Viterbo STORIA VISSUTA
Liberamente tratto dalle opere “I profumi semplici della vita” e “Lo scrigno” di Maria Antonietta Ellebori

Quando il Santo Natale si respirava già nell’atmosfera dei preparativi e lasciava il segno per tutto l’anno a venire, nei ricordi infantili di una bambina che li ha vissuti.

I Parte - L’Avvento

Dicembre 1948.

Nella cittadina erano ancora visibili i segni dei bombardamenti che l’aveva rasa al suolo.

Al rientro dallo sfollamento, agevolato dalla generosa ospitalità dei paesini del viterbese salvaguardati da un sito rupestre, la famiglia di Zoe aveva trovato soltanto le macerie della propria casa ed ora era alloggiata in una palazzina di periferia, lontana dal porto, obiettivo di interesse dei bombardieri.

Il rione accorpava molte famiglie con le stesse difficoltà e, forse, proprio questo aveva deciso un legame solidale tra tutte, comprese quelle poche già residenti.

Appena dopo qualche mese di convivenza, le donne erano diventate amiche ed i bambini giocavano insieme nel cortile, un campetto sterrato dove a tratti affioravano ciuffi di erbe selvatiche, a voler significare che comunque la vita continuava, pur nella desolazione lasciata negli animi dalle recenti esperienze più o meno traumatiche.

Il “piazzale”, come volgarmente era chiamato, era un posto ideale e sicuro per gli svaghi dei ragazzini: lontano dalla strada, a portata d’ “occhio” dalle madri, che dalla finestra potevano controllare e ritornare tranquille alle proprie faccende; così pure a portata di “voce” per sollecitare il riottoso rientro in casa, il più delle volte ad opera di ripetuti interventi.

Insomma si era stabilita una coesione tra le famiglie ed ogni avvenimento che riguardasse una di loro era coinvolgente per tutte.

Il Santo Natale era la festività più sentita, quella che lasciava i segni a lungo; forse perché era vissuto fin dai preparativi delle prime settimane di dicembre o forse ... per l’effetto propedeutico che elargiva agli animi?

La madre di Zoe componeva la “Corona dell’Avvento” con alcuni rametti rimediati dal papà nella macchia “dell’Infernaccio” dove raccoglieva funghi; lei la preparava alla vigilia della prima domenica di Avvento, dopo la cena, così che tutta la famiglia potesse assistere al rito …. e sì, perché quello era considerato un vero e proprio rito; era una composizione rustica, dentro una ciotola di coccio, ove risaltavano le palline rosse del pungitopo tra gli aghi dei pini ed il bianco delle candele, quelle comuni, accese per fare luce alla casa quando il temporale faceva saltare gli impianti elettrici artigianale di ogni abitazione ( non ci si sentiva a disagio se alzando lo sguardo alle pareti risaltavano i fili elettrici agganciati al muro da grappe fissate alla buona ... una peculiarità del momento, quando c’erano incomodi di ben altra valenza).

Le candele erano accese a cominciare dalla quart’ultima settimana dal Natale, ma soltanto alla domenica nel momento della recita del rosario pomeridiano delle sedici e trenta, una pratica giornaliera delle famiglie riunite a gruppi per recitarlo ogni giorno: davanti al quadruccio di Gesù con il Cuore Ardente, devotamente appeso all’interno di ogni porta di casa, in tutto il rione si rinnovava ogni giorno una tradizione, che nessuno ricordava come fosse cominciata … forse perché la chiesa era stata distrutta, e l’altra molto distante … forse perché in quel momento, senza rendersene conto, loro stessi formavano una piccola chiesa … forse perché la preghiera li accostava l’uno all’altro, come a concedere un relax momentaneo agli animi infastiditi dalle complicazioni giornaliere negli adulti ed a dare respiro alla esuberanza nei piccolini, che drizzavano le orecchie a quelle parole strane ed incomprensibile, ma che dovevano essere “magiche” se piacevano così tanto da spingere al bisogno di recitarle ogni giorno per il Signore.

