Villa San Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino

La Moira Atropos

Northia era la dea che fissava il tempo e probabilmente anche il destino, nella città di Velzna le era dedicato un tempio dove ogni anno veniva ritualmente piantato un chiodo.

Il pantheon etrusco era popolato da molte divinità tra cui Northia, nominata da alcuni autori latini e il cui nome compare in talune epigrafi.

L’accezione Northia è la trasposizione latina di un nome etrusco originario, forse derivante dalla radice *nurti. Tuttavia è certo che fosse una dea prettamente etrusca, poichè non aveva un esatto corrispondente in nessuna divinità né greca né romana. In un passo della sua opera “Ab urbe condita” (VII, 3, 7) lo storico romano Tito Livio scrisse che “Cincio, accurato ricercatore di queste tradizioni storiche, ricorda come anche a Volsinii nel tempio della dea etrusca Nortia si vedano infissi dei chiodi che servivano a tenere il computo degli anni”.

Si tratta di Lucius Cincius Alimentus pretore nel 210 a.C., annalista e autore di studi antiquari, il quale scrisse in greco una storia di Roma dalle origini fino alla sua epoca, opera a noi pervenuta solo in scarsi frammenti, ma integra e molto conosciuta al tempo di Livio, dalla quale egli attinse varie notizie. Livio stesso attesta che in tempi molto antichi il rito del clavum pangere (“infissione del chiodo”) era officiato sul Capitolium (Campidoglio) nel tempio dedicato alla Triade Capitolina, dove al sommo dio Giove Ottimo Massimo erano associate Giunone e Minerva. Un’antica legge aveva stabilito che ogni anno alle idi di Settembre (il giorno 13) nella parete destra della cella riservata a Minerva fosse piantato un chiodo, rito officiato dal praetor maximus (pretore massimo), più tardi dai dictatores (dittatori).

A causa di una epidemia che infestava Roma il rito fu rivivificato nel III a.C., poiché considerato particolarmente efficace nel vincere ed allontanare la malattia, e per l’occasione il Senato nominò Lucius Manlius Imperiosus “dictator clavi figendi causa” (“dittatore addetto all’infissione del chiodo”). Livio riportò anche il significato che la tradizione religiosa attribuiva al rito: “….in tempi a cui a pochi era nota la scrittura, era un modo per tenere il conto degli anni”, cioè fissare in modo stabile il volgere del tempo. L’infissione del clavum avveniva nella cella riservata a Minerva “…perché la dea sarebbe l’inventrice dei numeri”.

Altre testimonianze al riguardo si trovano in un “Carmen” di Quintus Horatius Flaccus (Libro I, 35, 17), e nella satira 10 di Decimus Iunius Iuvenalis. Nel passo di Orazio Northia è assimilata alla dea romana Fortuna, che presiedeva alla buona e alla cattiva sorte, venerata in un santuario di Antium (Anzio) nel quale veniva officiato anche il rito dell’infissione del chiodo. Sua paredra era la Necessitas (l’Anànke greca), allegoria del concetto di “inevitabilità” riferito al destino, tanto che proprio lei, come scrisse il poeta, “sempre inflessibile” con la “bronzea mano” portava “chiodi travàli e cunei (…) insieme a piombo fuso e al duro arpione”. Queste notizie aiutano a comprendere il significato religioso originario di Northia ed il tipo di culto ad essa riservato, poi trapiantato a Roma assimilandola sia a Fortuna, divinità della sorte, sia a Minerva nella sua accezione di “dea addetta al computo” (in quanto inventrice dei numeri).

Penso sia lecito dedurne che la Northia etrusca fosse la personificazione di vari concetti e riassumesse in sé diversi aspetti complementari. Forse ad una più antica funzione apotropaica magico-religiosa di allontanamento del male e dei malefici, cui di rimando poteva essere associata anche la funzione di dea garante del benessere e della fertilità, furono poi unite l’azione di “fissazione del destino”, nonché quella di stabilire e computare il tempo, anche per la stretta correlazione tra il concetto di destino e quello di volgere del tempo.

Similmente il significato originario del rito annuale dell’infissione del chiodo nel suo tempio a Volsinii (Velzna in etrusco), quale atto di allontanamento del male e dei malanni, potrebbe essersi ampliato fino a comprendere il senso di fissazione del destino e del computo generale del tempo.

Tuttavia non è neppure impossibile che già in origine Northia riunisse in sé tutte queste prerogative. Singolare è il fatto che su uno specchio etrusco di bronzo la Moira greca Atropos, chiamata Atharpa in lingua etrusca, sia raffigurata con le ali spiegate e in procinto di piantare un chiodo con un grosso martello nella testa di Meliacr (Meleagro).

