Villa san Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino, archeologa

L’imperatrice Vibia Sabina

La violenza contro le donne è una piaga culturale di antica data. Anche nella corte imperiale di Roma dilagò l’aggressività di genere, tanto che diversi imperatori si macchiarono di femminicidio.

Secondo la leggenda gli albori di Roma furono macchiati dal sangue innocente di Remo, ucciso da suo fratello Romolo, e di lì in poi le altre vicende relative ai miti primigeni della città furono segnate da omicidi e brutalità, che ebbero come bersaglio anche le donne. Ragazze vittime di rapimenti, con l’intento di garantire una prole ai Romani presso i quali scarseggiavano le donne, come le Sabine nel racconto del famoso ratto avvenuto al tempo di Romolo.

O donne uccise con l’inganno dai nemici, come Tarpea seppellita sotto le armi e gli scudi dell’esercito del re sabino Tito Tazio. Od anche giovani mogli oltraggiate da uomini senza scrupoli, come nel caso di Lucretia, moglie di Collatino, stuprata da Sesto Tarquinio figlio dell’ultimo re di Roma, di stirpe etrusca, Tarquinio il Superbo. Purtroppo la violenza contro le donne non era solo il ricordo di vicende di tempi assai lontani. Infatti una lettura filosofica e antropologica della storia romana permette di affermare che, anche al di fuori delle elaborazioni leggendarie o semi-leggendarie, la violenza in generale, e quella contro le donne in particolare, anche se non fu un tratto distintivo della società romana rispetto ad altre culture coeve, fu però un elemento strutturalmente caratteristico di essa lungo il corso della sua storia millenaria.

L’uso, e l’abuso, della violenza politica, sociale, familiare, pubblica e privata, affondava le sue radici nel postulato ideologico dell’esaltazione dell’aggressività maschile come valore supremo del vir (uomo) d’azione, coraggioso, “tutto d’un pezzo”, capace di imporsi sui nemici e sui rivali, e di farsi rispettare in casa dai suoi parenti e dai suoi schiavi. Anche se progressivamente nel corso del tempo la legislazione romana mitigò il potere assoluto del paterfamilias (capofamiglia), è indubbio che nella società romana ufficialmente il potere e l’esercizio del dominio spettavano solo agli uomini.

Le testimonianze letterarie ed epigrafiche testimoniano che molto spesso la violenza degli uomini era rivolta contro le donne, mogli, figlie, sorelle, concubine, liberte e schiave. In genere i matrimoni erano precoci, contratti in età adolescenziale, ma spesso accadeva pure che tra l’uomo e la donna ci fosse una notevole differenza di età, tanto che giovinette andavano in sposa ad uomini maturi. Tuttavia, giovani o maturi che fossero, molti mariti erano maneschi e la loro furia si spingeva fino al femminicidio.

Testimonianze toccanti sono, per esempio, l’epigrafe funeraria della sedicenne Prima Florentia “…che fu gettata nel Tevere dal marito Orfeo”, e quella di Iulia Maiana che a Lione “…fu uccisa dalla mano di un marito crudelissimo”. Nell’età medio e tardo Repubblicana nell’aristocrazia senatoria invalse lo spregiudicato costume dei matrimoni d’interesse, contratti non solo con il fine di mettere al mondo figli legittimi, ma per creare o rafforzare vantaggiose relazioni politiche.

Il sentimento d’amore era un accessorio del quale si poteva, anzi a volte si voleva fare a meno, per non essere intralciati nelle ambizioni politiche. Uomini ormai maturi prendevano in sposa fanciulle di 15-16 anni, liquidate poi facilmente con l’atto del repudium (ripudio) anche per futili motivi, solo perché la relazione non era più politicamente vantaggiosa. Era invalsa addirittura la pratica di “prestare” la propria moglie al politico influente, il quale gradendo il dono si sarebbe poi volentieri impegnato a restituire il favore, appoggiando magari l’elezione del marito candidato alle elezioni.

Favori sessuali pretesi e concessi ovviamente senza tener conto della volontà della donna, costretta suo malgrado a giacere nella camera da letto di un uomo estraneo. In età imperiale neppure la corte dei Cesari fu immune dal reato di femmincidio, anzi in alcuni periodi lo scandalo di mogli, sorelle e figlie uccise, abusate o offese in altri modi, fu quasi all’ordine del giorno. Molte donne furono sacrificate alla stessa logica matrimoniale sopra descritta, con esiti assai infausti. L’imperatore Augusto si mostrò inflessibile con sua figlia Iulia (39 a.C.-14 d.C.), usata come una sorta di “ostia sacrificale” nei suoi piani politici e dinastici.