“Sistemata” la “Corona dell’Avvento” si passava ad un’altra sistemazione: la preparazione dei liquori fatti in casa: con l’alcool, lo sciroppo di acqua e zucchero, l’estratto Bertolini, come in un rito amministrato dalla veterana del rione, alla fine erano realizzati i liquori: la strega, il mandarino, il latte di vecchia, l’anisetta, che inaugurati nel giorno del Santo Natale, diventavano il “bicchierino” per eventuali ospiti occasionali per tutto l’anno a venire (all’uopo in ogni credenza non mancava il set di minuscoli bicchierini di simil cristallo che ne decidevano la capacità … da offrire).

Nella seconda settimana di dicembre cominciava l’allestimento del presepe, interpretato da alcuni come l’unico vero spirito del Natale; una preparazione che impegnava diversi giorni, come la signora Maria che svuotava un’intera stanza e trasferiva i figli nell’unica rimasta, aggiungendoli agli altri e sistemandoli con i materassi in terra. Con materiale riciclato ed accantonato per l’uopo, quel presepe diventava un’opera d’arte, frutto di una creatività quasi infantile, dato che sembrava che la nascita di Gesù e tutto il contorno fossero stati considerai attraverso gli occhi di un bambino e non di persona adulta, oberata da dispiaceri e dissapori della propria quotidianità … e quella famiglia ne aveva di molte.

Non soltanto.

Quelle persone ignoranti neanche sospettavano l’effetto propedeutico che quella pratica avrebbe deciso almeno per qualche tempo; forse qualcuno in seguito glielo avrebbe spiegato o .. forse non lo avrebbero saputo mai, intanto ogni volta ne sentivano l’esigenza ed ogni volta non ne riconoscevano il beneficio.

La madre di Zoe, invece, sistemava un piccolo presepe sul pianale concavo della credenza, nella stanza già ricolma da una famiglia numerosa di due genitori, tre figli e due nonni; ma tanto bastava a gratificare le piccoline. Prendeva da sopra l’unico armadio della casa una scatola di cartone dove erano conservate le statuine di cartapesta, incartate scrupolosamente una ad una, ed, una volta sistemato il muschio, le distribuiva sulla minuta “opera d’arte”, dove la carta paglia era l’unico materiale usato alla composizione delle montagne e della grotte. Ogni giorno quelle statuine sembravano camminare, se le figliolette continuamente le spostavano a loro piacimento, sotto l’occhio accondiscendente dei nonni, troppo vecchi per fare certe cose, ma che avrebbero voluto provare quelle emozioni, poiché … sicuramente dovevano esserci, se le bambine sembravano così divertirsi.

Non c’era l’esigenza dell’albero di Natale, che comunque sarebbe stato portato dal papà negli ultimi giorni: un ramoscello di pino tagliato nel bosco, da mantenere fino all’Epifania.

Intanto il 16 dicembre iniziava la novena alle 6.30 della mattina.

Era una tradizione molto sentita da Zoe, che si svegliava per tempo per andare ben incappottata con la madre, ed era presa dall’emozione di essere la sola alla quale era permesso, dato che le sorelline restavano a casa con i nonni; significava che era grande, si fa per dire, se poteva partecipare, e non voleva deludere la genitrice, comportandosi come si doveva.

Non capiva la liturgia in latino, alla quale si sentiva accomunata dai rosari giornalieri, anzi, in entrambi, aveva imparato a rispondere come gli altri; a volte si domandava: “Anche loro, come me, non sapranno ciò che recitano?”

Sta di fatto che le piaceva l’atmosfera che respirava in quella chiesa: forse dipendeva dall’odore delle candele accese … o dai fiori profumati … o dal canto delle suore … dal suono dell’organo … o dalla solennità che trasmetteva la liturgia o da tutto questo insieme che si amalgamava?

Chi può dirlo?

