Viterbo LA STORIA DI VITERBO
Mauro Galeotti (dal libro L'illustrissima Città di Viterbo)

Lungo le mura di Via del Pilastro è una pietra con su scolpiti una martellina e un martello, è una pietra di riporto, insegna di un fabbro? Chissà! L'hai mai vista?

Sul tratto di mura che va da Porta Bove a Porta Faul si trovano due torri. Scrive della Tuccia, come ho già riferito, che nel 1215 fu fatto «il muro sotto detta porta [di Bove] sino alle ripe, ove fu fatta una torre».

Durante l’assedio di Federico II, nel 1243, questo tratto di mura fu assai impegnato per la difesa della città tanto che i Viterbesi si videro costretti ad erigere da Porta di Pianoscarano sino a Porta di santa Lucia una lunga sequenza di carbonare e steccata, ma non sicuri del risultato, scavarono sotto terra cunicoli che dalla città conducevano nei campi esterni alle mura per sorprendere ed offendere il nemico alle spalle.
Mi piace riportare, con le parole di Francesco d’Andrea, una descrizione dell’attacco all’imperatore Federico II, che mi sembra di particolare interesse.

«Poi che lo imperatore vidde li dicti fanti [erano più di seimila provenienti da Firenze, Pisa, Pistoia, Pietrasanta, Siena, Lucca e Arezzo], comandò che fussero trovati assai legni per fare castelli di legnami et anche ponti per posser rompere le steccata; et fe’ fare XXVI castelli et ponti et una manganella, la quale posero ad Sancto Pavolo [Paolo, verso la Strada Signorino]; per la qual cosa li Viterbesi di novo rinforzorno le steccata, et ferno maggior fossi et fecero una buffa [una macchina per lanciare le pietre] grande et una piccola, et si le pusero nel piano sopra Sancta Maria della Ginestra, et continuo gettavano nel castello di Sancto Lorenzo et nel campo de l’imperatore; et fecero molte manganella et altri edifitii et molti pulzoni con le teste di ferro, con li quali rompevano le castella di legno, et ferno molti graffioni [uncini di ferro] o veramente petre lupo [piè di lupo] con le rustiche di legno, con li quali pigliaveno li castella et li gettavano in terra; et fecero più vie sotto terra, onde escivano ad offendere li nimici. 
Et fore delle carbonare fecero le steccate, acciò che le castella di legno non si potessero acostare, ficcandoci assai passoni de legno; et sparsero assai tribuli de ferro, acciò che intrassero nelle piante delli piedi delli inimici appiede e a cavallo».

L’imperatore dotò invece il suo esercito di vari mezzi di offesa tra questi, scrive Pinzi, «Innalzò dipoi su carro un alto e sorprendente edificio, addimandato “maristalla”; di tale lunghezza da rassembrare al guscio di una nave. Potea questo capire ben trenta guerrieri. Era sul dinnanzi tessuto di squamme di ferro, per proteggerlo dai bolzoni lanciati dalle catapulte; e avea al sommo un rostro ricurvo, robusto e sì sporgente, che, dall’opposta ripa del fosso, giungea fino allo steccato; ove afferrati i pali, così saldamente vi si tenea, da permettere ai combattenti dentro racchiusi, di tempestare con dardi pietre, lancie e saette i difensori del vallo. Saldate poi ai fianchi avea catene con fortissimi uncini, i quali comunque scagliati, si appigliavano alla palizzata, per svellerla e rovesciarla».

Il cronista d’Andrea fa risalire la costruzione del tratto di mura dalla Torre di Sassovivo alla Valle di Faul all’anno 1257, lo stesso fa della Tuccia che scrive «fu fatto il muro a piè di Faule sino alle ripe di S. Chimente [Porta di Valle] il qual loco si chiamava la Valle del Tignoso».

