Viterbo STORIA VISSUTA
Tratto dall’opera “Lo scrigno” di Maria Antonietta Ellebori

Nel 1948 i bambini di periferia dove Zoe abitava ricevevano i doni soltanto dalla Befana, mentre festeggiavano il Santo Natale ed il Capodanno secondo le tradizioni familiari e religiose, ma senza alcun regalo.

Nel paletto che rinforzava la porta, i maschietti trovavano appesi le pistole, i fuciletti di legno, la cartucciera ed il cappello da cow-boy di cartone pressato, e la stella di latta dello sceriffo: le stesse cose, più tardi, sarebbero diventate la maschera del carnevale.

Le femminucce, invece, avevano la bambola di celluloide, con i capelli e gli occhi disegnati, che roteavano soltanto gambe e braccia; per quelle benestanti c’erano quelle di porcellana, con i capelli di seta ed il vestito di raso, che, muovendole avanti ed indietro, aprivano e chiudevano gli occhi dicendo “mammà”, portate a passeggio in una carrozzina, che ricopiava il modello di quelle standard del momento.

Secondo il disegno che ancora si trascinava dalla mentalità degli anni del regime, praticamente i giocattoli rappresentavano i simboli dei ruoli futuri: il guerriero pronto a lottare e dominante sull’altro sesso, per i maschi; la donna madre prolifica e “regina della casa” e cioè tuttofare in famiglia, per le femmine.

Le bambine si aggiravano nel cortile, mal celando l’ostentazione fanatica nell’accrescere la personale autostima dal confronto con le bambole altrui; se il riscontro era inferiore, l’espressione del viso mal celava la delusione e l’invidia.

Pertanto le ragazzine giocavano alle “signore”, mentre i ragazzini emulavano la guerra, rincorrendosi e nascondendosi, e sparando miccette con grande frastuono.

E Zoe?

Zoe, in quel giorno, …. non metteva il naso fuori dalla porta!

Era terrorizzata da quegli scoppietti, anche se sapeva che non ferivano realmente, e non si affacciava neanche alla finestra.

Inutili i richiami degli altri per farla scendere.

Tutti sapevano della sua paura e non aspettano altro che di vederla , già pregustando la sua reazione, spinti da quel sadismo impietoso, come sanno elargire alcuni bambini verso la fragilità dei coetanei, o per intaccare la serenità di un carattere tranquillo che a loro difetta; sembrava che, per tutto l’anno, quelli avessero aspettato quel giorno soltanto per deliziarsi del … terrore della coetanea.

La Befana aveva portato a Zoe un bambolotto di celluloide, che lei vestiva con gli indumenti dismessi della sorellina appena nata, rimandando a tempi migliori i giochi con le compagne.

Da tempo il pericolo sembrava scomparso, non si avvertiva nell’aria l’eco di quegli spari ed il cortile era tranquillo.

Reclamata con insistenza da alcune amichette, pensò che, finalmente, fosse giunto il momento di giocare.

Stava scendendo verso l’androne in penombra delle scale, quando all’improvviso sbucarono due “ingarzuliti” pistoleri armati; il frastuono secco ed acuto delle miccette esplose si ingigantì nella tromba delle scale, mentre Zoe risaliva di corsa i gradini, inciampava, si rialzava, ed il bambolotto cadeva dalla rampa.

Si udì un gran botto: il giocattolo di celluloide era letteralmente esploso.

Impaurita, incollerita e delusa dal coinvolgimento complice delle “amichette”, bussò freneticamente alla porta di casa sua, mentre i ragazzini la rincorrevano, sparando a più non posso.

Fece appena in tempo a chiudere loro lo stipite su viso, davanti alla mamma che assisteva sconcertata; scoppiò a piangere per la cattiveria di quei bambini ed il tradimento delle compagne, ma era soprattutto dispiaciuta per aver perduto il gioco a cui teneva … l’unico che le avesse portato la Befana.

La donna la consolò con la promessa di rimediare .. in qualche modo.

Il mattino dopo, al risveglio, Zoe trovò una sorpresa ai piedi del letto.

Durante la notte la madre aveva confezionato una bambola di pezza, con gli stracci a disposizione: i lineamenti del viso erano disegnati con il lapis copiativo, gli occhi avevano le ciglia rivolte all’insù, la bocca sorridente, il naso si intuiva in due grossi punti blu, mentre i capelli “arricciati” erano stati ricavati dalla manica di un maglione, appositamente disfatta, nell’intento di dare l’ondulazione alla chioma, ed il risultato sembrava proprio veritiero.

Quando Zoe la strinse al petto la sentì morbida e calda, ancor più … per il fatto che l’aveva manipolata la sua mamma.

La chiamò Anna, come un’amichetta trasferitasi un un’altra città ed ormai perduta di vista, ma che le mancava.

Le venne da pensare: “Se quei bambini non avessero causato quel putiferio, ora non avrei questa!” e la simpatia nei loro confronti prevaricò il disappunto.

Non provò più eguale emozione per altri regali che ricevette negli anni a seguire e la bambola di pezza rappresentò, per molto tempo, il suo gioco preferito: le fece prendere dimestichezza anche con ago e filo, quando le confezionava, si fa per dire, i vestiti con alcuni avanzi di stoffa che conservava religiosamente in una scatola di scarpe.

Con il senno di poi, Zoe capì che non erano gli scoppietti che la terrorizzavano, ma la violenza e l’aggressività che veniva fuori da quei bambini.

Durante le lezioni scolastiche di filosofia, finalmente, una frase diede un senso al suo disagio infantile, poiché recitava: “La libertà di movimento del mio pugno dipende dalla distanza del naso del mio vicino!”

E’ una citazione di Karl Popper, vissuto nel secolo ventesimo e considerato, tra le altre cose, il filosofo ed epistemologo della società aperta, come nella quotidianità dovrebbe essere vissuta da ciascun abitante del pianeta, secondo l’interpretazione e l’applicazione di questo valore.

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