Viterbo LA STORIA DI VITERBO
Mauro Galeotti (dal libro L'illustrissima Città di Viterbo)

Porta del Carmine nel 1900 circa (Archivio Mauro Galeotti)

Porta di Pianoscarano o del Carmine

Porta di Piano Scarano o Pianoscarano si apre sul tratto di mura edificato nel 1148 o secondo altri 1187. 

All’inizio fu detta di Piano Scarano, il cronista d’Andrea la chiama Porta del piano de Scarlano, per la contrada omonima in cui si accede. Nel 1268 fu detta del Carmine per la chiesa e convento, eretti in quel luogo fuori della porta stessa, dedicati alla Madonna del Carmelo.

Nel 1200, durante la guerra tra Romani e Viterbesi per il possesso di Vitorchiano, quest’ultimi dovettero rinunciare a quella cittadina, che divenne fedele a Roma. Tra le condizioni di pace furono l’abbattimento delle mura a Pianoscarano e la consegna al senatore Pandolfo della Suburra, della campana del Comune detta, dai numerosi eretici che abitavano Viterbo, la Patarina o Paterina, che fu innalzata sul Campidoglio. 

La campana aveva un diametro di otto palmi, misurava insomma oltre un metro e mezzo, stette in Campidoglio fino al pomeriggio del 15 Agosto 1493 quando «si ebbe una gran tempesta e la campana andò a pezzi: una saetta cadde sulla torre ferendo il campanaro». Così leggo sul quotidiano Il Tempo del 19 Agosto 1976. Fu presto sostituita e resistette fino all’occupazione francese (1798), quando fu spezzata e fusa per farne cannoni. Al suo posto, nel 1803, fu collocata un’altra campana.

Papa Innocenzo III venne a Viterbo il 31 Maggio 1207 e il 26 Giugno di quell’anno emanò un decreto con cui disponeva che un terzo delle somme ricavate dalle vendite dei beni degli eretici catturati, dovevano essere impiegate per il restauro delle mura di Pianoscarano.

Nel 1243, per fronteggiare l’assedio di Federico II, si rafforzarono le mura e le porte con guardie, murando persino alcune di queste. Alla Porta di Piano i fossi, che la cingevano all’esterno, furono riempiti d’acqua.

Fu chiusa nel 1247 perché, scrive Niccolò della Tuccia:
«Rimase sì poca gente in Viterbo, che niun modo vedevano poterlo guardare da nemici, perchè li giovani eran fuggiti per la fame e lasciato padre e madre. Quei pochi che eran rimasti murorno tutte le porte di Viterbo, salvo quella di S. Sisto e la porta verso S. Maria Maddalena».

Dopo la guerra tra Romani e Viterbesi, quest’ultimi nell’Aprile 1291, decisero di trattare la pace, le condizioni furono dure per i nostri, infatti, accettarono che fossero demolite le mura a Pianoscarano, come già avvenuto nel 1200.

Ancora fatti di sangue. Il 4 (o 2) Febbraio 1329 i guelfi, passando per la porta, riuscirono ad entrare in città raggiungendo Piazza del Comune, ma Marcuccio di messer Marco e Silvestro Gatti, dopo una gran battaglia, riuscirono a cacciarli indietro. I corpi dei nemici uccisi restarono per ben tre giorni stesi, senza essere sepolti, sulla Piazza del Comune; questo fu per disprezzo e monito.
La porta fu poi protagonista di un raro avvenimento: la venuta di un pontefice.

Papa Urbano V il 3 Giugno del 1367, infatti, proveniente da Avignone, sbarcò nel porto di Tarquinia con quattordici galere armate, al suo seguito aveva sette cardinali. Il 9 dello stesso mese entrò trionfalmente a Viterbo dalla porta in questione ove fu ricevuto con gli onori massimi dalle autorità cittadine che lo accompagnarono in corteo sino alla Rocca Albornoz. Ma ecco una sventura.

Un triste fatto avvenne nella notte tra il 9 e il 10 Maggio del 1430, quando fu dato fuoco alle ante in legno della porta; non si seppe mai chi lo avesse causato, furono fatte alcune supposizioni, ad esempio, il cronista della Tuccia asserì che fu responsabile Giovanni Gatti, i priori, invece, credettero più genericamente che fosse opera di ignoti.

