Villa san Giovanni in Tuscia STORIA
Micaela Merlino, archeologa

 

Mrs Elizabeth Caroline Hamilton Gray

Mrs Elizabeth Caroline Hamilton Gray nutrì una vera passione per la Civiltà Etrusca, scrisse un diario di viaggio e un’opera storica e nonostante i giudizi severi che su di lei espresse George Dennis, la sua biografia e le sue opere sono emblematiche del lungo cammino di emancipazione delle donne nel XIX secolo anche nel campo del sapere.

Il viaggio in Italia di Mrs Elizabeth Hamilton Gray (1801-1887) e di suo marito, il reverendo John Hamilton Gray (1800-1867), fu inizialmente programmato non per interessi eruditi, quanto per motivi di salute. Elizabeth Caroline Johnstone e John si erano conosciuti nel 1828, e dopo il loro fidanzamento costui aveva preso gli ordini sacri. Si sposarono nel 1829 e in quello stesso anno John accettò la curazìa di Bolsover e Scarliffe nel Derbyshire.

Ma già dal 1832 la salute di Elizabeth non era buona, cosicchè i medici le consigliarono, come era d’uso all’epoca, di andare a trascorrere i mesi invernali in un paese dal clima più mite. La coppia si trasferì a Parigi, e qui nel 1833 nacque la loro prima figlia Caroline Marie Agnes, ma poco dopo tornarono in Inghilterra.

Nel 1835 Elizabeth diede alla luce una seconda figlia, Sophia Lucy, che però morì tre mesi dopo. Forse anche questo dispiacere contribuì a compromettere di nuovo il suo precario stato di salute, tanto che nel 1836 i coniugi decisero di stabilirsi in Germania nella zona di Schwallbach. Tuttavia rendendosi necessario un clima ancora più caldo si rimisero in viaggio, e dopo aver fatto tappa a Francoforte e Monaco di Baviera giunsero in Italia.

Nel Dicembre 1837 incontrarono a Pisa l’archeologo e storico livornese, ma fiorentino d’adozione, Giuseppe Micali (1769-1844), che consigliò loro di visitare le necropoli etrusche, avvertendo però Elizabeth che quei siti ormai selvaggi e abbandonati potevano creare qualche difficoltà ad una signora. Pochi anni prima dell’incontro con gli Hamilton Gray il Micali aveva pubblicato un altro saggio storico in due volumi dal titolo “Storia degli antichi popoli italiani” (1832), a cui era allegato un nuovo Atlante, e ben tre capitoli erano dedicati alla storia degli Etruschi che egli considerava di origine toscana, cioè autoctona.

Nel 1833 per i suoi meriti di ricerca era diventato socio del prestigioso “Istituto di Corrispondenza Archeologica” (più tardi denominato “Istituto Archeologico Germanico”). Finalmente nel Gennaio 1838 la coppia arrivò a Roma. Grazie ad uno stato di salute migliorato, ben presto quello che doveva essere un viaggio terapeutico si trasformò per entrambi i coniugi in una meravigliosa occasione per conoscere da vicino sia le Antichità di Roma e del suo circondario, sia quelle del territorio un tempo appartenente agli Etruschi.

In verità la passione per l’Archeologia, e soprattutto per l’Etruscologia, fu suscitata in Elizabeth già in Inghilterra durante una visita che la coppia fece nell’estate del 1837 a Samuel Butler (1774-1839), dal 1836 Vescovo anglicano di Lichfield e Coventry, nonché Direttore della prestigiosa Scuola Shrewsbury. Il Butler (nonno del romanziere omonimo) era uno studioso di Antichità Classica, un filologo e bibliofilo, nonché collezionista di opere d’Arte antica. Proprio costui parlò con entusiasmo ai suoi ospiti della prima mostra di Antichità Etrusche fuori d’Italia, quella promossa nel 1837 dai fratelli Campanari a Londra ed allestita nella Galleria Pall Mall.

Incuriosita dall’entusiastico resoconto del Butler, circa due mesi dopo la coppia andò a visitare di persona la mostra, ed Elizabeth ne rimase letteralmente affascinata, anche perché poté vedere suggestive ricostruzioni di sepolcri etruschi in sale illuminate da torce, e resti di pitture funerarie etrusche. Giunti a Roma sia John che Elizabeth, cosa insolita per una donna a quell’epoca, ma complice il fatto di essere la moglie di un uomo di riguardo, frequentarono le lezioni di Archeologia che insigni studiosi tenevano presso l’ “Istituto di Corrispondenza Archeologica” sul Campidoglio. Il lungo soggiorno in Italia fu un’altra importante occasione che permise alla signora Hamilton Gray di approfondire le sue conoscenze in merito alle Antichità di Roma e all’Etruscologia.

Contemporaneamente la coppia si dedicò con molto piacere a “giri turistici”, visitando numerosi siti archeologici ed importanti Musei di Antichità, quali il Museo Kircheriano e il Museo Pontificio (cioè i Musei Vaticani), e collezioni private come quella allestita nella propria dimora dal generale Vincenzo Galassi scopritore nel 1836 a Cerveteri, insieme all’Arciprete Don Alessandro Regolini, della famosa tomba che da loro prese il nome. In queste visite Elizabeth e suo marito erano accompagnati da importanti archeologi tra cui soprattutto il romano Antonio Nibby (1792-1839), professore di Archeologia nell’Archiginnasio di Roma, membro di numerose Accademie per meriti scientifici, scrittore di saggi storico-archeologici, e che dal 1827 al 1832 era stato Direttore degli scavi nella valle del Colosseo e nel Foro Romano.