Mentre rincasavano dalla novena, le donne parlavano tra loro dei “biscottini” che avrebbero preparato, ciascuna tenendo occulto l’ingrediente aggiunto alla propria “dose” come fosse un segreto di Stato.

Nel dopoguerra si cucinava nei fornelli sul muro, alimentati dalla carbonella e soltanto alcuni privilegiati avevano piccole stufe a legna, dove, comunque, si potevano inserire solo piccole teglie; pertanto in quelle settimane il fornaio apriva alle massaie, ma con l’obbligo di prenotarsi, così che veniva stilato un vero e proprio calendario di appuntamenti, altrimenti il poveretto non avrebbe avuto la possibilità di fare il pane … quotidiano.

Quei dolci erano gli unici del Natale, quando nel centro Italia era sconosciuta la tradizione del panettone od altro importato dal nord, pertanto la perfetta riuscita impegnava ed era un pensiero dominante di ogni “pasticcera” casalinga, poiché ne decideva il personale prestigio in tutto il rione, nel momento in cui c’era uno scambio di “assaggi” per la … considerarne la bontà.

Se all’improvviso mancava un ingrediente, il bambino più grande veniva spedito alla vicina drogheria per reperire ciò che era scritto in un foglietto, tenuto ben stretto nelle mani a significare una responsabilità elargita ma non dovuta, e l’espressione del viso tronfio di orgoglio parlava da sola alla consegna della commenda, per aver preso coscienza di possedere, finalmente, anche lui un’identità.

La stradina che portava al forno rionale era animata da una andirivieni frettoloso e festoso, dove si riconoscevano quelle che ritornavano con i biscottini già cotti, se disperdevano nel vicolo una scia profumata di cannella, vanillina ed anice.

 

Continua

 Biscottini

 

Ingredienti:

Farina gr. 1200

Zucchero gr.600

Burro gr.150

Strutto gr.100

Uova 6

Cioccolato fondente gr. 400

Mandorle sgusciate o nocciole gr. 300

Ciliegine rosse gr.200

Cacao amaro gr. 25

Cannella gr. 25

Un pizzico di sale

1 bicchierino di grappa o cognac o whisky

2 bustine di vanillina

2 bustine di lievito “Pane degli Angeli”

 

Preparazione:

Tagliuzzare grossolanamente le ciliegine, il cioccolato e le mandorle sgusciate e pelate, mentre le nocciole si lasciano intere; e conservate da parte.

Lavorare il burro fuso a temperatura ambiente con lo strutto e lo zucchero; unire le uova e rimestare fino ad ottenere una crema spumosa; aggiungere la cannella, il cacao amaro, la vanillina, il sale ed il liquore; incorporare la farina alla quale è stato miscelato il lievito.

Si otterrà un impasto morbido che verrà lavorato per alcuni minuti.

Versandolo sulla spianatoia, a poco a poco incorporare il triturato , magari aiutandosi con altra farina, ma senza esagerare.

Stendere la carta da forno sulla teglia e comporre delle losanghe larghe cm.4 e lunghe come la teglia.

Infornare a 160° per circa 45 minuti, accendendo il forno ventilato al momento.

Una volta cotti lasciare raffreddare un po’, poi tagliarli trasversalmente in biscottini.

Ciambelline

Ingredienti:

Un bicchiere di zucchero

Un bicchiere di olio

Un bicchiere di vino o marsala o vermuth

Due cucchiai di anice

Una cartina di lievito

Farina q.b.

 

Preparazione:

Mettere a bagno l’anice con il liquore già dalla sera prima.

Versare in una terrina capiente il liquore con l’anice, l’olio e lo zucchero. Lavorare delicatamente finché il tutto sembri ben miscelato.

Incorporare il lievito alla farina ed amalgamare fino a rendere l’impasto più denso.

Versare sulla spianatoia e lavorare aiutandosi con altra farina, quel tanto che la massa rimanga morbida e delicata al tatto.

Comporre delle ciambelline della grandezza di 5 cm ed infornare per 15 minuti nel forno a 160°.

continua