La fanciulla quattordicenne nel 25 a.C. fu dapprima data in sposa a suo cugino Marco Claudio Marcello (43-23 a.C.), che l’imperatore desiderava come suo futuro successore. Dopo la prematura morte di costui Iulia fu costretta a sposare Marco Vipsanio Agrippa, amico e stretto collaboratore del padre, di ventiquattro anni più grande di lei, e al quale diede cinque figli. Morto anche costui nel 12 a.C., la ragazza dovette forzatamente passare a terze nozze con Tiberio, ma questa unione fu turbolenta.

Ormai donna, Iulia in un certo senso si ribellò alle vessazioni del padre-padrone Augusto, e praticò atteggiamenti altamente lesivi della (apparente) rispettabilità del vincolo coniugale imperiale. Ruppe l’obbligo morale della castità, cioè essere fedele al marito, praticando con eccessiva disinvoltura una condotta spregiudicata, intrecciando relazioni adulterine, e suscitando il risentimento e le proteste del beffato Tiberio.

Nel 2 a.C. Augusto in virtù della stessa legge da lui promulgata contro l’adulterio, fece arrestare la figlia, che accusò anche di tradimento, e l’esiliò nell’isola di Pandataria (oggi Ventotene) dove visse costretta ad un severo regime di privazioni. Fu poi inviata a Reggio Calabria, in migliori condizioni di vita, ma nel 14 d.C. poco dopo la morte del padre, anch’ella morì. Pochissimo incline ad accettare l’affronto di un adulterio fu anche l’imperatore Claudio, che una certa storiografia di stampo senatorio ha consegnato, ingiustamente, alla memoria storica come un imbelle.

La sua condotta getta una luce per comprendere, con l’aiuto della riflessione storica, quel tipico atteggiamento orgoglioso e irato che molti uomini, del passato e del presente, mostrano quando subiscono un rifiuto. Sua moglie Valeria Messalina (25-48 d.C.), che già s’era conquistata la pessima fama di donna lussuriosa, s’innamorò di Gaio Silio. Però non si limitò a diventarne l’amante, condotta piuttosto diffusa a Roma, ma mossa da un sentimento vero, cui si univa l’insofferenza per la vita matrimoniale con l’imperatore, arrivò addirittura a ripudiare il marito e a sposare Silio. Claudio, furibondo, la fece uccidere, e non risparmiò neppure Silio.

Nerone, salito al trono diciassettenne nel 54 d.C. dopo la morte di Claudio,verso la fine degli anni ’50 del I secolo d.C. cominciò a comportarsi come un uomo violento nei confronti delle sue “donne di casa”. E’ vero, sua madre Agrippina non aveva mai brillato per virtù di bontà, ed inoltre aveva sempre mostrato atteggiamenti oppressivi nei confronti del figlio. Continuava imperterrita ad immischiarsi nella politica di corte, e Nerone ormai adulto e ambizioso non tollerava più ingerenze. Inoltre odiava Poppea Sabina, amata dal figlio, e osteggiava quell’amore perché temeva l’ascendente che quella donna avvenente aveva sul figlio.

Nerone decise di sbarazzarsi della madre: un primo tentativo fallì, ma il secondo andò in porto e nel 59 d.C. Agrippina cadde sotto i colpi del pugnale di un sicario inviato da Nerone. Nel 62 d.C. l’insofferenza dell’imperatore si rivolse contro sua moglie Claudia Ottavia (figlia dell’ex imperatore Claudio), che aveva sposato nel 53 d.C. Secondo quanto scrisse lo storico Gaio Svetonio Tranquillo, Nerone non solo era stanco di lei, ma addirittura “disgustato”, anche perché dal 58 d.C. s’era invaghito della bella Poppea Sabina, diventata sua amante. Senza il minimo rispetto fece allontanare Ottavia da Roma, ordinando che fosse relegata in Campania. Rincarando la dose, con il pretesto di false accuse di adulterio la mandò in esilio nell’isola di Pandataria, ed infine la costrinse a suicidarsi.

