Villa san Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino, archeologa

Helga Deen e Edith Stein

Due donne diverse per età ed esperienze di vita, accomunate però da un terribile destino: essere ebree perseguitate. Nel “Giorno della Memoria” ricordiamo il loro sacrificio e quello di tante altre donne, e uomini, umiliate ed uccise.

…Ho divorato la tua lettera a grandi morsi, e poi ancora una volta e ancora una volta, sempre più lentamente, finchè ogni parola mi entrava dentro”, scrisse la diciottenne Helga Deen rispondendo ad una missiva del suo ragazzo Kees van den Berg. Espressioni di una ragazza innamorata, nulla di particolarmente insolito se non fosse che quella lettera le era stata recapitata nel campo di concentramento di Vught, dove dal 1° giugno 1943 era stata deportata e rinchiusa insieme ai suoi genitori e al fratello.

Ero singhiozzante, tumultuosamente in lacrime, perché la tensione era allentata”, continuò a scrivere Helga. La ragazza stava vivendo giorni terribili. Poco prima a Vught si era consumata una tragedia nella tragedia, alla quale aveva assistito con grande pena. Il 6 e il 7 giugno centinaia di bambini e di adolescenti erano stati fatti precipitosamente salire su alcuni convogli, insieme ad almeno un genitore, e trasferiti al campo di Sobibòr, dove arrivarono l’8 giugno (da quel campo nessuno più uscì vivo).

Helga prese coscienza non solo di essere testimone oculare di una immane catastrofe, ma iniziò a temere che il macabro destino di annullamento totale sarebbe stato riservato anche a lei e alla sua famiglia. Per continuare a sentirsi viva e per non perdere la speranza di poter uscire presto da lì, cominciò a scrivere un diario, come fece anche Anna Frank, una testimonianza che si è miracolosamente salvata perché qualcuno riuscì a portarlo fuori dal lager e a consegnarlo a Kees, che lo conservò per molti anni. Poco dopo la sua morte fu pubblicato dapprima in Olanda, poi in Germania e nel 2009 anche in Italia con il titolo “Non dimenticarmi. Diario dal lager di un’adolescenza perduta”.

Intense e strazianti sono anche le lettere che Helga scrisse a Kees, e ad alcuni amici durante la sua detenzione: “Quello che abbiamo passato in questo mese è indescrivibile e per chi non lo abbia vissuto in prima persona inimmaginabile. Un mese è diventato un secolo. E’ un incubo terribile, da cui non ti svegli e in cui tuttavia, per quanto le cose vadano bene o male, continui a scivolare.” Helga era nata nel 1925 a Stettino, allora città della Germania, da una famiglia ebrea. Suo padre Willy Deen era olandese ed esercitava la professione di chimico, la madre Kathe Wollfe aveva la cittadinanza tedesca ed era medico. Nel 1928 nacque suo fratello Klaus.

A causa della prepotente ascesa del Nazismo, nel 1933 la famiglia si stabilì a Tilburg in Olanda, città natale di Willy. Ma dieci anni dopo, il 10 aprile 1943, in piena guerra un provvedimento antisemita vietò agli ebrei di risiedere nel Brabante settentrionale. Il 1° giugno successivo tutti gli ebrei lì residenti furono deportati nel campo di concentramento di Vught. La disperazione degli internati era ai massimi livelli, e il 3 giugno Helga annotò nel diario ciò che l’aveva colpita di più, il comportamento delle donne: “Mio Dio, da ieri dopo che ci hanno tolto i pidocchi è tutto così orrendo. (…) Quelle grida isteriche, quella mancanza di disciplina. Cerco di lasciarmi scivolare addosso tutto quel chiasso, per quanto possibile, anche se bisogna avere dei nervi d’acciaio per riuscirci”. Una ragazza vivace, con tanta voglia di vivere, strappata al suo amore, alle sue amicizie, e alla quale fu per sempre rubato il presente ed il futuro. “Libertà”.

Una parola racchiudente una realtà che ad Helga apparve ogni giorno più preziosa di un diamante, ma ormai irraggiungibile come un sogno ed evanescente come un miraggio. Così scrisse il 12 giugno a Kees: “Ogni giorno vediamo la libertà al di là del filo spinato. C’è anche un sentierino contornato di arbusti e betulle, che finisce molto in lontananza in un campo di grano. Spesso vagheggio che tu lo trovi e che io possa vederti comparire alla sera…”. “Libertà”. Un anno prima di Helga ad un’altra donna, come a migliaia di altre, furono negate la libertà e la dignità. Una donna che, proprio come Helga, era stata costretta a rifugiarsi in Olanda. Edith Stein era nata a Breslavia nel 1891 dagli ebrei Sigfrido e Augusta Courant, ultima di sette figli, ma era rimasta orfana di padre a due anni.

Dotata di straordinaria intelligenza e sete di conoscenza aveva frequentato l’Università a Gottinga, e lì era stata allieva del filosofo Edmund Husserl del quale poi divenne assistente fino al 1918. Il momento di svolta esistenziale si verificò nel 1921 quando, dopo aver letto la biografia di S. Teresa d’Avila, da atea qual era si convertì al cristianesimo, ricevendo il battesimo il 1° gennaio 1922. Intrapresa l’insegnamento a Spira, nel 1931 divenne lettrice presso l’Istituto di Pedagogia Scientifica nella città di Munster, ma nel 1933 fu costretta a dimettersi a causa delle leggi razziali volute da Hitler.