Torre di Sassovivo

Convengono con questo anno anche Ceccotti e Cristofori.
Pinzi e Scriattoli, invece, pongono la costruzione all’anno 1268, basando la tesi, come fanno pure Giuseppe Signorelli e Pietro Egidi, sulla iscrizione, su peperino, murata sul lato sinistro di Porta Faul che riferisce:
Mille ducentenis / octo cum ses q(uo)q(ue) denis / annis hos fieri natus / stirps clara Ra(i)nerii / Gatti vi Verbi capita / neus ipse Viterbi / feci[t Visconte muro-] / s [cum divite fon]te / [turris ab utraq]ue pa / [rte Fabulis aq]ue.

Tradotta: Nell’anno 1268 l’illustre stirpe di Raniero Gatti, Visconte, per grazia di Dio capitano egli stesso di Viterbo, fece costruire queste mura con una fonte ricca di acque, al di qua e al di là della torre del fosso di Faul.

L'epigrafe del 1268

L’iscrizione è andata sfaldandosi in questi ultimi quindici anni. Nel 1974 ho eseguito una fotografia alla stessa, quando era ancora intiera, dimostra che il capitano del popolo, Visconte Gatti, fece costruire le mura a Faul dalla Torre dei monaci di Sassovivo, a quella di san Carlo verso Porta del Carmine.

Questa zona è stata da sempre poco abitata, quindi era facile ed opportuna l’emissione di bandi come quello che riferisco di seguito.

Bando / Per la polizia delle Strade della Città, in data 24 Gennaio 1713, il vescovo di Viterbo cardinale Michelangelo Conti, tra l’altro ordina:
«Che veruno ardisca buttare per i vicoli, ò altri luoghi, benche remoti dentro la Città animali morti, comprendendovi anco animali minuti, come Cani, Gatti, ò altro & c. mà debbano portarli fuori della Porta di Faul nel luogo detto la Carogna destinato per tale effetto, sotto pena di scudi dieci per ciascheduna volta, e Persona, & altre pene corporali ad arbitrio & c.».

Ancora appresso, per la raccolta degli animali morti, sarà nominata la Carogna; un nome più che mai appropriato.

Nel trimestre Aprile Maggio Giugno 1739, i priori ricordano ai loro successori:
«Rovinò un masso di tufo sotto la muraglia castellana verso la Carogna, [oggi è quella zona compresa tra Via del Pilastro e Porta Faul] e poiché con il tempo potrebbero riceverene pregiudizio notabile colla rovina di dette muraglie castellane da noi riconosciuta coll’assistenza di M° Giuseppe Prada [† 1756], fù ordinato al medesimo che facesse la perizia di quello abbisognano per riparare a dicti danni, quale non è stata ancora dal medesimo terminata, che però la sollecitaranno con far anche reflessione che essendovi un torrioncino ad uso di Palombara che se ne servono i Sig.ri Bussi, se li medesimi sieno tenuti a concorrere al detto riattamento».

Nel terzo trimestre 1739, lo stesso fatto, viene così ricordato ai priori del trimestre successivo.
«Rovinò un masso di tufo sotto la Muraglia Castellana nella strada della Carogna, e poiche con il tempo si puole giustamente temere che potessero anche patire e cadere le dette Muraglie Castellane fu da noi fatta fare la perizia da M° Giuseppe Prada di quello doveva farsi per dar riparo che non si ritrovassero ulteriori danni colla perizia anche dell’importanza della spesa ma per occasione credendo che debbano concorrere alla detta spesa anche i Sig.ri Bussi possessori della vigna cinta da dette muraglie tanto più che in dette muraglie vi è un casalino ad uso e servizio di detti Bussi che perciò si è stimato bene di attendere la volontà di detti Signori nel prossimo autunno per farne una parte colli medesimi per vedere se amichevolmente vogliono concorrere detta nostra spesa prima d’intentare il giudizio e ricorrer poi dai signori Superiori da Roma per la dovuta licenza per detta spesa et in questa congiuntura far risarcire anche la Muraglia Castellana dentro il Barbacane ritenuto dalli Sig.ri Vaccari fuori la Porta di Pian’Ascarano che è principiata a smantellarsi e con il tempo può recare maggiore pregiudizio».