Dalla porta, Venerdì 23 Novembre 1459, entrarono in città, al comando di Giovanni Pazzaglia centocinquanta fanti, chiamati da Mantova dal rettore del Patrimonio Bartolomeo Rovarelli.

Il 24 Novembre 1459, era un sabato sera, il rettore fece murare la porta e la città rimase solo con due accessi, quelli di santa Lucia e di san Sisto. Il 30 Gennaio dell’anno successivo il rettore fece rafforzare la muratura della porta, in quanto fu preso dal sospetto di non si sa quali fatti riferitigli da un maganzese confessati sotto tortura. Poi Mercoledì 1° Ottobre dello stesso anno, con licenza di papa Pio II, la porta fu riaperta all’uso cittadino.

A seguito di una nuova chiusura, fu riaperta nel 1471. Trovo con certezza che la porta ebbe, nell’anno 1473, un’antiporta per protezione. Infatti, nel citare la vicina Chiesa di santa Maria del Carmine, quest’ultima è ubicata «infra moenia et portas Plani Scarlani», ciò si può ben vedere nella stampa riproducente la più volte citata pianta della città del Ligustri, datata 1596. Mi riferisce Attilio Carosi che «probabilmente l’antiporta era coeva con la porta, come in tutte quelle viterbesi e che il primo documento che la cita è del 1416».

In data 23 Settembre 1572 si ha menzione di un barbacane fuori della Porta di Pianoscarano.
La porta fu chiusa il 13 Novembre 1579 per timore della peste e, il 18 Marzo 1583, venne proposto «Che si faccia acconciare, et si ripari il ponte avanti la porta di piano [Scarano] quale minaccia rovina acciò non rovini afatto».

Poco dopo, il 7 Maggio 1589, si constata che «Le mura della Città hanno bisogno di esser risarcite in molti luoghi, et particolarmente fuor della porta di pian di scarlano che non riparandosi presto cascariano, et haveriano bisogno di grandissima spesa, dove che adesso si faria con poca, se pare che si faccia diranno in che modo si habbi da fare».

Il Consiglio approvò la proposta purché si faccia «con manco spesa che sia possibile».

Il 4 Novembre 1591 fu ordinato che si serri la porta e che il portinaro venga trasferito alla Porta di Valle.
Il 30 Luglio 1624 per prevenire la peste la Congregazione di Sanità ordinò che la porta doveva restare «sempre serrata tanto di giorno, come di notte». Nella seduta del Consiglio generale del 1° Luglio 1630 la porta è ancora murata per paura del contagio. Di nuovo, in data 9 Settembre 1633, la Congregazione di Sanità, per prevenire il contagio, dispose misure di sicurezza alle porte e per quella di Piano decise «che si apra la porta d’Ascarano purchè vi si tengano deputati a’ spese del Rione, con pato di non lasciare entrare forastieri, ma solamente Cittadini, et habitanti».

I conservatori della Città, in data 24 Settembre 1642, ordinarono «Che si serri e terrapieni la Porta di Ascarano» causa la guerra tra papato e la Città di Castro. Poi di nuovo, il 29 Maggio 1656, si ordina che la porta sia serrata, su disposizione della Congregazione di Sanità, per paura della peste.

I priori nel trimestre Ottobre, Novembre e Dicembre 1698 ricordano ai loro successori:
«Facessimo aggiustare la Porta di Pian Ascarano, e perché vi era una serratura grossa con un catenaccio, che stavano per cadere, li facessimo levare, e portare nella stanza contigua alla segreteria, potranno le Signorie Vostre Illustrissime farlo mettere nel inventario».

Il 23 Gennaio 1713 la Sacra Congregazione ordinò la chiusura della porta per paura del contagio e il 18 Febbraio venne pagato il falegname «per aver aggiustato la porta».

Ma durò poco tale intervento se quattordici anni dopo, nel trimestre Luglio Agosto Settembre 1727, ai priori che succederanno, si ricorda che «Essendo la porta di Pian d’Ascarano ridotta in pessimo stato non potendosi neanche serrare, si compiaceranno di farla riattare, sicome nella muraglia castellana essendovi un’apertura la faranno risarcire, e serrare, qual’apertura è verso Capogrosso».

