Viterbo STORIA VISSUTA
Maria Antonietta Ellebori

1- Quando il Santo Natale si respirava già nell’atmosfera dei preparativi e lasciava il segno per tutto l’anno a venire
2 - Natale nella quotidianità del dopoguerra

Riassunto delle parti precedenti:

I preparativi al Santo Natale sono stati  espletati: i liquori ed i biscottini preparati, la Novena contemplata, la Messa di mezzanotte officiata  e …. finalmente è Natale. Come in una scena teatrale il sipario si apre nella casa di periferia, attuale ricovero per la famiglia numerosa, dopo il bombardamento che dell’altra ha lasciato soltanto le macerie, ma non ha distrutto  nelle persone l’antica spiritualità espressa con le tradizioni.

Natale 1948

Alle ore sei del 25 dicembre la madre di Zoe si alzava, quando ancora tutti dormivano.

Si rinchiudeva nel corridoio dove era stato ricavato un  cucinino,ed alla luce di una fioca lampadina, e si apprestava alla commenda che, negli ultimi anni, si ripeteva soltanto nelle due ricorrenze più importanti dell’anno: Natale e Pasqua.

Pertanto avvertiva la responsabilità che ogni cosa fosse elaborata nel migliore dei modi e senza incorrere in dimenticanze.

Preparava tutto il necessario sul pianale molto lungo che univa la stufa ed il lavandino di peperino; era il solo spazio da utilizzare per agevolare la preparazione culinaria di tutta la famiglia.

Intanto … pensava …

Ricordava il tempo che aveva preceduto la guerra, quando la quotidianità non era così grama, in una casa più comoda ed  uno stipendio, l’unico, ma che bastava a sostenere la famiglia nelle necessità di routine, anzi poteva anche accantonare qualche risparmio per eventuali imprevisti.

Ma la guerra aveva impoverito tutti, anche le istituzioni,  poiché anche la lira era stata svalutata, e la sua parsimonia sembrava essere stata … punita.

Sapeva che ci voleva del tempo, per ritornare a quella normalità che avrebbe rasserenato del tutto gli animi; intanto, ogni volta che doveva proporre una “ristrettezza” ancora più “ristretta” lei consigliava la pazienza nella speranza di tempi migliori, di cui ne garantiva la venuta, mentendo anche a se stessa.

Però una cosa non era stata danneggiata dagli eventi: la spiritualità, decisa da una interpretazione intelligente ed ingegnosa mirata a salvaguardarla, e che non avrebbe potuto essere alienata da alcuna privazione.

Oggi era un giorno importante per tutta la famiglia, non soltanto per… il pranzo speciale.

Con la semplicità che la distingueva aveva spiegato alle piccoline che  la nascita di Gesù aveva aperto ad una  “dimensione”  di vita diversa   all’esistenza umana. In parole povere aveva soltanto insegnato loro le stesse cose che aveva capito dalle omelie del sacerdote nelle messe domenicali: Dio aveva mandato Suo Figlio ad annunciare il Regno dei Cieli  ed a salvare l’umanità dal peccato, perché Lui ci amava  al punto di sacrificarlo per noi; e Lui ci invitava a prendere esempio e  ricambiarlo con lo stesso amore, da riversare su tutto quello che ci stava  intorno: i fratelli, gli animali e la natura.

Così, fin da subito, le bambine avevano assorbito questo semplice pensiero e lo avevano messo in pratica, come fosse la normalità più scontata.

Neanche la madre ne avrebbe immaginato le conseguenze negli anni a venire: aveva regalato loro un certo stile di approccio alla quotidianità, nella misura in cui le piccoline potevano viverla, ma ne avrebbe impresso la spiritualità futura, poiché quel pensiero si era somatizzato nelle loro personcine.

Si scosse dai pensieri e controllò che tutto fosse a portata di mano; accese il fuoco nella stufa a legna ed aspettò che il fuoco prendesse vivacità; al crepitio della legna mise una capace pentola di alluminio piena d’acqua su un buco del pianale, regolato da anelli movibili a seconda della dimensione della stessa; si impegnò tutta nella preparazione del pranzo di Natale, mentre i ricordi riprendevano a tenerle compagnia.

Quando la casa si era svegliata, ogni cosa era in itinere: il sugo borbottava nella terrina di coccio, la gallina ripiena bolliva, ed in due bricchi  si scaldavano il latte e l’orzo per la colazione di tutta la famiglia, mentre la napoletana già inzeppata di caffè attendeva sul pianale di marmo.

Non si mettevano i regali sotto l’albero, era un’usanza decisa all’epifania del 6 gennaio, in compenso le bambine scrivevano la letterina, da nascondere sotto il piatto del papà, che ogni volta faceva il sorpreso quando toglieva il piatto dove aveva già mangiato il primo.

Sulla tavola calava il silenzio, l’orecchio teso alle parole lette a voce alta, dalla promessa di essere più buone, più studiose, più educate agli auguri di una lunga vita a tutta la famiglia; ogni volta il contenuto si ripeteva ed ogni volta il genitore faceva il viso compiaciuto a gratificare le piccoline, sostenuto anche dal consenso di tutti gli altri, ed emozionate dall’essere al centro dell’attenzione.

Ecco, questo era l’unico regalo che portava il Santo Natale: la soddisfazione di essere considerati, poiché alle bambine non veniva mai chiesto un parere su  qualcosa, e  non per una trascuratezza affettiva, ma perché nelle famiglie l’usanza dettava obbedienza e silenzio filiale. 

Il pranzo di Natale si consumava nella tavola che riuniva tre generazioni; si mangiava il brodo di gallina con la stracciatella, le fettuccine con il sugo di rigaglie, la gallina ripiena con i broccoletti ripassati, poi seguivano la frutta secca e gli agrumi.