Profondamente scossa per l’ascesa del Nazismo in Germania, il 12 aprile 1933 scrisse una lettera a Papa Pio XI, per esortarlo a prendere posizione denunciando l’ideologia antisemita di Hitler e dei suoi seguaci: “Padre Santo! (…) Da settimane siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo. (…) per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli ebrei. Ora che hanno ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci (…) raccolgono il frutto dell’odio seminato. (…) Non solo gli ebrei ma anche migliaia di fedeli cattolici della Germania (…) da settimane aspettano e sperano che la Chiesa di Cristo faccia udire la sua voce contro tale abuso del nome di Cristo. (…) Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico (…) non è in assoluto contrasto con il comportamento del nostro Signore e Redentore, che anche sulla croce pregava per i suoi nemici?”.

Una lacerante contraddizione, contro la quale Edith si scagliava con veemenza. Il suo percorso spirituale la portò nel 1934 ad entrare nell’Ordine delle Suore Carmelitane Scalze del monastero di Colonia, prendendo il nome di Teresa Benedetta della Croce. Ma poco dopo il suo Ordine per metterla al riparo dal pericolo nazista, la trasferì ad Echt in Olanda. Il 20 luglio 1942 la Conferenza dei Vescovi olandesi ordinò che in tutte le chiese della Germania fosse letto ai fedeli un proclama di condanna dell’antisemitismo e del razzismo, predicati e messi in atto dai nazisti. La vendetta di Hitler non tardò a manifestarsi: il 26 luglio ordinò che tutti gli ebrei olandesi convertiti al cristianesimo fossero arrestati.

Il 2 agosto ad Echt suor Teresa Benedetta e sua sorella Rosa furono prese dalla Gestapo e internate nel campo di Westerbork, poi il 7 furono trasferite ad Auschwitz. “Occhi negli occhi”: quelli dei carnefici che guardavano con odio i detenuti. Nei lager la crudeltà disumana aveva anche volti di donne, infatti vi operavano le guardie femminili delle SS, violente come gli uomini. Ad Auschwitz vi era, tra le altre, una aguzzina dai capelli biondi e dai tratti somatici delicati ma di temperamento spietato, si chiamava Charlotte. Picchiava i detenuti e le detenute per un nonnulla, e con gusto sadico aveva addestrato il suo cane di grossa taglia ad assalire e mordere i prigionieri ad un suo cenno.

Proprio qui nell’inferno di Auschwitz, il 9 agosto 1942 suor Teresa Benedetta e sua sorella Rosa persero la vita finendo nella camera a gas. Il 9 giugno 1939 suor Teresa Benedetta aveva scritto il suo testamento, dove si legge: “Già ora accetto con gioia, in completa sottomissione e secondo la Sua santissima volontà, la morte che Iddio mi ha destinato”. “2 luglio 1943”: quasi un anno dopo la morte di suor Teresa Benedetta, un convoglio partì da Vught per il campo di concentramento di Westerbork portandovi la famiglia Deen. “Un altro convoglio e questa volta ci saliamo anche noi”, scrisse Helga il 1° luglio 1943 nell’ultima pagina del suo diario. “Non ho più paura, non esistono più cose terribili per me, le cose più impossibili sono diventate possibili. Eppure ne uscirò fuori.”, scrisse lo stesso giorno in una lettera indirizzata all’amica Henneke Gerritsen. Ma non fu così. Il 13 luglio la famiglia Deen fu trasferita nel campo di concentramento di Sobibòr.

L’8 luglio la ragazza scrisse l’ultima lettera a Kees, nella quale traspare la struggente nostalgia per tutto ciò che aveva dovuto lasciare, e la curiosità di sapere se, invece, lui ed i suoi amici continuavano la vita di sempre: “Fate delle passeggiate e state spesso insieme? (…) Come stanno tutti i miei luoghi preferiti intorno al Galgenven? Se è possibile, allora una volta mi spedite delle foto di tutti i miei luoghi preferiti e di voi?”. Quelle foto non le avrebbe mai viste, né avrebbe mai più ascoltato il dolce sciabordio delle onde dell’incantevole laghetto Gelgenven.

Il 13 luglio la famiglia fu trasferita nel campo di concentramento di Sobibòr, e il 16 luglio Helga e i suoi cari finirono tragicamente le loro vite in una camera a gas. Edith-suor Teresa Benedetta della Croce, filosofa, teologa e mistica, canonizzata l’11 ottobre 1988 da Papa Giovanni Paolo II e proclamata “Patrona d’Europa” nel 1999, continua a parlare come donna, come religiosa e come studiosa soprattutto attraverso le sue molte ed importanti opere. Di Helga, invece, resta il breve ma struggente diario scritto durante la detenzione nel lager. Di entrambe rimangono anche alcune fotografie, che ritraggono i dolci lineamenti dei loro volti e gli occhi con sguardi intensi che sembrano esprimere un desiderio: “Non dimenticateci”.

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