Villa san Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino, archeologa

Betlemme, interno della Grotta della Natività

La nascita di Gesù è narrata dagli Evangelisti Matteo e Luca. Quali sono i resti archeologici riferibili a questo evento ancora esistenti a Betlemme?

Ma da te, Betlemme di Efrata, la più piccola tra le città di Giuda, da te uscirà per me colui che dovrà regnare su Israele!”, questa la profezia pronunciata da Michea nella seconda metà dell’ VIII secolo a.C.

Il re annunciato dal Profeta fu identificato con Gesù, che nacque proprio a Betlemme nella regione meridionale di Giudea, un piccolo paese adagiato sulla sommità di due colline ad un’altezza di circa m. 800 s.l.m. e distante 8 km da Gerusalemme.

Questa località fu scenario di diversi avvenimenti narrati nell’Antico Testamento, tra cui la morte e la sepoltura di Rachele, moglie di Giacobbe, e la storia di Ruth e di Bootz, ma la sua importanza è legata soprattutto al fatto che diede i natali a Davide, che qui fu poi consacrato re da Samuele (1 Sam. 16, 1-13).

Questo dato è importante perché anche Gesù dal punto di vista umano discendeva dalla stirpe di Davide: concepito nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, senza seme maschile, in virtù però del regolare matrimonio tra la ragazza e Giuseppe, suo padre putativo, acquisì la discendenza davidica, stirpe dalla quale secondo le antiche profezie sarebbe sorto il Messia.

Ciò è messo in rilievo dalle due genealogie riportate dagli Evangelisti Matteo (1, 1-16) e Luca (3, 23-38). “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo…” scrisse Matteo (Mt 1,1) che alla fine aggiunse: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale nacque Gesù, che è chiamato Cristo” (Mt, 1, 16).

Gli scavi archeologici condotti a Betlemme hanno messo in luce che nei secoli X-VIII a.C., la città si trovava in cima alla collina posta ad est rispetto alla Basilica della Natività, e che le grotte sottostanti erano usate come abitazioni. Secondo una tradizione secolare la grotta dove nacque Gesù è da identificare in un piccolo antro di forma quasi rettangolare (m. 12,30 x m. 3,5), diviso in due zone: la porzione dove Maria partorì il Bambino, ora segnata da una stella d’argento recante un’iscrizione in latino che ricorda l’evento; e la porzione di fronte identificata con la mangiatoia nella quale la Vergine depose il neonato, dopo averlo avvolto in fasce.

Né Matteo né Luca, però, pongono la nascita di Gesù in una grotta: Matteo non dice in quale luogo preciso di Betlemme essa avvenne, mentre la descrizione di Luca è un po’ più ricca di particolari. A causa di un editto dell’imperatore romano (Augusto) che ordinava “il censimento di tutta la terra”, fatto “quando Quirinio era governatore della Siria”, Giuseppe insieme a sua moglie Maria che era incinta, lasciarono Nazaret città nella quale entrambi erano nati e dove vivevano, per recarsi a Betlemme perché Giuseppe “…era della casa e della famiglia di Davide”. Ma “Mentre si trovavano là, giunse per lei il tempo di partorire e diede alla luce il suo figlio primogenito. Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’albergo” (Lc. 2, 1-7).

In realtà la parte finale della frase, in greco, potrebbe essere anche tradotta come “…perché per loro non c’era posto nella stanza”. Dunque Luca menziona quale luogo di nascita di Gesù o un albergo (locanda) o una stanza, non una grotta. Secondo il Prof. Jerome Murphy O’ Connor, domenicano, si potrebbe immaginare una casa con una sola stanza, una sorta povero “monolocale”. C’è da notare che un tempo a Betlemme molte case erano costruite sopra le grotte, e tali ambienti ipogei erano utilizzati o come stalle per il ricovero degli animali, o come magazzini.

La grotta come ambiente nel quale nacque Gesù è invece menzionata nel Vangelo apocrifo denominato “Protovangelo di Giacomo”, testo che la Chiesa non riconosce come Parola di Dio rivelata. Tuttavia lo studio dei testi apocrifi riveste un’ importanza non secondaria, anche perché hanno ispirato molte iconografie sacre realizzate da artisti di fama. Il “Protovangelo di Giacomo” fu scoperto in Oriente nel 1535, e pubblicato per la prima volta nel 1552 dall’umanista francese G. de Pastel. Nel 1961 a seguito di un imponente studio filologico il gesuita E. de Stricker pose la sua redazione in Egitto nella seconda metà del II secolo d.C., dunque molto tempo dopo la nascita di Gesù. Oggi si accede alla grotta percorrendo due scale che fiancheggiano l’abside centrale della Basilica della Natività.

La genesi e lo sviluppo di questo edificio sono molto interessanti. Tra i provvedimenti presi nel 135 d.C. dall’imperatore Adriano, a seguito della rivolta giudaica del 132-135 d.C., ci fu anche l’espulsione degli Ebrei da Betlemme. Inoltre volendo cancellare non solo le vestigia ma perfino il ricordo del sito dove nacque Gesù, al di sopra dell’area della grotta fece piantare un boschetto consacrato al dio Adone. Così scrisse in una lettera San Girolamo (347-419 o 420 d.C.), uno dei grandi Padri della Chiesa latina, ricordando quella profanazione: “…Betlemme, ora il luogo più sacro per noi e per tutta la terra (…) fu oscurata da un boschetto di Thammuz, che è Adone, e nella grotta nella quale un tempo pianse il Messia bambino, si è piantato l’amante di Venere”.