Nel pomeriggio la casa  sarebbe stata invasa da zii e cuginetti venuti per un’occasione importante: la tombolata.

Nella stanza sovraffollata si distribuivano i bicchierini agli adulti ed i biscottini ai bambini.

La tombola era sempre condotta da uno zio simpaticone e burlone, che prima di chiamare il numero estratto ne conclamava il significato dato dal gergo comune; si appoggiavano le cartelle ovunque ci fosse un posto: il pianale di un mobile, una sedia, il sofà, dato che,come è facile immaginare, tutto avveniva nella stanza che fungeva da salotto e camera da pranzo, e se i cartoncini per coprire i numeri si esaurivano si rimediava  con la buccia dei mandarini, così che nell’aria si disperdeva un piacevole aroma di agrumi che si mescolava a quello dei liquori versati dando luogo al tripudio di un odore particolare … l’odore del Natale.

Queste peculiarità rendevano cosi festosa l’atmosfera tanto da portare perfino una pausa agli animi maldisposti dai personali disagi.     

Si giocava fino alle 16.30, orario del Santo Rosario.

I bambini  e gli uomini seduti in terra, le donne sulle sedie o sul divano, tutti facevano circoletto alla nonna che ne iniziava la recita.

Anche se alcuni “estranei”sembravano arrancare tra le parole della lingua sconosciuta, era un bel momento per ciascuno; sembrava che il Santo Natale si concretizzasse in quel posto nel vero significato di famiglia.

Più tardi, prima di ritirarsi nelle proprie case, sarebbero passati a visitare il presepe della signora Maria, che per l’occasione lasciava la porta socchiusa, come ad un invito ad entrare.

Lo scenario, appena illuminato da una lampadina fioca e penzoloni al soffitto, la stessa di sempre, creava una cromaticità insolita al paesaggio, mentre l’odore del muschio ancora non completamente asciutto conferiva un non so ché di antico, che risultava accattivante.

In un angolo un piccolo tavolino era stato sistemato, dopo che un visitatore aveva portato una cartata di biscottini, così che gli altri ne avevano ricopiato l’esempio.

Ogni volta la padrona di casa diceva: “Non vi dovevate disturbare!”- ma il viso compiaciuto ne decideva il gradimento, più che  per la regalia quanto più per avere avuto la visita di così tante persone in un solo giorno, a dimostrazione di una considerazione tanto ambita  almeno … una volta l’anno.

Si rincasava per la cena dove il menù prevedeva gli avanzi, ben graditi, del pranzo.

Finalmente il letto dava sollievo alla madre di Zoe, stanca ma soddisfatta dell’andamento della festa, mentre  la rincuorava il pensiero che la prossima sarebbe stata tra quattro mesi, anche se nel frattempo altre incombenze giornaliere l’avrebbero coinvolta forse ancora di più e totalmente.

Con una preghiera ringraziava  il Signore, mentre si lasciava andare al torpore benefico di un  sonno ristoratore.

 

Tagliatelle al sugo di rigaglie:

In una terrina si fa versa un mezzo bicchiere d’olio; si aggiunge un piccolo cipollotto, i gricili, i bargigli e la cresta della gallina, i budellucci aperti e ben lavata nell’aceto e nell’acqua, tutti tagliati a pezzetti sottili, insieme ad un ciuffo di maggiorana e di timo tritati finemente. Appena il tutto comincia a rosolare sfumare con mezzo bicchiere di vino e lasciare rapprendere. Inserire il pomodoro ed una grattugiata di noce moscata; a scelta anche un piccolo peperoncino piccante.

Controllare per non far attaccare, lasciando cuocere per circa una mezz’ora. 

Nel frattempo preparare le tagliatelle, facendo sulla spianatoia una conca alla farina, aggiungere un uovo a testa ed incorporare un cucchiaino di miele ed un pizzico di sale; battere ed amalgamare, lavorando finché non risulta una massa morbida e liscia; stendere con il mattarello in una sfoglia sottile e tagliare a fettuccine.

Lessare la pasta in acqua bollente salata e condire con il sugo; cospargere di parmigiano o pecorino.

Brodo di gallina e gallina ripiena:

In mezzo bicchiere d’olio rosolare il fegato della gallina a pezzetti piccoli, un po’ di cipolla, e salare appena. In una terrina mettere del pane già ammollato e strizzato, unire i fegatini con tutto l’olio, il prezzemolo e l’aglio tritati fini, un uovo, una grattugiata di noce moscata, un pizzico di sale. Amalgamare bene.

Riempire la pancia della gallina e cucire la cloaca e l’apertura del collo in modo che il ripieno non fuoriesca.

Adagiare nella pentola di acqua già in ebollizione, aggiungendo tre pomodorini, una costa di sedano, una carota ed un cipollotto. Salare q.b., considerando che il brodo si dovrà restringere,  e lasciare cuocere per circa un’ora ( se la gallina è ruspante).

A cottura ultimata scolare e lasciare raffreddare.

Togliere i fili ed estrarre il ripieno, che dovrà risultare una massa compatta; metterlo in frigo per un’ora, in modo che risulti più facile tagliarlo a fettine.

Adagiare la gallina nella teglia e irrorarla con olio, con una spruzzatina di rosmarino e salvia; infornare per una mezz’ora nel forno già acceso, affinché la pelle diventi dorata e croccante. Volendo si può contornare di patate a spicchi, che asciugheranno il sugo e ne assorbiranno il sapore.   

Servire il piatto unendo ad ogni pezzo di carne una fetta di ripieno ed alcune patate.

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