Nel trimestre Aprile Maggio Giugno 1734, viene ricordato:
«Fuori la Porta di Ascarano nel Barbacane delli Pettirossi, sono cadute varie pietre della Muraglia Castellana, faranno per ora radunare dette Pietre e sassi, acciò non vadino a’ male per poi rimediare dove ha bisogno detta Muraglia».

Appena iniziato il secolo seguente, in un atto del 6 Maggio 1802, che mio padre Vinicio ha recuperato, come molti altri, dalla sicura macerazione, trovo il conto di scudi 5,50 presentato dal falegname Tommaso Filetti ai conservatori, per aver, tra l’altro, «allargato e alzata la Porta della Città detta del Carmine».

Il 24 Febbraio 1823 il cursore Antonio Minervini riferì al Consiglio generale di aver affisso e pubblicato alcune notifiche, per i lavori di restauro alla porta, ma alla data del 24 Marzo 1823 non pervenne alcuna offerta. Il compenso del muratore ammontava a scudi 48,40, compreso il restauro della Porta san Pietro; la perizia fu effettuata dall’architetto Tommaso Giusti.

Visto che nessuno era interessato ad eseguire i lavori alla porta, e poiché «meritano [le due porte di san Pietro e del Carmine] un istantaneo provvedimento per impedire che dalli loro forami [i buchi alle porte in legno] si introducano di notte tempo carni morticine ed insalubri alla popolazione», il 10 Aprile 1823 si giunse alla determinazione di stipulare un contratto di lavoro col falegname Onofrio Gagni, incaricato per il suddetto lavoro al prezzo di scudi 48,40.

Per miglior difesa della città, nel Maggio 1831, la porta fu chiusa ad opera di mastro Giacomo Zei «con travicelloni in piedi, traversi, e piane, con riempimento di fascine, lumi per lavorare la notte».

Il 18 Aprile 1851 si rese invece necessario trovare in affitto una casa per il portinaio, perché quella in cui si trovava era stata venduta dal proprietario, quindi si «è risoluto di prendere in sub-enfiteusi perpetua dal Venerabile Ospizio de’ vecchi la casa contigua a Porta del Carmine, essendo la medesima necessaria al Comune pel custode della Porta, e per le persone addette all’appalto dei dazi».

Il 24 Ottobre 1867, il Comune di Viterbo «fece morare […] altre due porte di S. Pietro fatte li baracate e unita quella del Carmine», la nota l’ho tratta dal manoscritto del falegname Carlo Antonio Morini.

Oggi la porta conserva per lo più le caratteristiche essenziali del secolo XIII, anche se sono spariti l’antiporta e l’antico ponte levatoio. L’entrata è stata assai abbassata per controllare maggiormente l’accesso; l’arco antico è a tutto sesto, l’altro è a sesto ribassato.

Porta del Carmine ha all’interno un affresco che risale al ‘600 con raffigurata la Madonna in trono con ai lati sant’Andrea e san Nicola, i patroni del quartiere.

Un infelice ritocco ha deturpato i volti dei due santi.

Sull’alto della volta sono un cherubino che in volo si affaccia da un balcone e, posto in uno scudo, lo stemma di Viterbo.
L’affresco è opera di Filippo Caparozzi che lo realizzò nel 1612 «essendo guasta la pittura antica».

In un ovale, dipinto nella parte superiore della Madonna, è scritto Vestro sub / praesidio.
Nell’arco minore è la feritoia che conteneva la saracinesca che veniva fatta scendere per chiudere l’accesso nei momenti di pericolo.

Sono stati eseguiti restauri nel 1931 e nel 1974 dall’Impresa Alberto Ciorba per conto del Comune di Viterbo consistenti nella sostituzione di pietre e rimboccatura di calce.

La porta di legno, verso gli anni ‘80, è stata conservata per un po’ di tempo nella Chiesa di san Giovanni Decollato, poi è stata ricollocata in situ dopo i necessari restauri.

La porta è coperta con tetto pendente verso l’interno, sul lato destro prima di uscire, è l’iscrizione scolpita su lastra di peperino:
Il Comitato permanente / festeggiamenti / Pianoscarano Carmine Salamaro / in occasione della visita della / Madonna della Quercia / alle Parrocchie S. Andrea apostolo / e Sacra Famiglia / pose / il 25 Maggio 1988 / Ditta Luigi Anselmi e figli.

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