Viterbo LA STORIA DI VITERBO
Mauro Galeotti (dal libro L'illustrissima Città di Viterbo)

Anno 1960. Mura dalla Torre dell'Amandola a Porta san Lorenzo, in fondo il Quartiere san Pellegrino e la Torre Scacciaricci. (Archivio Mauro Galeotti)

Mura da Porta di Valle a Porta san Lorenzo

Il tratto di mura che da Porta di Valle va fino a Porta san Lorenzo, per buona parte, è difeso all’esterno dal Torrente delle Pietrare, o Mola o di san Pietro, che poi, canalizzato sotto terra, si unisce al Torrente di Paradosso, per confluire nel Torrente Urcionio.

Nel 1118 sembra che papa Gelasio II facesse restaurare le mura da Porta di Valle a Porta san Pietro, la notizia, poco attendibile, è riferita da Andrea Scriattoli e Francesco Cristofori.

Il muro alle falde della Valle di Faul, ossia «da le mura de la rupe de la porta de Buove insino a la porta del Castello», detta di san Lorenzo, come scrive il cronista Francesco d’Andrea, fu eretto nel 1257. Seguono altre notizie come quella del 1° Gennaio 1439 quando i priori consentono a Pietro di Paolo di Ranuccetto di demolire un muro perché, con i sassi recuperati, possa riparare un barbacane posto fuori Porta di Valle.

Di una torre presso Porta di Valle se ne ha notizia nel 1457 in quanto si presentò la necessità di rinforzare le fondamenta e rifare una fessura da dove usciva l’acqua.

La Torre dell'Amandola

Poi, oltre un secolo dopo, in data 29 Dicembre 1569, i priori ed i conservatori, volendo provvedere al rifacimento delle mura presso la Torre del Bacarozzo, che fu necessario puntellare, decisero di assumere due muratori nelle persone di mastro Bartolomeo e mastro Cristoforo de Falcinella.

«Detti mastro Bartholomeo et mastro Cristoforo e ciascuno di loro in solido s’obligano e promettono rifondare le Mura della Città in detto loco de le bacarozze dove sono apuntellate et farvi scarpe a’ tutta Arena loro et magistero, e di più haveranno a’ condurre a’ spese loro in detto loco li sassi, che sono a la porta di piano [Scarano], et fare detto lavoro bono e ben fatto, talmente che per bono e ben fatto sia giudicato da homini periti e questo fra un mese; et i magnifici Priori al incontro li promettono a’ nome dela Communità, et a’ spese de’ lei mandarli la calcina in sul lavoro, et pagargli per le mura che faranno a’ ragione di giulij nove la canna compiuto il lavoro».

Traggo dalle Riforme in data 28 Ottobre 1573:
«Voi [signori consiglieri] sapete la piena che va’ ala porta di valle vecchia, et il danno che fa ale mura et altri lochi, Hora li padri dela Palomba s’offeriscono per diece scudi che gli si diano fare un muro, et altri ripari di modo che l’acqua andarà sempre per il suo corso e non farà più danno et mantenerlo perciò vi si propone se vi pare di dare li detti diece scudi per detto conto».

La risposta fu «Che ogni volta che loro s’obblighino ali danni dele muraglie gli si diano, ma si veda che vadino per la spesa di detto lavoro», chi parla è il consigliere Camillo Feliziani che poco si fida, mentre l’altro consigliere Francesco Tignosini, ancora con meno fiducia, ribatte «Che questa cura non si dia a li frati ma si vada nel luogo et i SS. deleghino homini sopra di ciò et riparino et spendino quel che bisogna». Inoltre, «Li Padri de la Palomba desideravano che la communità nostra gli concedesse quella stanza che stà vicino a’ la porta di valle murata; quale serviva per il portinaro, e che al presente si trova senza porta con molte brutture».

La Comunità pur se poco propensa a far amministrare il danaro pubblico, concesse l’utilizzo del locale richiesto dai frati il 3 Giugno 1576.

La Torre dell'Amandola

Il 31 Dicembre 1583 si dette licenza ai frati della Palomba di aggiustare le mura a loro prossime e dieci anni dopo, nella seduta del Consiglio del 21 Novembre 1593, si stabilì di restaurare di nuovo le mura alla Palomba purché non si dovesse pagare una somma maggiore a dieci scudi.

I Padri Gesuiti della Palomba, infatti, lamentavano che dopo la pioggia, a causa dei detriti portati a valle dalla stessa, si ostruivano le feritoie poste sulle mura da cui fuorisciva l’acqua e quest’ultima non trovando sfogo entrava nella chiesa.

Dalla Pianta di Viterbo di Tarquinio Ligustri del 1596, su questo tratto sono riportate tre torri.

Nella riunione consiliare tenuta il 16 Dicembre 1601, «Vien riferito alli signori, che il torrione delle Bacarozze è molto guasto, non senza pericolo di rovina, che potria tirare a terra buona parte della muraglia, et saria gran spesa a’ rifarla, m. Antonio Spreca, che tiene il barbacane della Communità contiguo lo pigliaria per farvi una palombara, et risarcirlo con riconoscere anco la Communità di qualche cosetta piacendo alle SS. VV. però consigliaranno se li pare, che se li conceda et in che modo».

Il Consiglio allora stabilì «Che Mons. Ill/mo vice legato et signori Conservatori vedino il luogo, et quando non sia pregiuditio alla Communità se gli concedi, tanto più, che minaccia rovina et m. Antonio si offera riparare, et anco riconoscer la Communità di qualche cosa».

Alle votazioni risultarono trentaquattro favorevoli e sette contrari. In data 22 Dicembre 1601 nelle Riforme trovo scritto: «Turrione existente […] supra ripas, et griptas vulgari nuncupat(us) delle Bacarozze».

