Veio STORIA
Micaela Merlino

Tomba delle Anatre

Nel 2006 nel “Parco Archeologico di Portonaccio” a Veio durante un’operazione del “Nucleo Patrimonio Artistico” dei Carabinieri, fu rinvenuta la “Tomba dei Leoni ruggenti” un sepolcro a camera datato tra il 700 e il 690 a.C., scavato nel tufo e preceduto da un lungo dromos con banchine laterali.

Si tratta della più antica tomba etrusca dipinta finora conosciuta.

La parete di fondo della camera sepolcrale è decorata con un dipinto che raffigura quattro animali selvaggi con le fauci spalancate e i denti aguzzi, identificati come leoni, mentre al di sopra corre un fregio con due file di anatre; anche la parete destra è decorata con un fregio raffigurante tali animali acquatici.

“Tomba dei Leoni ruggenti”

Il contorno è reso in rosso o in nero, mentre il piumaggio è raffigurato con un reticolo di ascendenza euboica, oppure da un motivo detto “a diabolo” di tradizione corinzia. Una delle anatre presenta un motivo originale ed attestato solo qui, cioè la figura di un volatile reso a schizzo all’interno del suo corpo.

Un altro antico esempio di pittura funeraria è costituito dalla decorazione della “Tomba delle Anatre” risalente al secondo quarto del VII secolo, scoperta più di cinquant’anni fa sempre a Veio nella necropoli “Riserva del Bagno”, ad ovest dell’antica città etrusca.

E’ una piccola camera funeraria a pianta rettangolare con una banchina che corre lungo la parete sinistra, sormontata in alto da due profondi incassi. Il soffitto a quattro falde imita quello di una tenda a padiglione, dipinta alternativamente in rosso e in giallo. All’interno furono rinvenuti pochi resti del corredo.

Lungo le pareti è dipinto, senza fondo preparatorio, uno zoccolo di colore rosso, al di sopra del quale nella parete di fondo e in quella destra corre un fregio formato da una fascia a cinque strisce di colori alternati (nero, rosso, nero, giallo e di nuovo nero). In tutte le pareti ancora più in alto corre un altro fregio di colore giallo.

Nella parete di fondo è rappresentata una teoria di cinque graziose anatre gradienti verso sinistra, realizzate in due diverse tecniche pittoriche, sia a silhouette, cioè le figure sono tracciate solo con la linea di contorno, sia con la campitura di colore, alternativamente in rosso e in giallo, mentre i particolari del piumaggio sono resi con un reticolo nero.

L’iconografia delle anatre deriva dal patrimonio decorativo faunistico tipico della ceramica italo-geometrica; in particolare la caratteristica incurvatura dei becchi, delle zampe e delle code trova riscontri nella classe ceramica ceretana detta “ad Aironi” di età sub geometrica. Dunque si notano stretti rapporti tra la pittura parietale funeraria e la pittura vascolare di età geometrica e sub geometrica, sia a Caere che a Veio, e non bisogna dimenticare che gli stessi temi iconografici animalistici, resi nel medesimo stile, molto probabilmente si trovavano anche nelle pitture che decoravano le case etrusche, insieme ad altri motivi fitomorfi ed a scene narrative.

La scelta di animali nelle rappresentazioni funerarie etrusche si spiega con il successo che tali temi decorativi avevano nella ceramografia contemporanea, ma anche con la conoscenza che gli Etruschi avevano del patrimonio mitologico vicino-orientale e greco, nel quale c’erano molti episodi che vedevano protagonisti gli animali.

Forse sia sulla base di spunti mitologici “stranieri”, sia di racconti mitologici autoctoni, che però non conosciamo, alcuni elementi faunistici furono rifunzionalizzati in chiave funeraria per esprimere significati simbolici magico-religiosi collegati alla morte e all’Aldilà. Spingendosi ancora più in là con l’interpretazione, forse è plausibile che, almeno in alcuni casi, gli animali raffigurati nelle tombe potessero simboleggiare il destino dell’anima dopo la sua dipartita dal corpo mortale.

Per esempio alcune specie di anatre, uccelli anseriformi appartenenti alla famiglia degli Anatidi, sono delle abili nuotatrici ed hanno la peculiarità di vivere per la maggior parte del tempo in acqua popolando stagni, laghi, piccoli corsi d’acqua ma anche le rive del mare. Forse proprio questo stretto legame con l’acqua potrebbe aver indotto gli Etruschi ad utilizzare l’anatra, per simboleggiare o un animale psicopompo (accompagnatore dell’anima nell’Aldilà), o come allegoria dell’anima stessa del defunto e del suo destino post mortem.

L’anatra dal bel piumaggio, elegante e docile, nuota placidamente sulla superficie dell’acqua, come fa l’anima che si appresta ad attraversare l’ultimo confine che separa la dimensione umana (la terra) dalla dimensione ultraterrena (gli Inferi sottoterra, o il cielo), immaginato come una distesa d’acqua. Inoltre le anatre condividono con molti altri uccelli abitudini migratorie, spostamenti ciclici da un habitat all’altro che altrettanto bene potevano simboleggiare il viaggio dell’anima verso il mondo dell’Aldilà alla fine del ciclo vitale.