Nel 63 d.C. Nerone sposò la lussuriosa Poppea, che presto conobbe sulla propria pelle la stessa cattiveria già sperimentata da Ottavia. Turbata dalla morte prematura a soli quattro mesi di età di Claudia la figlioletta avuta dalla relazione con Nerone, Poppea era di nuovo incinta e attendeva di mettere al mondo un altro figlio. Ma un giorno divenne il bersaglio della furia collerica del marito, perché osò fare un commento poco lusinghiero su una commedia interpretata dall’imperatore stesso. Reso rabbioso dall’offesa, le sferrò un calcio nel ventre causandone la morte. Un gesto crudele carico anche di significati simbolici spiccatamente misogini, poiché Poppea fu con disprezzo oltraggiata nella parte più delicata del corpo femminile, quella in cui risiede il potere procreativo.

La corte, i senatori e molti altri romani rimasero impressionati da tanta crudezza e mostrarono la propria indignazione, cosicché per mettere a tacere le opposizioni Nerone, falso marito dolente, con meschina ipocrisia chiese ed ottenne per la sua giovane moglie assassinata, pubbliche esequie e onori divini. Non meno frequenti alla corte dei Cesari furono le violenze psicologiche inflitte alle donne. Un esempio è quello dell’imperatrice Vibia Sabina, che nel 100 d.C. Adriano fu costretto a sposare per poter succedere a Traiano, secondo un intrigo ordito a suo favore da Plotina moglie del defunto imperatore. Vissero insieme quarant’anni, l’imperatrice accompagnò suo marito in tanti viaggi nei territori del vasto impero, ma se ufficialmente sembravano essere una coppia ben riuscita, la realtà era forse diversa. Il matrimonio fu sterile, e nel 122 d.C., secondo quanto narra la “Historia Augusta”, Adriano meditò di allontanarla dalla corte e da Roma, forse perché sospettava una relazione della moglie con il Prefetto del Pretorio Septicio Claro.

Ma desistette dall’intento, anche perché un simile comportamento avrebbe nociuto alla sua immagine di imperatore. Ma dal 128 d.C. Adriano, nonostante che Sabina continuasse ad essere ufficialmente sua moglie, non fece più mistero delle sue tendenze omosessuali fino ad allora latenti, e invaghitosi del bellissimo adolescente Antinoo, morto poi tragicamente nel 130, lo elevò al rango di suo favorito. Sabina fu affettivamente ancor più trascurata, e i rapporti tra i due se prima erano freddi, divennero ancor più gelidi.

Altra violenza psicologica può essere considerata quella inflitta alle donne quando loro malgrado erano testimoni impotenti di lotte di potere, odi e dissidi che minavano la già fragile armonia della famiglia imperiale. Un esempio per tutti può essere quello di Iulia Domna (170-217 d.C.), moglie dell’imperatore Settimio Severo. Alla morte di costui nel febbraio del 211 d.C. assunsero la coreggenza, secondo quanto il padre stesso aveva chiesto, i due figli Caracalla e Geta. Ma ben presto la vita a palazzo divenne insopportabile a causa dei contrasti tra i due, e l’imperatrice si trovò nel mezzo di queste aspre contese. Soprattutto Caracalla manifestava aperta gelosia e insofferenza nei confronti del fratello minore, finché non si risolse a toglierlo di mezzo con un tranello, uccidendolo davanti agli occhi della madre.

Quando anche Caracalla fu ucciso a Carre nel 217 in una congiura, Iulia Domna disperata per la sorte infelice di entrambi i figli, sprofondò nel buio tunnel della depressione, tanto che si lasciò morire di inedia mentre soggiornava ad Antiochia. Fuori dal catalogo delle scelleratezze compiute da alcuni imperatori nei confronti delle proprie consorti, brilla invece il comportamento esemplare di Antonio Pio (86-161 d.C.). Nel 117 d.C. sposò Annia Galeria Faustina, quindi nel 138 diventò imperatore succedendo ad Adriano.

E’ da credere che fu un buon marito, affettuoso e devoto, anche perché dopo la morte della moglie la onorò in modo sincero. L’imperatrice fu divinizzata, e lui stesso le fece costruire un imponente tempio nel Foro Romano, i cui resti sono ancora oggi ben visibili. Inoltre istituì a sua memoria degli alimenta (sussidi) in favore di fanciulle orfane che presero il nome di “puellae faustinianae”.

Dunque nonostante una cultura fortemente connotata in senso maschile, come era quella romana, e dove assai diffusa era la violenza contro le donne, c’erano, per fortuna, uomini capaci di amare e rispettare le proprie consorti.

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