E di nuovo dai Ricordi dei priori nel trimestre Ottobre Novembre Dicembre 1739:
«Ritrovandosi ora in Viterbo il Sig. Co: Raniero Bussi si compiaceranno di sentire dal medesimo quello senta per la porzione che si crede possa al medesimo spettare per la muraglia che si deve fare per assicurare la Muraglia Castellana sopra la Carogna acciò non rovini essendogli mancato il tufo caduto annesso a detta Muraglia».

Via del Pilastro con la Torre di Sassovivo alla fine dell'800 (Archivio Mauro Galeotti)

Voglio ricordare che uno stradello che si apriva a poche decine di metri avanti alla Torre Bove, verso il Riello, veniva detto Strada della Carognetta. Francesco Cristofori sul suo periodico Viterbo del 25 Luglio 1905 scrive «nella “carognetta”, così detta, sotto il poggio così detto delle fornaci a Faul cemeterio de’ quadrupedi», era in questo luogo infatti, come visto, che venivano seppellite, sin dalla seconda metà del 1600 intorno al Poggio de’ Giudei, le carcasse dei quadrupedi.

Un editto del 16 Giugno 1790, già emesso il 4 Aprile 1782, valuta «che i Corpi delle Bestie morte, che si portano a scorticare fuori della porta di Faul nel luogo volgarmente chiamato la Carogna contribuiscono moltissimo a mantenere in quella parte specialmente l’Aria impregnata di cattivi vapori, oltre l’indecente vista di detti Corpi d’animali morti in tanta vicinanza, e nel contorno delle mura della Città, ed in altri luoghi ad essa prossimi, anche per i ricorsi da molti sù tal particolare nuovamente ricevuti».

Quindi vi furono delle proteste per «l’indecente vista» e, per tale motivo, venne stabilito che gli animali morti venissero seppelliti attorno alla caldaia del Bullicame, ubicata assai lontano dalla città e dalla vista dei passanti.

Cristofori scrive ancora, sul medesimo periodico, uscito il 10 Agosto 1905, in merito ai proprietari del barbacane presso Porta Faul detto della Carogna:
«Nel MDCCXII, addì XX maggio, come in riforme fol. XXXVII, Domenico Porticelli nobil arbanico [viterbese] succedè ai Cerbelli, che abbandonarono il barbacane denominato della Carogna a Faul. Nel MDCXCI ad essi concesso. Come in riforme. Succedendo i Cerbelli nell’util dominio al nobil arbanico Jacopo Poggi. Che, come in riforme, fol. CLXIII, addì VI maggio nel MDCXXIV l’ebbe in util dominio nel XVII secolo. E già nel XVI secolo dal comune come, in riforme fol. XI fu locato in enfiteusi a certo Gian Lorenzo del Caruso. Esso è quello sotto il poggio or denominato delle Fornaci».

Il nome delle fornaci deriva dai forni per la cottura dei laterizi e più tardi della calce.

Nel trimestre Luglio Agosto Settembre 1754 trovo ancora nei Ricordi dei priori che «Si è riscontrato ancora, che per molti anni non è stato esatto da’ i Depositari pro tempore l’annua somma di scudi 72 per livello del Barbacane esistente dirimpetto alla Chiesa dè Giustiziati [Chiesa di santa Maria di Valverde] goduto dai Sig.ri Bonelli e presentemente si gode dalla Sig.ra Ippolita Polidori, noi frattanto abbiamo fatto presentare il sequestro a’ Cammillo Falchetti di lei affittuario onde invigileranno perché vengano effettuati detti pagamenti».

