Viterbo LA STORIA DI VITERBO
Mauro Galeotti (dal libro L'illustrissima Città di Viterbo)

 

Mura castellane nel tratto da Porta di Pianoscarano a Porta Fiorita verso il 1950

Mura da Porta di Pianoscarano a Porta Fiorita

Prima menzione delle mura che vanno da Porta di Pianoscarano a Porta Fiorita è nell’anno 1095, allorquando fu scavato il fossato al di fuori delle stesse.

Francesco Cristofori asserisce, senza prove, che nel 1118 papa Gelasio II fece restaurare le mura con tanto di Bolla. Invece Andrea Scriattoli sostiene che le mura furono erette nel 1148. Cesare Pinzi, nella sua guida di Viterbo del 1905, scrive che nel 1148 i consoli del Comune acquistarono il Plano Scarano, Pianoscarano, dai Monaci di santa Maria della Cella, dipendenti da Farfa, come, infatti, risulta dalla Margarita viterbese e, probabilmente, in quel tempo fu costruito il muro castellano da Porta Fiorita a Porta di Valle. Fatto sta, comunque, che solo nel 1187 si dette inizio alla costruzione del Borgo di Pianoscarano, detto anticamente Ascarano, ed è quindi presumibile che le mura siano state erette dopo quell’anno.

E’ da dire che i Romani erano tranquilli nelle loro battaglie coi Viterbesi solo se questi avevano le mura a terra e, purtroppo, durante il trascorrere del tempo, non di rado, questo tratto di mura subì demolizioni e riedificazioni. Alla Città di Viterbo tale affronto fu fatto, nel 1233, da papa Gregorio IX, quando volle concludere l’eterna rivalità tra Roma e Viterbo, facendo scaricare questa parte di mura per indebolirla ed umiliarla. Qualche anno dopo, nel 1236 papa Gregorio venuto a Viterbo, vide le mura smantellate e, probabilmente perché pentito o per ingraziarsi i Viterbesi, ordinò che fossero ricostruite a sue spese col pettorale. Vi furono spesi ben quarantamila marchi.

La ricostruzione fu quanto mai opportuna perché, va ricordato che, su tutto questo tratto di mura nel 1243, l’imperatore Federico II fece schierare le sue truppe per assediare Viterbo.
Ma non tutti i papi sono uguali e nel suo pontificato papa Onorio IV (1285 - 1287), per attirarsi le simpatie dei Romani, atterrò di nuovo le mura di Pianoscarano, fatte ricostruire poi sotto papa Bonifacio VIII. Ma il fare e disfare non era ancora terminato, infatti, dopo l’episodio del cagnolino lavato nella Fontana di Pianoscarano, papa Urbano V, nel Settembre 1367, fece scaricare le mura gettando a terra tutti i merli. Furono ricostruite per meglio difendere la città e, nel 1459, si fecero delle guardiole, una delle quali si trovava «presso la fonte della Mazzetta». L’8 Maggio 1578 viene fatta menzione del barbacane «che stà dal fosso in giù verso la porta di san Pietro».

Nella Pianta di Viterbo del Ligustri, del 1596, su questa parte di mura, non risultano torri, ma due avanforti.
Il 15 Ottobre 1603 il Consiglio generale, da una relazione stilata da una commissione appositamente nominata, venne a conoscenza dello stato precario delle mura.
«La muraglia appresso la porta di piano scarlano volendola assicurare non bastano ducento scudi, imperò con ducento cinquanta si anderà raccomandato, dove è più necessità».

Il pericolo di crollo delle mura fu esposto nel Consiglio generale del 24 Luglio 1606, dove si fa presente che «Li Signori Maestri di Strada hanno dato il memoriale che si legge. Li dev/mi Maestri di Strada della Città, raccordano di nuovo alle SS.VV. Ill/me che fuori della porta di Piano Scarlano a’ mano manca, vi è una parte de Muraglia della Città di molta consideratione, che dalli fondamenti minaccia ruina, et si non se gli da di conto aggiusto, potrebbe di facile rovinare et mettere quest’Ill/ma Communità in necessità di spendere qualche migliaro, et migliaro di scudi, ove hoggi vi si potrebbe provedere con poca spesa et questo loro fanno per debito del loro offitio et per che vedono la rovina avvicinarsi molto».

