Viterbo STORIA VISSUTA
Liberamente tratto dall’opera “I profumi semplici della vita” di Maria Antonietta Ellebori

Nei tempi odierni sul calendario vengono annotati gli appuntamenti di lavoro, le scadenze delle bollette o delle assicurazioni, le visite dal medico od il dosaggio delle medicine; nelle campagne degli anni cinquanta sul “calendario di Frate Indovino” si sottolineava il giorno per la semina o la potatura di alcune culture, decisa dalla fase lunare propizia, che veniva osservata anche nella pratica familiare, come il taglio dei capelli od il cambio della biancheria nei cassetti; invece, nei quartieri di periferia del dopoguerra, sul calendario si cerchiavano con il lapis copiativo gli avvenimenti ritenuti significativi da tutto il rione, come quello riportato di seguito.

La lumacata di san Giovanni

La bambina aveva sette anni ed era il mese di maggio, quando finalmente trovò il coraggio di chiedere al padre se la volesse portare con sé a raccogliere le lumache, per la “lumacata” della vigilia di San Giovanni.

Al che, con furbizia malevola, al pensiero che una bambina è pur sempre un intralcio alle cose dei grandi, e nell’intento di scoraggiarla, lui aveva risposto: “Io esco alle tre del mattino, e chi è sveglia può seguirmi”.

Alle due e cinquantacinque lei era alzata, lavata e pettinata, ed accanto all’uscio di casa.

Sorridendo ed in parte anche lusingato, senza darlo a divedere, poiché ne aveva previsto l’esito, l’uomo si incamminò seguito come un cagnolino dalla ragazzina.

Uscirono nella notte, la strada illuminata dalla luna piena (ecco spiegato il motivo perché, nei giorni precedenti, lui controllasse il calendario di “Frate Indovino”, appeso al muro della cucina), mentre, nella notte ancora fonda, risaltava il calpestio delle scarpe ed il cigolio del secchietto di alluminio, portato dalla piccolina.

Dopo un’oretta presero un sentiero bianco di terra battuta, che si snodava tra i campi di grano ancora verde, ma con le spighe già formate: nel silenzio il canto insistente e ripetuto dei grilli e la luce bassa di qualche lucciola ritardataria in mezzo all’erba.

Raggiunto quello che sembrava un muro di confine tra poderi, il padre si fermò, rovesciò il suo secchio (grande) e ci si sedette sopra.

La bambina fece lo stesso.

Alzò gli occhi al cielo e ne rimase affascinata: una miriade di stelle la portava a considerare la maestosità dell’universo; il benessere fisico portato dal fresco della notte ed il profumo della mentuccia selvatica che aveva calpestato erano emozioni mai provate; ma, soprattutto, provava la sensazione di non “avere paura” di nulla, anche se si fosse trovata sola in quel campo sconfinato.

Il cielo divenne dapprima rosa, poi giallo, poi bianco, finché fu giorno.

Il muro apparve in tutta la sua lunghezza: era fatiscente e costruito a secco con i sassi raccolti durante l’aratura del terreno limitrofo.

L’uomo si alzò e costeggiandolo a tratti si chinava e raccoglieva le lumache che uscivano dal letargo notturno; la bambina le prendeva delicatamente una per una, nell’intento di eludere la bava scivolosa, l’unica cosa che le procurasse un fastidio schifoso, che non vedeva l’ora di togliere sotto l’acqua corrente della prima fontanella sulla strada; ma era grata a suo padre per averle permesso quelle emozioni, che non avrebbe dimenticato.

A casa, era compito della mamma tutto quello che riguardasse la realizzazione della pietanza: si lasciavano “spurgare” le lumache per una settimana, poi si prendevano soltanto quelle ancora vive e si lavavano ripetutamente con acqua e sale ed aceto; si immergevano in abbondante acqua e si mettevano a fuoco basso, finché parte usciva dal guscio; si alzava all’improvviso la fiamma e si concludeva la cottura aggiungendo sale, peperoncino piccante e mentuccia; scolate, si immergevano in un sughetto preparato abbondante olio, aglio, alici sotto sale diliscate altro peperoncino, abbondante mentuccia e polpa di pomodoro passata al setaccio; si insaporivano per circa un’ora ed il “manicaretto” era pronto.

Alla vigilia di San Giovanni, il piazzale antistante le abitazioni veniva spruzzato con acqua e spazzato fin dalla mattina; nel tardo pomeriggio i papà allestivano una lunga tavolata con cavalletti di legno, mentre altri tiravano, tra due pali, un filo volante al quale appendere le lampadine, momentaneamente svitate nell’una o nell’altra casa; nel crepuscolo venivano stese le tovaglie di colori diversi, così come erano diversi i bicchieri e le posate decise da ciascuna famiglia.

Quando tutti avevano preso posto, qualcuno fischiava per tre volte ed uscivano le massaie con i tegami fumanti.

Nell’aria il profumo della mentuccia, ma predominante era … un altro; ed è un profumo che soltanto chi lo prova può sentirlo.

Nella notte, appena rischiarata dalle fioche lampade a basso consumo, si sentiva soltanto il battere delle forchette ed il succhiare dei commensali impegnati a “gustare” quella leccornia.

Invece la bambina aveva un segreto per mangiarla più velocemente: con un dentino faceva un piccolo buco sul dorso della lumaca, poi succhiava e tutto usciva fuori senza problemi e senza l’ausilio di attrezzi vari.

Credetela … funzionava davvero!

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