Si tratta della evidente assimilazione di una delle funzioni di Northia, la capacità di fissare il destino piantando un chiodo rituale, alla medesima funzione di una delle Moire greche che decideva il destino finale dell’individuo, cioè la morte, ma con una sostituzione del filo vitale reciso da Atropos con l’elemento tipicamente etrusco del chiodo. Il significato magico-religioso in senso apotropaico del “piantare un chiodo”, trova confronti anche in osservazioni compiute dagli antropologi culturali in alcuni gruppi umani extraeuropei.

Per esempio in Africa centrale alcune tribù celebrano riti durante i quali viene piantato un chiodo su feticci di legno a forma umana, per invocare e ottenere la protezione dallo spirito divino raffigurato attraverso la scultura. In ambito europeo, in antichi e moderni manuali di magia nera sono descritti riti noti con il nome di “fatture”, nei quali il chiodo è utilizzato come simbolico agente di maleficio per colpire e annientare un avversario.

Credo che un confronto ancora più stringente e pertinente sia quello con antichi riti romani di maleficio, attestati dalle c.d. “Tabellae defixionum”. Si tratta di tavolette di piombo contenenti maledizioni rivolte ad avversari e invocazioni a dèmoni capaci di nuocere, che venivano poi arrotolate, fermate con l’infissione di un chiodo e poste di nascosto in luoghi sinistri, come ad esempio le tombe.

Molto dibattuta è invece la questione della identificazione di Volsinii, città nella quale si trovava il tempio di Northia, con Orvieto o con Bolsena. Già nel XVII secolo l’abate Andrea Adami (1663-1742) nell’opera “Storia di Volseno antica metropoli della Toscana descritta in quattro libri” (1734-1737) identificò Volsinii con Bolsena, e il tempio di Northia con le rovine presso le terme romane poste a ridosso della piccola chiesa del SS. Crocifisso. Nel XIX secolo gli studiosi si divisero tra fautori dell’identificazione di Volsinii con Orvieto, (ad es. Gian Francesco Gamurrini), e fautori della identificazione con Bolsena (Luigi Canina), da cui derivava la diversa localizzazione nell’una o nell’altra città del tempio di Northia.

Bolsena

Nel 1904 a Bolsena in località Pozzarello durante scavi archeologici condotti da Ettore Gabrici furono rinvenuti i resti di un santuario costituito da un tèmenos (recinto), una edicola, un’ara ed un pozzo sacrale dal quale vennero alla luce alcune offerte votive databili al III-II secolo a.C.

Alcune statuette femminili furono considerate la rappresentazione di Northia, perciò, anche per la presenza di altri reperti significativi, fu proposto di identificare questi resti murari con il santuario della dea. Tuttavia fin verso la metà del XX secolo è prevalsa la tesi dell’identificazione di Volsinii con Orvieto, mentre nei decenni successivi grazie agli scavi condotti a Bolsena da archeologi francesi tornò in auge la tesi di Volsinii-Bolsena. Nel 1927 l’archeologa Lucia Morpurgo in un articolo che prendeva in esame un’ascia-martello rinvenuta a Bolsena, ipotizzò la presenza in questa città del culto alla triade divina etrusca Northia, Voltumna e Vertumnus.

A Bolsena è documentato un cippo in basalto, di cui però si ignora l’esatto luogo di rinvenimento, che reca inscritto il nome di un certo Avle Nurtines, il cui gentilizio Nurtines deriva dal teonimo della dea Northia, a dimostrazione della presenza nella città del tempio a lei dedicato. Inoltre sempre a Bolsena sono attestate iscrizioni latine con dedica a Northia, le quali dimostrano la continuità del suo culto in età romana.

Bolsena loc.Pozzarello. Offerte votive in lamina aurea

Per contro i sostenitori della tesi di Volsinii-Orvieto fanno notare, tra l’altro, che mai nelle fonti romane menzionanti Volsinii si fa accenno al Lacus Volsiniensis (detto anche Tarquiniensis), cioè all’attuale lago di Bolsena, proprio perché Volsinii va identificata con Orvieto, e dunque qui sarebbe esistito il tempio di Northia. Anche se attualmente i dati archeologici sembrano avallare maggiormente l’ipotesi della localizzazione del tempio della dea a Bolsena, la definitiva soluzione della vexata quaestio è rimandata ad un futuro si spera foriero di scoperte archeologiche in grado di fugare ogni residuo dubbio.