Né credo possa essere dimenticato il grande valore simbolico-profetico che gli Etruschi attribuivano agli uccelli, considerati una sorta di messaggeri degli Dèi, per via della possibilità di volare e di spostarsi velocemente tra la terra e il cielo. Dunque erano considerati animali in rapporto privilegiato con dimensioni diverse da quella umana, e capaci di metterle in relazione attraverso la loro presenza; ciò spiega l’importanza che tale popolo diede all’osservazione del volo degli uccelli, a fini divinatori.

Il leone, invece, è un mammifero della famiglia dei Felidi, animale poderoso e forte, i cui individui maschi possono arrivare a pesare anche oltre i 250 chili. Considerato già nell’Antichità da molte culture il re degli animali, era associato al sole per via della sua folta criniera, ed era ritenuto l’animale più nobile, più forte e coraggioso di tutti.

Sue raffigurazioni compaiono già in grotte utilizzate dall’uomo nel Paleolitico superiore, come mostra il caso della “Grotta di Chauvet” scoperta in Francia nel 1994 dallo speleologo Jean-Marie Chauvet, da cui ha preso il nome. In Egitto il leone compariva spesso come personificazione del Faraone, ed anche come attributo del dio solare Ra, mentre con testa di felide (gatto o leone), era raffigurata la dea Bastet.

In Grecia era uno degli attributi di Apollo, di Eros e di Dioniso, quest’ultimo spesso rappresentato in groppa a tale maestoso animale, o anche ad una pantera, oppure sopra un carro trainato da leoni e pantere. Compariva anche in molti racconti mitici, nei quali è palese lo stretto legame tra il leone e la morte. Basti pensare al mito greco del terribile leone Nemeo strangolato da Eracle, che poi lo scuoiò e si rivestì della sua pelle, o al mito degli infelici amanti Piramo e Tisbe, oppure al leone Citerone che uccise il figlio di Megareo, re di Megara, e che fu a sua volta ucciso da Alcatoo.

Purtroppo anche in questo caso ignoriamo se il patrimonio mitologico etrusco contemplasse la presenza di leoni, quali protagonisti di storie e di avventure, o quali antagonisti di qualche valoroso eroe, ma è probabile. Non va dimenticato che il leone compare frequentemente anche nelle ceramiche di età Orientalizzante, e in particolare nel repertorio decorativo Tardo Orientalizzante dell’Etruria meridionale. Un elemento di rilievo è la resa dei felini nelle pitture della “Tomba dei Leoni ” sopra nominata, un modo assai originale che trova pochi riscontri. Sono raffigurati a silhouette con una spessa linea di contorno nera, ed una profonda linea incisa preparatoria.

Il corpo è a forma di otto, dunque poco realistico, le orecchie sono appuntite, gli occhi piccoli resi di prospetto, le fauci spalancate con denti aguzzi, la lingua tesa di forma rettangolare, le zampe flesse pronte all’attacco, con tre artigli, e le code sollevate. Il modello sembra essere quello del felino raffigurato su una grande anfora da Pithecusa rinvenuta nella necropoli di S. Montano all’interno della Tomba 1000, datata verso il 700 a.C. Lo studioso John Nicolas Coldstream l’ha ritenuta opera di un artista-artigiano greco di formazione euboica, ma attivo a Pithecusa verso il 700 a.C.

Stesso tipo di leone compare in un’olla a colletto di argilla figulina, datata in Età Geometrica, proveniente dal mercato antiquario ed ora conservata nel Museo di Budapest. Nel 2005 Jànos Szilàgyi ha attribuito questo vaso al Pittore di Narce, unica personalità di rilievo finora conosciuta nella produzione vascolare veiente di Età Orientalizzante (VII secolo a.C.).

Anche nei decenni successivi i leoni comparvero spesso nelle raffigurazioni funerarie etrusche, come dimostrano, per esempio la “Tomba dei Leoni dipinti” di Caere (seconda metà del VII secolo a.C.), e la “Tomba Campana” di Veio (ultimo decennio del VII secolo). Credo che una prova iconografica, e dunque concettuale, dello stretto legame tra felini e morte possa essere bene illustrata dalla “Tomba degli Auguri” di Tarquinia” (530 a.C. circa), nella cui parete di fondo al di sopra di una massiccia porta, interpretata come l’accesso all’Ade, vi sono due felini affrontati, un leone e una pantera forse in funzione di guardiani.

Chi fosse scettico riguardo a tali ipotetiche interpretazioni circa il valore e la funzione dei soggetti animalistici presenti nelle tombe etrusche, sposando una tesi “minimalista” potrebbe considerarli semplici decorazioni destinate ad abbellire il sepolcro.

Infatti, secondo una credenza etrusca l’anima del defunto avrebbe abitato in eterno nella tomba, sua nuova e definitiva casa, nel buio di uno spazio sacro e nel silenzio di una dimensione ormai lontana dalle tensioni e dagli affanni della vita.

In questo caso, però, resterebbe ancora da spiegare la scelta di alcuni soggetti faunistici rispetto ad altri, a meno di non vedere in essa un puro riflesso del gusto dei committenti dei sepolcri, sollecitato e condizionato dalle “mode” iconografiche diffuse attraverso le produzioni vascolari.

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