Nel 1837, poco prima dell’arrivo dei coniugi Hamilton Gray a Roma, aveva dato alle stampe una delle sue opere più importanti dal titolo “Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de’ dintorni di Roma”, e nel 1838 uscì il primo dei quattro volumi di un’altra sua opera fondamentale “Roma nell’anno 1838”. La coppia fece appena in tempo ad apprezzare l’erudizione e la profonda passione per l’Archeologia del Nibby, il quale ammalatosi morì nel Dicembre del 1839. Su consiglio del Micali, Elizabeth e suo marito fecero escursioni anche nel territorio dell’antica Etruria, visitando Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci, Toscanella (Tuscania), Castel d’Asso, Chiusi.

Queste gite destarono particolare interesse in Elizabeth, tanto che quando la coppi tornò in Inghilterra cominciò a scrivere un resoconto in forma di diario delle meravigliose esperienze vissute. Lo scritto fu pubblicato nel 1841 con il titolo “Tour to the Sepulchres of Etruria” (“Viaggio ai sepolcri d’Etruria”), opera nella quale Elizabeth riportò notizie molto dettagliate sui siti e sui manufatti che aveva visto.

Tuttavia per evitare che il suo scritto fosse considerato un atto di arroganza e che cadesse sotto la mannaia censoria di intellettuali più preparati di lei, tutti rigorosamente maschi, nell’Introduzione scrisse che si doleva del fatto che la sua scarsa cultura e la sua fragile memoria non le avessero permesso di comporre un’opera migliore, affrettandosi ad aggiungere che il libro non era destinato ad un pubblico di studiosi bensì agli “ignoranti”, cioè a chi aveva scarsissime conoscenze di storia e di archeologia, ed anche ai “turisti”, in genere poco preparati in merito ai luoghi antichi che visitavano.

Malgrado fosse stata scritta da una donna, l’opera fu accolta e recensita favorevolmente, l’interessante tema trattato e la sua educata modestia avevano dato i loro frutti. Negli anni seguenti Elizabeth continuò a coltivare la sua passione per gli Etruschi, e nel 1844 diede alle stampe un secondo libro dal titolo “History of Etruria” (“Storia dell’Etruria”).

Ma all’orizzonte era spuntato un censore, e bisogna ammettere che la sua severità andava a braccetto con una certa dose di misoginia. George Dennis (1814-1898) nel 1844 pubblicò nella rivista “Dublin University Magazine” una recensione molto aspra, scagliandosi soprattutto contro la seconda opera della Hamilton Gray. Senza alcuna remora per svalutare la credibilità dell’autrice si appellò ad un pregiudizio largamente diffuso all’epoca, quello della “female mind” (“mente femminile”), che liquidò come “warm, imaginative, indisposed to doubt, eager to conclude” (“calda, immaginativa, non disposta al dubbio, desiderosa di giungere alle conclusioni”).

Per il fatto di essere donna, questi difetti erano riscontrabili anche nel modo in cui Mrs. Hamilton Gray aveva trattato una materia così impegnativa come la storia etrusca. Nel complesso egli riteneva che la mente femminile fosse “so rarely ratiocinative!” (“così raramente razionale!”), perciò era impossibile che una donna potesse scrivere un’opera storica di valore. Il livore del Dennis vanificava, mi pare, la precauzione che aveva spinto Elizabeth a “scusarsi” con i lettori già nell’Introduzione alla sua prima opera.

Infatti, per l’aspro censore i numerosi difetti di metodo e di contenuto riscontrati non derivavano solo dalla sua scarsa preparazione culturale, bensì originavano da un congenito “difetto di natura” per il quale non c’era rimedio: la mente inferiore delle donne non permetteva loro di occuparsi seriamente di cultura. La lunga strada dell’emancipazione femminile è passata, invece, anche attraverso la scrittura, e nel caso particolare attraverso la letteratura di viaggio e la saggistica storica avente per tema gli Etruschi e la loro terra.

Purtroppo, però, anche oggi le opere della Hamilton Gray sono in genere poco conosciute dal grande pubblico, e lette e consultate soltanto da chi ha interessi specifici nel settore, mentre la vasta opera del Dennis “The Cities and Cemeteries of Etruria” (“Città e necropoli d’Etruria”) pubblicata nel 1848 e ripubblicata varie volte, è più conosciuta, divulgata, citata e fortunatamente nel 2015 è stata pubblicata la prima edizione integrale in lingua italiana. Senza voler nulla togliere a quest’opera così importante per gli studi di Etruscologia, e alla sua meritata fama, non va dimenticato che per un certo periodo in Inghilterra questo libro non fu apprezzato, e fu pochissimo conosciuto, anche perché sul Dennis pesava il pregiudizio della mancanza di una formazione accademica.

Anche lui dovette spesso sopportare recensioni poco lusinghiere, prima di vedere ricompensato con onori e riconoscimenti il suo lavoro. Tornando a Mrs. Elizabeth, non c’è dubbio che in una società che in generale mal tollerava interessi femminili extradomestici, ella sia riuscita a lasciare una positiva impronta della sua personalità. Fu una donna intelligente, desiderosa di conoscere, e coraggiosa. Bisogna aggiungere che sicuramente il reverendo John Hamilton Gray non si vergognò mai di avere accanto una donna intraprendente provvista di una vivace e curiosa “female mind”, e soprattutto una compagna di vita con la quale condividere viaggi ed interessi.

Egli costituiva l’altra faccia di un universo maschile non a senso unico, un gruppo minoritario di uomini che intelligentemente sapevano accettare, apprezzare e perfino sollecitare, o almeno non osteggiare, gli interessi culturali delle donne.