Antonio Spreca ottenne l’utilizzo della Torre del Bacarozzo usandola come colombaia e si impegnò a restaurarla evitando così l’assai probabile crollo.

Le notizie di un certo rilievo scarseggiano e si giunge al 3 Febbraio 1821, quando nella Sala del consiglio, si dette lettura, della notificazione pubblicata in data 26 Gennaio, in merito al rifacimento delle mura castellane presso la Chiesa di santa Maria della Palomba; la spesa ammontava a scudi ventotto e undici baiocchi.

Lo stesso anno, il 29 Luglio, in Consiglio si discusse sul lavoro da fare al muro della Palomba, caduto in rovina a causa della demolizione di una torre pericolante.

Si decise di riattivarlo al più presto a causa delle precarie condizioni della torre medesima. Più tardi, il cursore Antonio Minervini, riferì al Consiglio generale del 7 Agosto, di aver affisso la notificazione riguardante i lavori da eseguire al muro e alla Torre della Palomba. Purtroppo, però, all’11 Agosto nessun muratore volle intraprendere quell’urgente lavoro.

E’ del 1829, ad opera di Giacomo Zei, il ritrovamento di due vecchie bocchette, in sostituzione di una abusiva «nel Muro Castellano entro l’Orto di Giacomo Sgoluppa in Contrada la Palomba per lo scarico dell’acqua del fosso del Ponte Paradosso, ed essendovi in questa delle lastre formanti feritoje trasportando le Acque delle materie specialmente dei cosi detti Cannavucci erano soggette le feritoje ad otturarsi per cui le acque hanno più volte inondato l’Orto dello Sgoluppa, e portato de’ danni anche all’Orto di Ant(oni)o Parentati contiguo».

Nell’Agosto del 1850 cadde una parte di mura in prossimità del mulino ad olio del Balaschetto, situato presso la Valle di sant’Antonio, vicino alla torre posta a fianco della Chiesa santa Maria della Palomba. I lavori di restauro furono iniziati nel Gennaio dell’anno seguente e terminarono l’11 Giugno, la riparazione fu eseguita nel più breve tempo possibile, per impedire manovre contrabbandiere. Artefici del lavoro, dietro un compenso di duecentocinquanta scudi, furono Giovan Battista Gozzano e Domenico Mercanti.

La casa con le troppe finestre a destra dell’abside della Palomba è stata, purtroppo, realizzata nel 1950. La più modesta precedente costruzione aveva una sola finestra!

Prima che fosse aperta la moderna Via san Paolo, che collega Porta Faul con Porta del Carmine, le due porte erano, e volendo lo sono ancora, collegate da Via di Vico Squarano che popolarmente era detta la Cavarella. Ivi, dopo il portale in Via di Vico Squarano n° 1 con lo stemma Brancacci, è una imponente tagliata etrusca che si prolunga verso la Strada Signorino. 

Le mura che dalla Torre dell'Amandola raggiungono Porta san Lorenzo

La tagliata etrusca, senza alcun rispetto per la memoria storica, è stata indegnamente colpita dalle ruspe in più punti per poterla allargare.
Peggio sorte ha subito la vicina Strada Bagni il cui antico percorso è stato letteralmente cancellato, ne è testimone l’Edicola del santissimo Salvatore, che un tempo si trovava a destra di chi veniva da Viterbo, oggi è a sinistra della strada.

Scrive Francesco Orioli che il Salvatore del Riello «è sopra la rupe a dritta della strada [vecchia de’ bagni]. Essa rupe è tutta scavata a grotte d’antichi sepolcri; e colle grotte aperte e devastate s’alternano cunicoli pur sepolcrali, internati nelle viscere del monte».

Scrive nel 1777 Giandomenico Martelli:
«Uscendo dalla Città per la porta Occidentale chiamata “di Faulle”, si para avanti una strada ben piana, agevole, e comoda per calessi, e carrozze, ed in conseguenza anche non disagiata a chi non volendo, o non potendo valersi del comodo, facesse a piedi il viaggio».

Nel 1821, Vito Procaccini Ricci, riferisce: «Ad uno scarso miglio fuori la porta Faul terminata appena la pubblica strada scavata per mezzo le materie arse, e precisamente dove l’arte degli Ortolani ha inalzato un muro a foggia di Cappelletta colla dipinta imagine del SS. Salvatore, si vede aperta un ampla grotta sepolcrale che comunica con altre due adiacenti alla sinistra, ed una contigua alla destra».

Con notificazione del 13 Gennaio 1817 il delegato apostolico Benedetto Cappelletti, sulla base della perizia eseguita dall’architetto Tommaso Giusti, ordinò il riattamento della Strada Bagni ricompensando gli operai come segue:
«Il lavoro anzidetto occuperà la Classe degl’Uomini indigenti, ed abili al travaglio col metodo seguente, riguardo alle retribuzioni. I Ragazzi dagli Anni 8 alli 12 averanno Zuppa, oncie 8 di pane, e baj 1 al giorno. Dalli 12 alli 16 Zuppa, oncie 10 pane, baj 3. Dalli 16 alli 18 Zuppa, oncie 10 pane, baj 5. Oltre li 18, Zuppa, oncie 12 pane, baj 7».

Nel Museo civico è conservata una lastra in peperino, proveniente da un sito non identificato posto lungo la Strada Bagni, con epigrafe del 1602 entro cornice a rilievo, caratterizzata da volute e bucranio. Ricorda un possesso dell’Arte dei Bifolchi di Viterbo con la scritta: D.O.M. / Ars bubulcorum / Viterbien / MDCII.

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