contro Aleppo, sempre pericolosamente esposta perché vicina alla linea del fronte. Gli ultimi villaggi liberati di cui si ha notizia sono tutti lungo una direttrice che porta da Abu Duhur a Idlib.

Rimasti accerchiati dopo la liberazione di Abu Dhur, i “ribelli siriani” si sono divisi in due fazioni, la più forte delle quali (oltre 900 combattenti) ha dichiarato la propria adesione all’ISIS e ha schiacciato quella che ancora si identificava come Hay’at Tahrir al-Sham. La popolazione locale sembra percepire che si è alla vigilia di una svolta decisiva e, in alcune località tuttora controllate dai “ribelli siriani”, ha dato luogo a manifestazioni in favore del presidente Bashar Al-Assad. Le notizie più recenti parlano di un intensificarsi dell’attività aerea siriana e russa contro le nuove posizioni di Hay’at Tahrir al-Sham ed è probabile che Damasco intenda cogliere il momento favorevole e proseguire l’offensiva fino a Idlib.

 

 

Il potente carro armato Leopard-2 di cui la Germania rifornisce l’esercito turco.

Il successo siriano ha suscitato disappunto nel governo turco, il quale ha intimato a Damasco di interrompere immediatamente le operazioni militari. Erdogan ha minacciato la Russia di ritirarsi dai colloqui di pace di Astana e l’esercito turco è penetrato nel territorio della Siria a nord di Aleppo. I Turchi sembrano determinati a espugnare Afrin, una città difesa dal Yekineyen Parastina Gel (YPG) la milizia curda di autodifesa. Le brigate del Free Syrian Army (nel quale militano mercenari turkmeni, caucasici e turchi) si sono prontamente affiancate alle truppe regolari di Ankara.

Difficile comprendere a cosa miri Erdogan. Si accontenterà di occupare temporaneamente una qualche “fascia di sicurezza” per espellerne i Curdi o intende impossessarsi di qualche città della Siria come Manbij, Afrin o addirittura Aleppo? Dietro l’invasione c’è un tacito accordo con altri Paesi oppure Erdogan gioca solo per sé stesso? Quali che siano le risposte, vediamo un Paese della NATO, già candidato ad entrare nell’Unione Europea, le cui forze armate sono equipaggiate con armi tedesche e americane, violare il confine di uno stato sovrano riconosciuto dall’ONU e intimare ad altri militari della NATO (specialisti e istruttori americani) di lasciare in fretta le città di Manbij e di Afrin. Naturalmente il Comando Generale della NATO non fa nulla, e le reazioni dei governi europei appaiono deboli (per non dire di facciata). Washington invia segnali confusi e non potrebbe essere altrimenti: la presente amministrazione ha armato i Curdi, ma nel medesimo tempo tenta di trattenere la Turchia all’interno dell’Alleanza Atlantica. Dunque, dalle parti di Afrin, Turchi e Curdi si combattono con le medesime armi: quelle americane.

La presenza turca nel nord della Siria (come quella delle Syrian Democratic Forces a est dell’Eufrate) rappresenta un forte motivo di preoccupazione ed ha il significato di una ventata di gelo su quelle speranze di pace che la sconfitta dell’ISIS aveva suscitato lo scorso autunno. Come si è avuto modo di osservare in altre occasioni, i gruppi terroristici operano come “compagnie di ventura”, organizzate o sostenute (e qualcuna sfuggita forse di mano…) da Paesi interessati alla destabilizzazione e allo smembramento della Siria. Alcuni, purtroppo, non sembrano ancora stanchi di 7 anni di guerra e rimpiazzano ora con i propri militari i propri terroristi, e pretendono sfacciatamente delle compensazioni dopo il fallimento di una guerra da loro stessi provocata. Dunque, è triste constatare che se la guerra prosegue è ormai solo a causa di un tale contesto.

 

Rosso: territorio controllato dal governo siriano; Arancio: territorio controllato dai Curdi; Verde: territorio controllato dai “ribelli moderati”. Nero: territorio controllato dall’ISIS.

Frecce Rosse: offensiva siriana verso Idlib. Frecce Verdi: attacchi turchi contro Afrin.