Nel 326 d.C. l’imperatrice Elena, madre di Costantino il Grande, zelante cristiana, fece abbattere il boschetto e promosse su quel sito la costruzione di una Basilica, la cui consacrazione avvenne il 31 maggio 339 d.C. L’abside di forma ottagonale venne edificata al di sopra della sacra grotta, e ad essa si accedeva dal presbiterio tramite alcune scale. Nel centro c’era un’apertura larga circa m. 4, attraverso la quale essa era visibile.

Purtroppo di questo primo edificio resta solo una parte del pavimento a mosaico. Sia perché ormai la Basilica era troppo piccola, sia perché era stata rovinata nel 529 d.C. a causa della rivolta samaritana, l’imperatore Giustiniano nel 540 diede ordine di demolirla e “…di ricostruirla con tale splendore, grandezza e bellezza da non essere superata da nessun’altra chiesa, neppure nella città santa” (Eutichio, IX secolo d.C.).

Betlemme, facciata della Basilica della Natività

L’edificio fu allargato con la costruzione di un’altra campata, all’atrio fu aggiunto il nartece e il piano pavimentale fu rialzato di circa m. 1. L’abside ottagonale al di sopra della Grotta fu sostituito con una costruzione molto più ampia, articolata in un transetto a due absidi e in un’abside centrale di fondo. Fortunatamente nel 614 d.C. l’edificio si salvò dalla furia distruttrice dei Persiani, grazie alla presenza di scene decorative poste sulla facciata (che sostituì l’atrio originario), tra le quali una con l’adorazione dei re Magi, in tipico abbigliamento persiano.

Betlemme, interno della Basilica della Natività

Nel 639 d.C. ai Musulmani fu concesso l’uso del transetto meridionale per le necessità dei propri culti. Tra il 1165 e il 1169 la basilica fu restaurata grazie ad una collaborazione tra Franchi e Bizantini, ma dopo la caduta del Regno Latino avvenuta nel 1187, i Mamelucchi si disinteressarono completamente dell’edificio, le cui condizioni andarono sempre più degradandosi. La situazione peggiorò dal 1517 quando i Turchi Ottomani misero sistematicamente in atto ripetuti saccheggi.

Ancora oggi la struttura del corpo della chiesa è quella giustinianea del VI secolo d.C., ma alcuni interventi posteriori hanno in parte alterato sia l’architettura esterna che quella interna. Al tempo dei Crociati la porta di accesso principale fu ridotta ad un arco spezzato, poi fu di nuovo rimpicciolita per ordine dei Mamelucchi o dei Turchi; in età Medievale furono chiuse le navate. Dal 1130 alcuni Crociati decorarono con immagini di Santi la parte superiore dei pilastri in pietra calcarea rossa.

Sulle pareti della navata si vedono i resti della decorazione musiva fatta apporre durante i restauri del 1165-1169, con le seguenti scene: gli Antenati di Gesù; i Profeti dell’Antico Testamento, che siedono sopra l’albero di Jesse e ognuno dei quali reca un testo riferito a Gesù il Messia; sei Concili Ecumenici; sei Sinodi provinciali. A nord della “Grotta della Natività” si trovano altre grotte che probabilmente furono abitate nel I e II secolo d.C., come dimostra la presenza di murature databili in epoca precostantiniana, e il rinvenimento di ceramica databile in quel periodo; tuttavia hanno subìto sensibili modificazioni nel 1964.

In esse la tradizione riconosce, senza alcun fondamento certo, la cella di San Girolamo, la tomba del medesimo Santo, le tombe di Paola e di sua figlia Eustochio, discepole di San Girolamo, la tomba di Eusebio di Cremona, la cappella di San Giuseppe, la Cappella dei Santi Innocenti. Nel Vangelo di Luca si legge anche dell’arrivo dei pastori per adorare Gesù Bambino: “In quella stessa regione si trovavano dei pastori: vegliavano all’aperto e di notte facevano la guardia al loro gregge”.

A costoro apparve un Angelo che proclamò: “Oggi nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è il Messia Signore. E questo vi servirà da segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia.” Una moltitudine di creature celesti si unì all’Angelo intonando un canto di lode: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.

In seguito a questa rivelazione i pastori si recarono subito a Betlemme “e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia” (Lc. 2, 8-20). A circa 3 km a sud-est da Betlemme vi è il c.d. “Campo dei pastori”, dove si trova un’antica grotta e il Santuario del “Gloria in excelsis”, costruito nel 1953 da A. Barluzzi sul sito che la tradizione indica come l’accampamento dei pastori che ricevettero la rivelazione dall’Angelo. La sua architettura ha la forma di una tenda, perché vuole imitare la tipica abitazione dei pastori al tempo di Gesù.