Un po’ di anni dopo, il 24 Settembre 1642, i conservatori della Città ordinarono, causa lo scoppio della guerra tra Castro ed il papato, «Che si risarcisca la rottura del Torrone del Barbacane della Vanna a’ cranito [Craniso]» ossia presso la Fontana di Capone sull’attuale Via dei Giardini.
Finalmente, il 24 Dicembre del 1691, si decise di mettere mano seriamente al rifacimento delle mura nelle parti che presentavano evidenti minacce di crollo.

«Gl’Ill/mi sigg. […] Conservatori del Popolo […] concedono il risarcimento della muraglia castellana sopra il barbacane del Bartolomeo Casini Pettirossi, livellario dell’Ill/ma Communità alli mastri Domenico Butii e Tommaso Rosini muratori con l’infrascritti patti e conditioni:
Che li suddetti mastri muratori debbano aggiustare li squarci e rotture che sono nelle muraglie castellane sopra detto Barbacane, cioè lo scuarcio o rottura appresso la fontana di canne dieci in circa e l’altro piccolo sopra ad essa e l’altro vicino alla Porta d’Ascarano già principiato di canne 4 in circa et aggiustarsi tutti bene ad uso d’arte, il tutto murato in calce con farvi il suo fondamento di larghezza d'un palmo lontano dalla muraglia e tirarlo su ad uso di scarpa.
Che debbano dar principio a detto lavoro al principio dell'anno venturo et haver terminato detto lavoro e perfettionato dentro il mese di gennaio 1692.
Che detti lavori li debbano fare a tutta loro robba eccetto che de sassi quali si dovranno cedere di quelli cascati e non bastando si debbono pigliare dove li sarà ordinato da Deputato di Fabrica.
Che l’Ill/ma Communità debba dare per detti lavori scudi nove et adesso darli scudi quattro per comprare la calce et il resto darglielo quando sarà terminato detto lavoro», lo stesso giorno i conservatori elessero «pro assistente detto reaptamento muri castellani D. Bartolomeo Pettirossi».

Sulla torre demolita, della quale restano solo le fondamenta, presso l’arco della Fonte di Capone, era un piccolo stemma di Enea Silvio Piccolomini, simile a quello sul Palazzo dell’Abate, sormontato da una croce, un cappello e con i fiocchi laterali terminanti con tre pennacchi, da me fotografato nel 1973. In seguito è stato rubato o disperso; è rimasto solo lo spazio dove era murata la pietra. Presso la torre è ancora oggi un interessantissimo spartitoio d’acqua eseguito con feritoie ricavate nella pietra viva.

A Pianoscarano, tra Porta Fiorita e Porta del Carmine, dal 16 Aprile 1983 fino al 1985, sono state mal restaurate le mura. Poi, nell’Aprile 1987, è stato compiuto uno scempio, infatti, l’Amministrazione comunale ha fatto coprire il Torrente di san Pietro, che scorre sotto l’antico arco in peperino della condotta d’acqua, e vi ha realizzato una strada intitolata Via di Porta Fiorita. 

Lo scempio sta nell’aver demolito l’antemurale caratterizzato da numerosi antichi archetti costruiti per lo scolo delle acque provenienti dal soprastante barbacane. Al suo posto è stato eseguito un anonimo muro di sostenimento del soprastante barbacane. Di quegli archetti sono rimaste alcune foto che, fortunatamente, scattai il 23 Aprile 1973, ma un danno maggiore si è verificato ventiquattro anni dopo. Infatti, il 19 Gennaio 1997, per circa quarantaquattro metri, è crollato il tratto di mura presso Porta Fiorita.

Dopo aver eseguito lo sgombero delle macerie e l’accantonamento dei sassi per ricollocarli a dimora, sono state ricostruite parte delle fondamenta. In seguito i lavori sono stati interrotti e ripresi nel Maggio 1999; sono di nuovo fermi sin dal Giugno seguente.

Un anno dopo le mura sono ancora a terra, nonostante le promesse, per la loro immediata ricostruzione, da parte di più uomini politici. Dal taglio creato sulla cortina, si nota che l’interno delle mura è in tufo, foderato con pietra di peperino.