Sin dall’inizio dell’anno 1758 si era potuto constatare che le mura castellane in Contrada Belvedere, compresa tra la Porta Bove e la Torre di Sassovivo, erano cadute in rovina, così il 17 Aprile fu ordinata una perizia ai capi muratori Bernardino Masini e Francesco Antonio Giraldini. Ma solo il 30 Luglio l’interessante relazione fu letta ai conservatori, essa riferisce come era composta la struttura delle mura e così si esprime:
«esser caduto il detto muro [in Contrada Belvedere vicino alla vigna di Casa Bussi] per mancanza de’ fondamenti consumati da’ geli e dal tempo, dirupato il tufo e materia sopra di cui era stato fabricato, ed essere di lunghezza circa palmi duecento, alto ragguagliato dal fondamento alla cima circa palmi cinquantacinque, grosso palmi sei, quale era fabbricato di dentro di tufo e nella facciata di peperino in cortello, e dovendosi riedificare si giudica da noi sufficiente rifarlo di altezza di palmi trenta regguagliato col fondamento, e palmi quattro grossezza col riporvi nella facciata gli istessi sassi di peperino in piano, dentro li materiali medesimi di tufo; e perché si deve considerare l'incommodo del trasporto de’ sopraddetti materiali per l’altezza da dove sono sino dove si porranno in opera e dell’acqua lontana dalla fabrica, stimiamo che non possa farsi a minor prezzo di scudo uno e denari 30 la canna a robba e fattura dandosi in detto prezzo li materiali suddetti demoliti non sufficienti per esser triturati gli esistenti, che in tutto il detto muro ascenderà a circa canne 120 e perché è necessario collegar detto muro, e fortezzarlo con numero otto barbacani, o sieno catene di lunghezza palmi dieci l’uno, altezza simile, grossezza palmi tre a coda di rondine; che in tutto detti barbacani circa canne dodici, ascenderà tutto il muro da farsi all’altezza, grossezza e lunghezza sopraddetta compresivi li suddetti barbacani a circa canne centotrentadue, che a scudo uno e bajocchi trenta la canna come sopra a circa scudi cento settantuno e bajocchi sessanta», così riferiscono le Riforme e il 24 Settembre 1758 venne emesso il bando per il restauro delle predette mura.

Il giorno dopo fu accesa la candela in attesa delle offerte ai lavori, ma solo il 29 arrivò un’offerta, era quella di mastro Valentino Caratelli e il 15 Ottobre si offrì la vigesima da mastro Gaetano Massarelli.

Le offerte furono sottoposte ai conservatori che ritennero più vantaggiosa quella del viterbese Massarelli, e a lui, in data 28 Novembre, furono aggiudicati i lavori. Il Massarelli aveva l’obbligo di terminare i lavori allo scadere di due mesi a decorrere dal 1° Gennaio 1759, inoltre doveva restaurare «tutto il rimanente delle mura da incominciare dal sito dove si fa il detto riattamento insino al torrione esistente verso la Porta di Faule tanto dalla parte esteriore, che interiore da ogni sorte di arboscello, radici, macerie e da tutt’altro che potesse apportar pregiudizio». A lavoro terminato i conservatori compensarono il Massarelli con novantadue baiocchi e mezzo la canna.

Nel secondo trimestre 1772 i priori ai loro successori ricordano:
«Si dovrà proporre in sequela dell’ordine della Sacra Congregazione in Consiglio Generale il riattamento da farsi delle Mura Castellane in contrada il Ridotto [detta anche “lo Spurgo”]», posta in fondo alla Valle di sant’Antonio «dietro al mulino ad olio del Balaschetto», così nel 1850; «come ancora di potersi livellare a Luciano Laleoni il sito contiguo a queste mura Castellane in contrada il Pilastro ritenuto in enfiteusi altra volta dalla Famiglia Penna».

Oggi tra la Torre di Sassovivo e Porta Faul sono alcune inopportune casupole, un tempo adibite per lo più a stalle, stonano alquanto con l’ambiente in cui sono state inserite.

Sulle mura, a circa cinquanta metri prima di raggiungere Porta Faul, all’altezza del n° civico 22 di Via del Pilastro, è murato sulla sommità, all’ultima fila di pietre, un concio in peperino, con su scolpiti, in bassorilievo, una martellina e un martello. La pietra è stata murata in questo luogo, come materiale di recupero da altro sito.

Nella parte a monte del tratto di mura in questione, a sinistra di chi guarda Torre Bove dall’interno, a seguito della ripulitura del terreno (2001), da rovi e sterpi, da parte del proprietario Francesco Pio Marcoccia, ho potuto notare che le mura presentano, nelle prime file di conci in basso, una serie di fori obliqui equidistanti. Ipotizzo che potevano essere in essi inseriti dei pali di legno a sostegno di passerelle atte a difendere le mura.

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